Come fare una buona confessione

La confessione, che ha per condizione fondamentale la Verità, è un esercizio di sincerità e perciò è un atto di virtù.

San Giovanni Bosco, il Santo dei giovani, così parlava ai giovani: «Per prima cosa vi raccomando di far quanto potete per non cadere in peccato: ma se per disgrazia vi accadesse di commetterne, non lasciatevi mai convincere dal demonio a tacerlo in Confessione. Pensate che il confessore ha ottenuto da Dio il potere di rimettervi ogni tipo e ogni numero di peccati. Più gravi saranno le colpe confessate, più il confessore godrà in cuor suo, perché sa essere molto più grande la Misericordia Divina, che per mezzo di lui vi offre il perdono, e vi dona i meriti infiniti del Prezioso Sangue di Gesù Cristo, con cui Egli può lavare tutte le macchie dell’anima vostra».

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), alla Sezione Seconda “I sette Sacramenti della Chiesa”, Capitolo 2° “I Sacramenti della guarigione”, articolo 4 “il Sacramento della penitenza e della riconciliazione, al n° 1422, così leggiamo: «Quelli che si accostano al Sacramento della Penitenza ricevono dalla Misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera».

Continua il Catechismo: «È chiamato Sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato. È chiamato Sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore (CCC 1423).

È chiamato Sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una “confessione”, riconoscimento e lode della Santità di Dio e della Sua Misericordia verso l’uomo peccatore. È chiamato Sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente il Perdono e la Pace» (CCC 1424).

Nostro Signore Gesù Cristo istituì il Sacramento della Penitenza nel giorno della Sua Risurrezione, quando nel Cenacolo diede solennemente ai suoi Apostoli la facoltà di perdonare i peccati, alitando su di essi e dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).

Il Cuore di Dio, nostro Padre e Creatore, ha una logica totalmente diversa e controcorrente rispetto alla logica del mondo. Quanto è difficile per noi a volte riconciliarci con qualcuno che ci ha mentito, ci ha tradito, calunniato, che ci ha fatto soffrire e che a volte non ha intenzione di riparare il danno fatto. Dio, il nostro Dio, ama perdonare e come un Buon Padre vuole che tutti i suoi figli siano felici e raggiungano il Cielo, che è il suo Stesso Cuore, dal quale siamo usciti e al quale siamo chiamati a fare ritorno.

Nella parabola detta “del figliol prodigo”, ma conosciuta anche per quella “del Padre Misericordioso”, leggiamo:

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: “È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

(Lc 15,11-32)

Nella Chiesa antica si concedeva la possibilità di celebrare il Sacramento della penitenza una sola volta nella vita. Si era ben consapevoli di quanto si legge nell’Epistola agli Ebrei: «Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della Verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del Giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli» (Eb 10,26-27).

La Chiesa antica ammetteva ad una seconda tavola della Salvezza per chi aveva perso la Grazia. Ma solo ad una seconda, perché si era sprecata la prima. Va ricordato anche che nelle comunità cristiane dei primi secoli c’era un certo fervore: si sapeva che, facendosi cristiani, c’era il rischio di andare in pasto alle fiere.  Nelle comunità monastiche che si formano nel IV secolo invece si praticava la correzione fraterna e la remissione dei peccati. E proprio dalle comunità monastiche verrà fuori, a cominciare dall’epoca carolingia, la prassi della confessione fatta ogni volta che lo si desidera, e non soltanto una volta nella vita. Nel medioevo c’era addirittura la prassi della confessione quotidiana. Ai tempi di san Domenico e di san Tommaso i frati si confessavano l’un l’altro tutte le mattine. Nel 1215 il Concilio Lateranense IV stabilì che tutti devono confessarsi almeno una volta all’anno. Ma questo precetto era per i più riluttanti, per i pigri, non per i ferventi.

Alla luce della parabola del padre misericordioso che perdona il peccato del figlio minore, la Chiesa, accogliendo l’appello in essa contenuto, comprende la sua missione di operare, sulle orme del Signore, per la conversione dei cuori e per la riconciliazione degli uomini con Dio e fra di loro, due realtà, queste, intimamente connesse.

L’uomo – ogni uomo – è questo figlio prodigo: ammaliato dalla tentazione di separarsi dal Padre per vivere indipendentemente la propria esistenza; caduto nella tentazione; deluso dal nulla che, come miraggio, lo aveva affascinato; solo, disonorato, sfruttato allorché cerca di costruirsi un mondo tutto per sé; travagliato, anche nel fondo della propria miseria, dal desiderio di tornare alla comunione col Padre. Come il padre della parabola, Dio spia il ritorno del figlio, lo abbraccia al suo arrivo e imbandisce la tavola per il banchetto del nuovo incontro, col quale si festeggia la riconciliazione. Ciò che più spicca nella parabola è l’accoglienza festosa e amorosa del padre al figlio che ritorna: segno della Misericordia di Dio, sempre pronto al Perdono. La riconciliazione è un dono di Dio e una sua iniziativa. Ma la nostra Fede ci insegna che questa iniziativa si concretizza nel mistero di Cristo Redentore, riconciliatore, liberatore dell’uomo dal peccato sotto tutte le sue forme.

