Il fine dell’uomo
Per cosa siamo fatti? Qual è il fine ultimo della nostra esistenza? Da buoni cattolici, la prima risposta da offrire ad una domanda di questo tipo è che la nostra mèta è la salvezza della nostra anima.
Nulla di più vero, ma proviamo a scendere più in profondità.
Per tornare al quesito di partenza, il mondo propone come obiettivo da seguire in questo tempo di vita terreno il godimento, inseguire il piacere sensuale della carne e dell’immaginazione. Ma che senso ha rincorrere, per il breve tempo che si percorre questa lacrimarum valle, il proprio stesso corpo che di qui a poco diverrà polvere? Un ideale di vita come quello appena descritto rende l’uomo schiavo di tutto ciò che procurano o meno i suoi piaceri: schiavo delle passioni, dei suoi desideri, della gelosia, della collera che ribolle nell’anima contro il suo stesso volere, schiavo degli altri uomini che possono procurargli un’illusione di felicità. L’uomo, nella sua sete di piacere, si rende schiavo di tutto, finendo per provare disgusto anche di quei beni perituri che tanto aveva amato. Chi agisce in questo modo distrugge la sua stessa dignità di uomo e di battezzato perché non vive che per il suo corpo, come gli animali, ma, un giorno o l’altro, questa vita volgerà al tramonto, e la morte, con un solo atto, spazzerà via ogni piacere costruito, magari, con l’impiego delle forze di un’intera esistenza, venendo così a perdere ogni cosa. Tale persona, spesso, non è più in grado di vedere, accecato dal peccato, i terribili castighi che l’attendono a causa delle sue azioni. L’evangelista Matteo, a tal proposito, scrive: «Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni.» (Mt 16, 26-27).
Dunque, se non siamo creati per il piacere, per cosa siamo o per chi siamo chiamati alla vita? Vediamo alcune risposte.
La risposta della ragione: conoscere e amare Dio
La nostra ragione ci conduce, anche attraverso la luce che ci proviene dalla fede, a scoprire che il fine ultimo dell’uomo consiste sostanzialmente nel conoscere Dio e amarLo sopra ogni cosa. Se fossimo stati creati in uno stato puramente naturale, con l’anima immortale, ma senza la grazia (spirito), il nostro fine ultimo sarebbe stato, appunto, quello di conoscere ed amare Dio, ma Lo avremmo conosciuto solamente attraverso le perfezioni che sono presenti nelle Sue creature, e dunque in maniera limitata. Dio sarebbe stato per noi unicamente l’intelletto supremo che governa la creazione. In virtù di ciò, Lo avremmo amato con l’amore che esiste tra inferiore e superiore, escludendo completamente l’intimità che intercorre tra due persone che si amano.
Differenza tra anima e spirito
La persona è formata, infatti, da tre elementi fondamentali: corpo, anima e spirito. È san Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi, ad introdurre una differenza tra questi ultimi due elementi. Egli scrive: «Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,23). L’anima è la forma del corpo, il principio vitale dell’uomo, la sede dell’intelletto e della volontà. Lo spirito, invece, è la parte che spinge l’anima ad elevarsi fino a Dio, a protendersi verso le realtà spirituali e permette all’uomo di godere della presenza soprannaturale e personale di Dio in lui. Lo spirito si identifica con ciò che abitualmente, e a volte inconsciamente, chiamiamo «grazia». Grazia e spirito, dunque, hanno lo stesso significato. Sant’Agostino, in una delle lettere a Pascenzio, seguace dell’eresia ariana, spiega che «nelle Sacre Scritture si chiama spirito anche una parte distinta dell’unica anima d’una stessa persona. Ecco perché l’Apostolo dice: Tutto il vostro essere, spirito, anima e corpo, sia conservato per il giorno della venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Così in un altro passo sta scritto: Se pregherò con la lingua, il mio spirito prega ma la mia intelligenza resta priva di frutto. Che farò allora? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza (1Cor 14, 14-15). Quando al contrario diciamo Spirito Santo in un modo tutto proprio, usiamo questo termine in relazione al Padre e al Figlio poiché è lo Spirito di essi» (n. 2.15).
Potremmo dire in modo molto semplice così: l’anima è la mia identità umana di persona razionale e libera, cosciente e riflessiva. Essa si manifesta in noi – non si vede o si tocca perché è spirito – mediante le sue funzioni spirituali: quando penso, amo, scelgo, decido, odio e provo rancore. La mia anima specifica e contraddistingue il mio essere. La mia anima dà senso e pienezza alla mia esistenza, perché solo tramite essa posso raggiungere le dimensioni più grandi della vita.
Lo spirito riempie l’anima e non il corpo. Si può dire che ogni persona umana è costituita da anima e corpo. Tuttavia la persona battezzata, divenuta in virtù del sacramento ricevuto figlia di Dio, è formata da corpo, anima e spirito (grazia). La grazia, seppur importantissima per quanto riguarda la salvezza dell’anima, non è parte costitutiva, essenziale della persona. Per dirlo in modo più semplice, chi non è in grazia (il peccato, soprattutto mortale, interrompe la comunicazione dello spirito con l’anima, per cui l’anima viene privata della vita soprannaturale proveniente dalla presenza di Dio in lei attraverso lo spirito) non è meno persona di chi non lo è. La grazia che san Paolo chiama spirito non può esistere da sola, ma riempie l’anima.
L’anima per sua natura è spirituale e immortale. Se essa è riempita della grazia non solo è spirituale e immortale, ma va in Paradiso, previo Purgatorio quasi sempre necessario. L’anima, invece, priva della grazia, non avendo la vita divina, va all’inferno. Il Paradiso e l’Inferno sono realtà eterne ed immutabili aventi uno status di irreversibilità per l’anima che vi entra dopo il giudizio particolare.