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Antropologia

Al termine della sua riflessione teologica sull’opera della creazione da parte di Dio, San Tommaso si sofferma sulla creazione dell’essere umano e sulla sua natura. È il trattato di antropologia teologica del Dottore Angelico, che coglie l’essenza dell’uomo nella sua unità di anima e corpo.

Dopo il trattato sulla creatura spirituale, ovvero sull’angelologia, San Tommaso si sofferma sul trattato De homine, cioè sull’antropologia. In particolare la riflessione è incentrata sulla composizione dell’uomo, formato di anima e corpo, prendendo in considerazione la natura dell’anima umana, la sua unione con il corpo e le sue facoltà (qq. 75-90). Conclude il trattato lo studio della creazione dell’uomo (qq. 91-93) e del suo stato originario, prima della corruzione dovuta al peccato originale (qq. 94-102).

Il primo punto da sviluppare, secondo l’Aquinate, è circa la natura dell’uomo con particolare riferimento all’anima. Infatti, va detto che «spetta al teologo indagare intorno alla natura dell’uomo dal lato dell’anima, non dal lato del corpo, se non secondo il rapporto che il corpo ha con l’anima» (STh I, q.75). È evidente che lo studio del corpo umano in sé riguarda non la scienza teologia, ma le scienze naturali.

La quaestio 75 si sofferma sulla natura dell’anima in sé. Essa è «il primo principio della vita» (STh I, q.75, a.1): le creature vivono e possono muoversi grazie all’anima, che è appunto il principio della vita. Quindi, gli esseri viventi sono tali, perché hanno un’anima, mentre gli esseri non viventi sono privi di anima. Questo è ciò che distingue una pietra da una pianta o da un animale. Va anche detto che l’anima non è un corpo, non è materiale, ma è «l’atto di un corpo» (Ivi). Le anime, poi, non sono tutte uguali. Vi è una distinzione necessaria tra l’anima vegetativa, presente nelle piante, che permette la vita, ma non la conoscenza, e l’anima degli animali. Ancora, bisogna distinguere tra l’anima sensitiva degli animali bruti, che conosce tramite i sensi e agisce per istinto, non essendo capace di astrazione, e l’anima razionale dell’uomo, che conosce e agisce tramite l’intelletto. Ed è proprio l’anima intellettiva o razionale ad essere sussistente, in quanto l’intelletto opera da sé oltre che operare con il corpo (a. 2). Ciò la distingue ancora dall’anima sensitiva, la quale non opera da sé, ma sempre in unione con il corpo e tramite i sensi, e, di conseguenza, non può essere sussistente (a.3). 

L’anima non ha materia, come è stato già detto, poiché essa è «la forma di un corpo» (a.5). In conseguenza di ciò va detto che l’anima umana è incorruttibile, poiché si costituisce come forma sussistente e in quanto tale non può corrompersi (a.6). Si deve, quindi, giungere alla conclusione che «l’anima umana non è soltanto semplice, o inestesa come l’anima vegetativa e l’anima animale, ma è spirituale ossia immateriale, cioè intrinsecamente indipendente dalla materia, e sussistente, di modo che essa continua ad esistere dopo essersi separata dal corpo» (R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Verona 2017, 194). 

Nella quaestio 76 San Tommaso passa ad affrontare il tema dell’unione dell’anima con il corpo. L’anima, principio intellettivo, si unisce al corpo come la sua forma propria. In quanto tale l’anima è anche atto del corpo, poiché la forma è sempre atto, mentre la materia senza la forma rimane potenza (STh I, q.76, a.1). È dunque da scartare la teoria filosofica, secondo la quale vi è una sola anima comune a tutti i corpi. Ciò è impossibile, poiché se l’anima è forma di un corpo e ci fosse una sola anima, si avrebbe un solo uomo e non più uomini (a.2). Allo stesso tempo non si può nemmeno dire che l’uomo sia composto solo di anima, poiché è un composto unitario di anima e di corpo. Infatti, «ogni uomo avverte in sé di pensare e di sentire, e non può sentire senza il corpo» (Sintesi tomistica, 197). Nell’uomo, poi, non ci sono più anime, cioè una vegetativa, una sensitiva e una razionale, poiché ciò intaccherebbe l’unità dell’essere umano. Invece, bisogna rilevare che l’anima intellettiva riunisce in sé le caratteristiche dell’anima vegetativa e di quella sensitiva (a.3).

