Inferno – Canto VIII
La palude Stigia nella struttura apparente dell’Inferno rappresenta il quinto cerchio, nella struttura segreta rappresenta la prima parte del quarto ripiano del peccato attuale. La seconda parte di questo ripiano unico è costituita dal sesto cerchio cioè dal cerchio dell’eresia. La significazione vera di questo ripiano unico è profonda e importantissima. Esso risponde esattamente a quel ripiano dell’accidia nel Purgatorio ove si punisce il lento amore nell’acquistare o nel vedere il bene, e il quarto ripiano dell’Inferno nelle sue due parti punisce esso pure precisamente il lento amore nell’acquistare o nel vedere il bene.
È precisamente lento amore nell’acquistare il bene la colpa degli accidiosi che sono fitti nel limo della palude e dicono:
…Tristi fummo
(Inf., VII, 121)
Nell’aer lieto che del sol s’allegra
Portando dentro accidioso fummo.
Essi sono gli accidiosi nella vita attiva. Nella seconda parte del ripiano, invece, entro le Arche, sono puniti coloro che ebbero lento amore nella ricerca del vero e che per questo non lo videro e aberrarono dalla visione di Dio e dalla sua rivelazione. Sono gli eretici, accidiosi nella vita contemplativa”.
È perfettamente naturale che nella palude Stigia insieme agli accidiosi della vita attiva stiano i peccatori a essi opposti cioè a dire gli iracondi, i quali stanno a essi proprio come i prodighi agli avari. Gli uni non usarono, gli altri usarono in forma disordinata ed eccessiva l’irascibile (come gli altri peccatori di incontinenza usarono male del concupiscibile) sono incontinenti di irascibile. Ecco perché gli accidiosi della vita attiva sono nell’Inferno della incontinenza che giunge fino alle mura di Dite.
Ma nella simbolica della Croce e dell’Aquila questo cerchio ha anche un’importanza particolarissima. Dante dice nella Monarchia che l’ufficio di spronare e di frenare l’irascibile appartiene all’Imperatore. Egli deve in altri termini eccitare gli accidiosi a operare secondo il bene e contenere gli iracondi; l’accidia e l’ira nella vita attiva sono diretta resistenza alla virtù operativa alla quale guida l’Impero, l’Aquila. Ora in questo cerchio dell’accidia noi vediamo che l’incontinenza (vinta come vedemmo dalla Croce) termina in un peccato che resiste direttamente alla virtù dell’Aquila. Il che fa perfettamente riscontro a quello che accade di là dalle mura di Dite dove è l’Inferno vinto dall’Aquila, ma che comincia con un peccato, l’eresia, che resiste direttamente alla virtù della Croce.
Dante ha voluto così mirabilmente intrecciare l’opera della Croce e l’opera dell’Aquila costruendo l’Inferno in modo che la parte vinta esclusivamente dalla Croce termini nel peccato che si ribella all’Aquila recalcitrando allo sprone e al freno della vita attiva ma che, come distrazione dal vero bene deve essere vinto dalla Croce, e in modo che la parte vinta dall’Aquila cominci col peccato, l’eresia, che si ribella direttamente alla Croce ma che, come disciplina della volontà e dell’intelletto, deve essere vinta dall’Aquila alla quale è infatti devoluto, secondo Dante e secondo la mentalità del suo tempo l’azione diretta contro l’eresia. L’uomo non guidato perfettamente dalla Croce, non illuminato sul vero bene, finisce col rifiutare la guida dell’Aquila, non fortemente guidato dall’Aquila comincia come prima ingiustizia, col ribellarsi alla Croce!
Si noti che questo ripiano dell’accidia risponde nettamente nella sua struttura all’Inferno del peccato originale. Il peccato originate lascia nello spirito un «languor», una debolezza che è la forma iniziale e fondamentale dell’accidia, «difficultas» nella vita attiva, «ignorantia» nella vita contemplativa. A queste due forme di debolezza che persistono ove manchino rispettivamente l’Aquila o la Croce, rispondono le due parti dell’Inferno del peccato originale. Ma quando si ha non più la mancata azione dell’Aquila e della Croce, ma la volontaria resistenza all’Aquila e alla Croce, la «infirmitas» e la «ignorantia» diventano rispettivamente accidia ed eresia, cioè accidia volontaria nella vita attiva e nella vita contemplativa. E, come tra i due peccati derivanti dalla mancata azione dell’Aquila e della Croce gira l’anello dell’Acheronte, che non si supera se non per la virtù della Croce, qui tra i due peccati che costituiscono la resistenza all’Aquila e alla Croce, gira l’anello delle mura di Dite che non si vince se non per la virtù dell’Aquila.
