✒ Mons. De Segur
Obiezione: La religione invece di parlar tanto dell’altra vita, dovrebbe piuttosto occuparsi di questa, distruggere la miseria e darci la felicità.
R: La religione parla molto dell’altra vita, perché questa essendo eterna è d’una immensa importanza, e assai più che la presente merita che ci occupiamo di lei. Ed è appunto nell’altra vita che si decide per sempre la gran questione della felicità o dell’infelicità; su questa terra non facciamo che prepararne la soluzione.
Ma se parla molto della vita eterna, la Religione di certo non trascura la vita di questo mondo. Tutti gl’interessi dell’uomo sono presenti a’ suoi occhi; la sua anima, il suo corpo, la sua vita temporale, la futura immutabile; essa non dimentica niente.
Se non fa sparire intieramente la miseria, è perché la miseria NON PUO’ farsi sparire; – e la miseria non può essere distrutta né sparire, perché le cause che la producono non possono essere tolte.
La prima è l’ineguaglianza delle forze naturali, della sanità, dei talenti, dell’ingegno, dell’attività fra gli uomini. – Se per una causalità o semplicemente per vecchiaia io perdo le forze necessarie per lavorare, non cadrò io nella miseria? – Se, nonostante tutti i miei sforzi possibili, sono così inabile a lavorare che molti de’ miei fratelli fanno molto meglio di me; i miei travagli non avranno la preferenza sopra quelli dei più abili; ed io non cadrò nella miseria? E frattanto chi v’ha che possa garantirmi dalle malattie, dagli accidenti, dalla vecchiaia? Chi può dar dell’ingegno a coloro che non ne sono forniti? Chi può rendere tutti gli uomini eguali per forze, per intelligenza e per buon volere?… Ed ecco una ragione fecondissima di miseria, distruggere la quale si rende impossibile anche alla Religione. Una seconda ragione di miseria, né profonda meno che l’altra, sono i vizi della nostra povera natura corrotta dal peccato; la infingardaggine, la dissolutezza, l’ebrietà, l’amore dei piaceri, la vendetta, l’orgoglio etc. Di cento poveri quanti non sono infelici per propria colpa! Meglio che diciannove su venti. Sogliono essi accusar Dio, e non dovrebbero accusare che sé stessi. I poveri di buona morale ritrovano dei potenti soccorsi; Dio e gli amici di Dio non gli abbandonano giammai!
La povertà, siccome le infermità e la morte, non è che la punizione del peccato. Egli è impossibile distruggerla, essendo egualmente impossibile distruggere il peccato originale, fatto oramai compiuto, e rendere l’uomo impeccabile. – Ma quello che è possibile, quello che la Religione a maraviglia eseguisce si è di scemare la miseria, sollevarla, addolcirla, renderla sopportabile ed in fine santificarla.
La Religione venera nel nostro corpo il tempio di quest’anima immortale, che tempio è essa pure del Dio vivente. Ella si adopera a medicarne e prevenirne eziando tutti i dolori, e ciò cogl’innumerevoli istituti di carità, con ogni sorta d’ospizi che coprono per così dire il mondo cristiano. Ovunque giunga la sua voce, il facoltoso diviene l’amico, il fratello e soventi versa egli il superfluo nel seno degl’infelici. Dall’altra canto il povero apprende quinci a sperare. Alla scuola di Gesù Cristo egli si acconcia a soffrire con rassegnazione, e giunge pur qualche volta ad amare i patimenti, che nei disegni adorabili del suo Padre celeste, conosce diretti a sperimentare la sua fedeltà, a mondarlo dalle sue macchie, a renderlo più somigliante al suo Salvatore povero e crocifisso, a fargli accumulare ineffabili tesori di felicità per l’eterna patria… Quanti buoni poveri ho veduto io stesso rendere grazie a Dio dei loro patimenti, e nelle privazioni mostrar di goderne!
La Religione compie dunque il suo debito, prendendosi di noi cura nella vita presente ed avendo inoltre pensiero della vita futura. Non vi ha dunque persona che possa querelarsi di lei. Che i ricchi divengano buoni cristiani e quindi caritatevoli, che i poveri divengano buoni cristiani e quindi sofferenti; qui consiste il mistero.