Un’ulteriore riflessione va fatta circa le facoltà dell’anima umana. San Tommaso affronta il problema in una lunga serie di quaestiones, che vanno dalla n.77 alla n.89. In generale, va detto che le potenze dell’anima non si identificano con l’essenza, poiché, essendo l’anima atto del corpo non può essere identificata con alcuna potenza, la quale in caso di identificazione diverrebbe atto (STh I, q.77, a.1). L’anima umana abbonda di potenze, cioè di operazioni possibili, in quanto «è al confine tra le creature spirituali e quelle corporee e quindi confluiscono in essa le potenze di entrambe le creature» (a.2). La singola potenza si distingue in base all’atto cui è ordinata e, di conseguenza, in base all’oggetto dell’atto stesso (a.3). In questo modo si può anche rintracciare un ordine tra le potenze dell’anima, in base alla relazione esistente tra di esse. Le potenze intellettive, in base alla natura, in quanto più perfette, vengono prima di quelle sensitive. Tuttavia, in base all’origine e al tempo, vengono prima le potenze sensitive, che permettono di conoscere l’ente concreto reale, e poi le potenze intellettive, che permettono di astrarre l’universale (a.4). 

All’interno della riflessione sulle potenze dell’anima è di particolare importanza la quaestio 83, che sviluppa il tema del libero arbitrio. Dopo aver parlato della volontà, San Tommaso indaga sulla libertà dell’uomo, dalla quale dipende la volontà. L’uomo agisce secondo il giudizio del proprio intelletto. Non tutti gli enti agiscono con giudizio. Alcuni, infatti, agiscono senza giudizio (a.e. gli esseri inanimati o le piante). Altri enti, invece, agiscono con un giudizio non libero, poiché il giudizio è emesso per mezzo dell’istinto e non dell’intelletto. Così agiscono gli animali. L’uomo, invece, agisce con giudizio dell’intelletto e, poiché questo giudizio non dipende dall’istinto, ma è fatto secondo ragione, l’agire dell’uomo è libero. Si arriva alla conclusione che «è necessario che l’uomo abbia il libero arbitrio, per il fatto stesso che è razionale» (STh I, q.83, a.1). Esso è «il principio di quest’atto, vale a dire ciò per mezzo di cui l’uomo giudica liberamente» (a.2). L’uomo, quindi, agisce liberamente, poiché ha in sé la facoltà dell’intelletto che gli permette di giudicare liberamente.

Antropologia

Nelle quaestiones 90-92 San Tommaso passa a trattare la creazione dell’essere umano, riprendendo quanto affermato nel trattato della creazione. Nella quaestio 90 viene affrontata la creazione dell’anima umana. Essa non è della sostanza di Dio (a.1), ma viene prodotta per creazione: «l’anima razionale non può prodursi se non per creazione» (a.2). Essa viene creata direttamente da Dio (a.3) e infusa nell’essere umano al momento del suo concepimento, mentre il corpo viene generato dalla sostanza dei genitori e, di conseguenza, è creato da Dio solo in maniera indiretta. La creazione dell’anima del primo uomo avvenne in contemporanea con la creazione del suo corpo. Infatti, «tanto l’anima quanto il corpo del primo uomo furono prodotti nelle opere dei sei giorni» (a.4). Nella quaestio 91 viene trattata la creazione del corpo del primo uomo. In essa San Tommaso riprende il racconto della Genesi, spiegando in termini teologici la creazione dell’uomo dalla terra ad opera di Dio. La quaestio 92, proseguendo la riflessione sul racconto genesiaco, tratta della creazione della donna, creata dalla costola di Adamo.

