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Ab immemorabili cappella papale

di Davide Bracale

La basilica romana dei Ss. Celso e Giuliano è definita ab immemorabili cappella papale[1]. La tradizione narra che sia stato Innocenzo III a conferirle quest’alto rango. Negli anni, fu elevata ad insigne collegiata e si dimostrò una parrocchia munifica e di unione tra le zone aristocratiche e quelle popolari del centro di Roma. Posta sotto l’immediata protezione del vescovo di Roma, essa non aveva e non ha tutt’ora un cardinale titolare. La protezione pontificia doveva esser rinnovata da ogni pontefice regnante, a seguito di una supplica ufficiale che i canonici inviavano al Santo Padre.

Questa protezione ha dei dati storici certi, tra i quali il completo rifacimento della chiesa per conto di Clemente XII, che volle darle un nuovo volto di carattere berniniano a pianta ovale, ad opera di Carlo de Dominicis. Pio IX, che inizialmente voleva sottrarsi alla protettoria della collegiata, infine la restaurò ulteriormente.

Anni dopo si dimostrò di centrale rilievo papa Pio X, che trasferì l’insigne collegiata nella parrocchia di S. Giovanni Battista dei Fiorentini[2]. Il capitolo canonicale quindi si trovò a gestire le due chiese, che rappresentavano un blocco parrocchiale unico.

A comprova della sua protezione, ancora Pio X diede ai canonici il privilegio dell’abito prelatizio, da indossare in coro assieme a cotta ed almuzia[3].

Nel 1914 la basilica subì un grave incendio che danneggiò il dipinto del Cristo, opera di Pompeo Batoni, ed il canonico segretario Mons. Nazareno Patrizi si occupò della questione, come attestano i verbali dell’epoca. Tuttavia, nel medesimo anno vi fu un premio per la collegiata. Benedetto XV accolse in udienza il capitolo canonicale, che richiedeva di essere annoverato nel rango dei cappellani segreti d’onore di Sua Santità. Il Santo Padre annuì ben volentieri e, rinnovando la sua protezione alla basilica, nominò tutti i canonici cappellani segreti d’onore durante munere. Nel 1918 concesse loro un ulteriore privilegio, l’uso del rocchetto in luogo della cotta[4].

Il capitolo dei Ss. Celso e Giuliano annoverava prelati di rilievo presso la curia romana, come Mons. Giovanni Battista Menghini, cerimoniere pontificio; Mons. Antonio Grossi, officiale della Congregazione Concistoriale e Mons. Nazareno Patrizi, camerlengo della basilica, accreditato diplomatico ed avvocato rotale. Di particolare prestigio era l’Arciconfraternita del Ss.mo Sacramento e dei Ss. Celso e Giuliano, i cui protettori furono ecclesiastici di spicco come il card. Luigi Capotosti.

Pio XII rappresentò il fastigio della collegiata, che fu la sua parrocchia. Il 4 marzo 1876, il piccolo Eugenio Pacelli era stato battezzato al fonte battesimale dei Ss. Celso e Giuliano. Quando ascese al soglio di Pietro, rinnovò con gioia la protezione pontificia ed elevò i sette canonici a camerieri segreti soprannumerari e l’arciprete a prelato domestico durante munere[5]. Il capitolo si estinse nel 1989 ed oggi la basilica rientra nelle tante rettorie del centro storico di Roma[6].


[1] Cf. Archivio Storico Diocesano di Roma, Archivi di basiliche: “Ss. Celso e Giuliano”.

[2] Cf. Pio X, Lettera Apostolica Susceptum Deo (24 ottobre 1906).

[3] Cf. Pio X, Motu Proprio In litteris Nostris (22 dicembre 1913).

[4] Cf. D. Bracale, Mons. Nazareno Patrizi. Da Bellegra alla Corte Pontificia, Roma 2020, p. 53.

[5] Cf. ivi, p. 69.

[6] Cf. L. Marti, Santi Celso e Giuliano, in A.A. V.V., Roma Sacra. Guida alle chiese della città eterna, Elio de Rosa Editore, Roma 1997, p. 23.

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