L’accesso al Sacramento della Riconciliazione e del Perdono si concretizza in un rito che contempla gli atti del penitente: esame di coscienza (il figliol prodigo esamina la sua coscienza); dolore dei peccati e contrizione del cuore (entra in uno stato di pentimento); proponimento di non peccare più; confessa i propri peccati, senza ometterne alcuno (decide di tornare dal Padre); accoglie il Perdono ed esegue la Penitenza (davanti al Padre confessa le sue colpe ed accoglie il suo perdono).

Nell’esame di coscienza cerchiamo di esaminare la nostra anima e la nostra vita, in preghiera davanti a Dio, alla Luce del Vangelo, dei Comandamenti di Dio e dell’insegnamento della Chiesa, a partire dalla nostra ultima confessione. Lo scopo dell’esame non è quello di essere angosciati dalle nostre colpe, ma di riconoscerle con sincerità e fiducia in Dio e poi accostarci al Sacramento della Confessione, con la certezza nel cuore che saremo a Lui perdonati, in quanto Egli è Padre Buono e Misericordioso, lento all’ira e grande nell’Amore.

La contrizione o dolore per i peccati è il riconoscere di aver peccato e offeso Dio nel suo Grande amore per noi, contravvenendo ai Suoi Comandamenti e alla Sua santa e Divina Volontà. Rimpiangere di aver fatto qualcosa e non averlo voluto fare, capire che è stato fatto male e rimpiangere di averlo fatto, corrisponde al dolore del peccato commesso. Il dolore è la cosa più importante nella Confessione. È indispensabile: senza dolore non c’è perdono dei peccati. Ecco perché è assurdo e incomprensibile aspettare che i malati siano molto gravi prima di chiamare un sacerdote. Se il paziente perde le sue facoltà, non sarà in grado di “pentirsi”. Il pentimento è “dolore dell’anima”. Il suo oggetto sono tutti i peccati gravi che sono stati commessi dopo l’ultima confessione fatta.

Il proponimento di non peccare più, di non cadere più nello stesso peccato è indotto dal pensiero e dalla convinzione che se amo veramente Dio, non posso continuare a ferirlo e a tradire il Suo Amore. Non ha senso confessarsi se non si vuole migliorare. Possiamo cadere di nuovo a causa della debolezza, ma l’importante è la lotta, non la caduta. Per potersi confessare non è necessario avere la certezza piena e certissima di non cadere di nuovo. Nessuno ha questa sicurezza. È sufficiente la ferma volontà di non cadere di nuovo. Proprio come quando esco di casa, non so se inciamperò ma so per certo che non voglio inciampare, cadere e farmi del male.

Confessare i propri peccati in dettaglio ed elencarli separatamente l’uno dall’altro. San Giovanni Crisostomo diceva che: «Non si deve solo dire: ho peccato, o sono peccatore, ma si deve anche dichiarare ogni tipo di peccato, in quale momento e come ho peccato». «La rivelazione dei peccati – dice San Basilio Magno – è soggetta alle stesse regole della dichiarazione di una malattia fisica. Il peccatore è spiritualmente malato e il suo padre spirituale è il suo medico. In questo modo si comprende che si devono confessare o raccontare tutti i propri peccati nello stesso modo in cui un malato fisico dice o rivela tutti i sintomi della sua malattia al medico dal quale spera di ricevere la sua guarigione». L’omissione consapevole di un peccato grave non ancora confessato rende la confessione invalida (e si commette un grave sacrilegio). Diventano così sacrileghe anche tutte le confessioni successive in cui questo peccato viene volontariamente messo a tacere.

Affinché il Perdono dei peccati abbia effetto, e l’assoluzione risulta piena e completa, è necessario dare compimento alla penitenza comminata dal confessore a seguito dei peccati confessati. La Penitenza si chiama anche Soddisfazione Sacramentale, perché in qualche modo vuole esprimere il nostro desiderio di riparare alla Chiesa il danno che le abbiamo causato peccando.

La formula di assoluzione esprime gli elementi essenziali di questo Sacramento: il Padre delle Misericordie è la Sorgente di ogni Perdono. Egli realizza la riconciliazione dei peccatori mediante la Pasqua del Suo Figlio e il dono del Suo Spirito, attraverso la preghiera e il ministero della Chiesa: «Dio, Padre di Misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e Risurrezione del Suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E ora io ti assolvo dai tuoi peccati nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Si risponde con l’Amen.

San Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia, scrive:

«La penitenza imposta dal confessore non è certo il prezzo che si paga per il peccato assolto e per il perdono acquistato; nessun prezzo umano può equivalere a ciò che si è ottenuto, frutto del Preziosissimo Sangue di Cristo. Le opere della soddisfazione – che, pur conservando un carattere di semplicità e umiltà, dovrebbero essere rese più espressive di tutto ciò che significano – vogliono dire alcune cose preziose:
1- esse sono il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio, nel Sacramento, di cominciare un’esistenza nuova (e perciò non dovrebbero ridursi soltanto ad alcune formule da recitare, ma consistere in opere di culto, di carità, di misericordia, di riparazione);
2- includono l’idea che il peccatore perdonato è capace di unire la sua propria mortificazione fisica e spirituale, ricercata o almeno accettata, alla Passione di Gesù che gli ha ottenuto il Perdono;
3- ricordano anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione».

(RP 31,III)

«Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza».

(CCC 1460)

Alcune precisazioni finali sono quanto mai necessarie per fare una buona Confessione, raccoglierne i frutti e proseguire sul cammino quotidiano di conversione e santificazione personale e battesimale.

Dal catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), apprendiamo che:

«1473. Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia, le pene temporali del peccato. Il cristiano deve sforzarsi, sopportando pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e, venuto il giorno, affrontando serenamente la morte, di accettare come una grazia queste pene temporali del peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi completamente dell’uomo vecchio e a rivestire l’uomo nuovo.

1484. La confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione, resta l’unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa, a meno che un’impossibilità fisica o morale non li dispensi da una tale confessione. Ciò non è senza motivazioni profonde. Cristo agisce in ogni Sacramento. Si rivolge personalmente a ciascun peccatore: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc 2,5); è il medico che si china sui singoli malati che hanno bisogno di Lui per guarirli; li rialza e li reintegra nella comunione fraterna. La confessione personale è quindi la forma più significativa della riconciliazione con Dio e con la Chiesa.

1483 In casi di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale. Tale grave necessità può presentarsi qualora vi sia un imminente pericolo di morte senza che il sacerdote o i sacerdoti abbiano il tempo sufficiente per ascoltare la confessione di ciascun penitente. La necessità grave può verificarsi anche quando, in considerazione del numero dei penitenti, non vi siano confessori in numero sufficiente per ascoltare debitamente le confessioni dei singoli entro un tempo ragionevole, così che i penitenti, senza loro colpa, rimarrebbero a lungo privati della grazia sacramentale o della santa Comunione. In questo caso i fedeli, perché sia valida l’assoluzione, devono fare il proposito di confessare individualmente i propri peccati gravi a tempo debito. Spetta al Vescovo diocesano giudicare se ricorrano le condizioni richieste per l’assoluzione generale. Una considerevole affluenza di fedeli in occasione di grandi feste o di pellegrinaggi non costituisce un caso di tale grave necessità».

In quel luogo di gioia e di speranza che è la Confessione, incontriamo Dio, nostro Padre e Creatore, che è sempre pronto a perdonare i nostri errori, assicurandoci con certezza che tutto ha una soluzione, perché solo Lui ha sempre l’ultima parola nella nostra vita. Durante la Confessione, è Gesù Misericordioso che, attraverso il sacerdote, ci restituisce la tranquillità e la pace interiore, concedendoci il perdono dei nostri peccati. Non abbiate paura e non vergognatevi, perché il perdono è un dono e il Padre nostro ce lo offre gioiosamente e gratuitamente.

«Per quanto riguarda la Confessione, sceglierò ciò che mi rende più umile e che è più difficile. A volte una piccola cosa costa più di una cosa grande. Prima di ogni confessione ricorderò la Passione del Signore Gesù e con essa risveglierò la contrizione del cuore. Se possibile, con la Grazia di Dio, fare sempre esercizio nel dolore perfetto. Dedicherò più tempo a questa contrizione. Prima di avvicinarmi alla griglia, entrerò nel Cuore aperto e Misericordioso del Salvatore. Quando mi allontanerò dalla griglia, risveglierò nella mia anima una grande gratitudine alla Santissima Trinità per questo straordinario e inconcepibile miracolo di Misericordia che avviene nell’anima; e più la mia anima è infelice, meglio sento che il mare della Misericordia di Dio mi assorbe e mi dà un’enorme forza».

(Santa Faustina Kowalska, Diario della Divina Misericordia, 225)

Diac. Gaetano Lorenzoni

Redattore della sezione "Spritualità cristiana". Ha conseguito la laurea triennale in Scienze Religiose presso lSSR San Pietro Martire, Verona, dicembre 2012, con voto finale 101/110. Insegnante supplente scuola primaria, materie comuni e sostegno; Collaboratore dell'Assistente spirituale del Centro Volontari della Sofferenza (CVS), sezione diocesi di Verona
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