Di fondamentale importanza è, invece, la quaestio 93 che si sofferma sul fine per cui l’uomo è stato creato. L’essere umano è stato creato «a immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1,26). Ciò significa che «nell’uomo si trova una certa somiglianza con Dio, derivata da Dio come dall’esemplare. Tuttavia, non è una somiglianza secondo l’uguaglianza, poiché l’esemplare eccede infinitamente simile copia» (STh I, q.93, a.1). Nell’uomo, quindi, vi è l’immagine di Dio, che deve essere intesa, come specifica il testo stesso di Genesi, nel senso di una somiglianza e non di una uguaglianza. Tale immagine non si trova né nelle creature irrazionali (esseri non viventi, animali e piante) né negli angeli (a.2 e 3). Allo stesso tempo, però, essa si trova in tutti gli esseri umani (a. 4). Infine, va detto che, se il testo della Sacra Scrittura parla di immagine e somiglianza, non vuol dire che le due si equivalgono, ma che vi è una specificità in ognuna di esse. Infatti, «la somiglianza è considerata come qualcosa che precede l’immagine, in quanto è più generica dell’immagine […] Ma è considerata anche come qualcosa che consegue all’immagine, in quanto significa una certa perfezione dell’immagine» (a. 9). Il fine, per cui l’uomo è stato creato, quindi, è il suo stesso essere immagine e somiglianza di Dio e, di conseguenza, il suo essere in una particolare relazione con il suo Creatore.

Le quaestiones 94-102 trattano dello stato e del luogo, in cui si trovava l’uomo subito dopo la creazione e prima del peccato originale. La quaestio 94 tratta dello stato del primo uomo quanto all’intelletto. Dio, infatti, creò l’uomo con alcuni doni preternaturali, che l’essere umano perse a causa del peccato. L’intelletto dell’uomo appena creato, infatti, era dotato della «scienza di tutte quelle cose nelle quali l’uomo può essere per natura istruito» (STh I, q.94, a.3). Allo stesso tempo, l’intelletto umano era dotato della scienza «di quelle cose che eccedono la conoscenza naturale, poiché l’uomo è ordinato a un certo fine soprannaturale» (ivi). Perciò il primo uomo aveva piena conoscenza di tutto ciò che gli era necessario per la sua vita naturale e soprannaturale, mentre «non conobbe le altre cose che non si possono conoscere con lo studio naturale umano e che non sono necessarie al governo della vita umana» (ivi). Di conseguenza, non conosceva Dio per essenza (a.1), ma solo per rivelazione di quanto è necessario alla fede, né poteva conoscere gli angeli per essenza, ma solo per manifestazione di quanto fosse necessario alla fede. 

Quanto riguarda lo stato del primo uomo in riferimento alla volontà è trattato nella quaestio 95. Adamo fu creato in uno stato di grazia, come si legge anche nel libro dell’Ecclesiaste: «Dio creò l’uomo retto» (Qo 7,30). La rettitudine dello stato del primo uomo «consisteva nel fatto che la ragione era sottomessa a Dio, le potenze inferiori alla ragione e il corpo all’anima» (STh I, q.95, a.1). Tale stato di sottomissione della ragione a Dio non era secondo la natura, ma «secondo il dono soprannaturale della grazia» (ivi). Lo stato di grazia dell’anima, tuttavia, non supponeva l’assenza di passioni e nemmeno quella della tentazione, che effettivamente vi fu e portò alla caduta (a.2). Di fronte alla tentazione, allo stesso tempo, l’uomo non aveva la debolezza di noi, che portiamo nell’anima la concupiscenza del peccato originale, ma aveva tutte le virtù naturali e soprannaturali, ovvero tutti i mezzi necessari (a.3).

La riflessione di San Tommaso continua con l’esposizione delle attività del primo uomo. La quaestio 95 tratta del dominio dell’uomo nello stato dell’innocenza, che lo metteva in relazione con il resto della creazione. Le quaestiones 97-101, invece, affrontato il problema della conservazione dell’individuo e della specie sia per quanto riguarda il primo uomo, sia per quanto riguarda l’umanità nella storia. La quaestio 102, infine, sviluppa la riflessione sul paradiso terrestre come luogo e dimora dei progenitori.


Bibliografia

  • Tommaso d’Aquino, Summa theologica (nel testo: STh).
  • R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede e cultura, Verona 2017.

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