Uno delle accuse più frequenti al rito antico è quella secondo la quale il sacerdote celebrante, in atto di offesa, volge volgarmente la schiena ai fedeli, rivolgendosi a Dio in una lingua strana, qual è il latino, che capisce solo lui e tra un “orum” e un “abus” i poveri fedeli vengono esclusi dalla partecipazione. Le stesse persone, financo titolate e titolari di docenze universitarie (ogni riferimento al noto docente savonese è puramente casuale, naturalmente) aggiungerebbero che è invece grazie alla riforma conciliare che il celebrante perde il suo ruolo di protagonista, eliminando la piaga del clericocentrismo che affliggeva la Chiesa pre-roncalliana. Ma è davvero così?
Ora, molti sedicenti tradizionalisti si beano a commemorare gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso: la Democrazia Cristiana, gli scontri con i comunisti stile Don Camillo, i grandi raduni di Azione Cattolica davanti a Pio XII…c’è poi la celebrazione liturgica, con tanti errori e tante deviazioni. Per molti nostalgici, anche sacerdoti, non c’è niente di più di bello di una Messa letta in 25 minuti, con un pizzo altissimo, mentre le devote vecchiette recitano il S. Rosario o la novena a S. Filomena, del tutto incuranti delle preci innalzate all’Eterno Padre dall’officiante. Questo sì che è clericocentrismo; ma lo è stato anche, da parte dei parroci, eliminare il canto dei Vespri festivi perché tanto la gente non li capisce e preferisce dirsi il Rosario.
Individuato il problema, però, si è scelta una strada sbagliata per la sanazione: non si scelse di recuperare le più pure forme di tradizione liturgica, ma di andare oltre. Ecco, quindi, che il celebrante diventa il presidente dell’assemblea, i crocifissi sugli altari, ormai tutti versus populum, si riducono a dimensioni minime se non, addirittura, si spostano su un lato affinché si possa vedere; vedere cosa, il calice e la patena? No! Il viso del celebrante, meglio se anche una buona parte del tronco. Questo non è clericocentrismo?
Pensiamo anche alle varie inserzioni ed adattamenti che il messale propone lasciando libera parola al sacerdote: l’introduzione iniziale, l’introduzione al Pater Noster, gli avvisi prima della conclusione. La grande libertà lasciata in alcuni casi crea dei veri e propri mostri: chi, bazzicando una parrocchia, non ha mai sentito dire una frase del tipo: Sì, la rubrica dice questo, ma chiediamo se Don X, Padre Y, Monsignor Z sono d’accordo, perché so che a loro non piace! Ecco: questo non è clericocentrismo? Come chiamereste voi la prassi per cui tutto dipende dalle decisioni di un solo uomo?
Consideriamo infine le varie eliminazioni di insegne e titoli in nome dell’umiltà: via mozzette e ferule, via croci e talari, chiamatemi Don Cocco anziché Monsignore, e così via. Ma mettersi al centro, considerando la propria persona e i propri personali gusti superiori al ruolo che si ricopre (davanti a Dio ed alla Chiesa) e a ciò che esso richiede, non è forse clericocentrismo?
Pertanto, facciamoci qualche domanda. Andiamo al di là dei luoghi comuni, per favore: siamo davvero sicuri che il clericocentrismo sia sepolto in un brutto passato oscuro dove c’erano i mostri e i fantasmi mentre oggi sia tutto perfetto? Interroghiamoci e diamoci una risposta; per evitare di pregare un uomo come noi anziché la Santissima Trinità.