Simbolo di questo ripiano dell’ira-accidia è Flegias. Egli viene a prendere le anime ai piedi di una torre che dall’Inferno dell’incontinenza annunzia la discesa degli spiriti verso l’Inferno dell’ingiustizia, l’annunzia a un’altra torre che appunto dall’Inferno dell’ingiustizia risponde. Flegias arriva chiamando Dante «anima fella», ritenendo cioè che egli sia uno di coloro destinati all’Inferno dell’ingiustizia e che Dante chiama appunto «felli» (Inf., XI, 88). Egli pure pertanto come Minosse e come Pluto minaccia a Dante che egli sarà vinto dall’Inferno dell’ingiustizia, che resterà vinto alla porta, di Dite, e anche a lui Virgilio risponde preannunziando vagamente la vittoria sulla porta di Dite perché gli dice: «Più non ci avrai che sol passando il loto» (v. 21). E, come Pluto, anche Flegias si accascia all’oscuro preannuncio della nuova vittoria sull’Inferno. Dopo di che Dante supera in contemplazione il peccato di iraaccidia.
Si giunge così alle Mura di Dite. Osserviamo la posizione di queste mura. Nella struttura palese dell’Inferno esse si trovano in un punto che non avrebbe nessuna determinazione speciale. Nella sua struttura segreta invece esse vengono a trovarsi proprio a metà dell’Inferno del peccato attuale. Questo ha sette ripiani, tre ripiani e mezzo prima di Dite e tre ripiani e mezzo dopo di Dite. E la significazione e il valore simbolico di questa stranissima concezione di Dante del muro che divide l’Inferno e della porta chiusa che resiste diviene oramai chiarissima. Come è bipartito il peccato originale in «ignorantia» e «difficultas» vinte dall’Aquila e dalla Croce, è bipartito il peccato attuale in incontinenza e ingiustizia, vinte dalla Croce e dall’Aquila. La porta di Dite è aperta, ma guardata dai diavoli, ciò vuol dire, pronta a ricevere chi la passi come dannato, pronta a resistere a chi voglia passarla come vincitore dell’Inferno, come vincitore dell’ingiustizia, perché nel mondo non c’è l’Impero e il cristiano con la sola virtù della Croce non può passare per quella porta, non può vincere l’ingiustizia come infatti non poteva vincere la lupa.
I diavoli custodi della porta non potrebbero impedire il passo a Virgilio che ha la virtù dell’Aquila, ma credono di poter respingere Dante e di ricacciarlo indietro per la sua strada, che, compiuta (come essi pensano) senza l’Aquila, è folle («sol si ritorni per la folle strada» essi dicono Si rammenti: «Temo che la venuta non sia folle»). Ancora una volta la via della salvazione, non percorsa tutta, è come non iniziata. Chi non vince anche l’ingiustizia è ricacciato indietro nella via se pure ha vinto l’incontinenza, chi non ha l’Aquila è respinto indietro anche se ha la Croce.
Le parole di Virgilio che, dopo che ha operato la virtù della Croce, sono bastate a vincere la resistenza di tutto l’Inferno dell’incontinenza, qui non bastano a fare in modo che sia lasciato a Dante il passaggio. I diavoli si chiudono dentro: l’Inferno dell’ingiustizia resiste non vinto. Virgilio torna indietro e sospira e si adira ma egli, sanato dall’Aquila per sé, non può salvare Dante dalla ingiustizia. Se non che, come ai piedi del monte, di fronte alla ingiustizia che impediva la via sotto forma di lupa, annunziò il Veltro che avrebbe liberato la via, qui, di fronte alla stessa ingiustizia che impedisce il cammino sotto forma di porta chiusa, annunzia l’avvento di «Tal che per lui ne fia la terra aperta» (v. 130).
E proprio come garanzia che anche questa seconda porta sarà vinta Virgilio, dinanzi a essa, ricorda la vana resistenza dei diavoli alla prima porta che fu infranta dalla Croce e dice che colui che aprirà la seconda porta scende di qua dalla prima porta, materialmente, perché muove come vedremo dal Limbo, simbolicamente perché continua l’opera di vittoria sull’Inferno che è cominciata con l’infrazione della prima porta.