Considerazioni sulle benedizioni Natalizie

Alcune riflessioni sulla pratica delle benedizioni delle case

Un appuntamento sovente atteso con gioia dai fedeli cattolici è l’annuale benedizione delle proprie abitazioni. Mentre nel Rito Romano la benedizione delle case si svolge durante il tempo pasquale, in quello ambrosiano viene impartita in preparazione al Natale, quindi durante l’Avvento.

Non vi è un’unica ragione che giustifichi tale differenza: se da un lato l’indicazione alla benedizione durante il tempo pasquale rimanda, in maniera piuttosto esplicita, alla centralità del tema battesimale proprio di quella stagione liturgica, dall’altro la scelta della Chiesa ambrosiana è di piùdifficile interpretazione. Una spiegazione potrebbe trovarsi nella singolare liturgia dell’Avvento ambrosiano, che dura ben sei settimane. In particolare, la IV domenica di Avvento è centrata sul tema dell’ingresso del Signore e, in tale occasione, viene proclamata la pericope evangelica dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Come il Signore, quindi, viene a visitare il proprio popolo, allo stesso modo il parroco visita i propri parrocchiani raggiungendoli nelle loro case. Inoltre, la benedizione è anche occasione per il parroco di poter visitare quei fedeli che, a motivo di malattia o infermità, non sono in grado di recarsi in chiesa.

Fino alla riforma liturgica, il rito della benedizione natalizia, pur nella sua semplicità e relativa brevità, esprimeva bene il senso di sacralità che purtroppo oggigiorno ravvisiamo sempre meno durante queste ricorrenze. Il parroco, indossata cotta e stola, entrava nell’abitazione recitando, in latino, quanto il Signore stesso raccomandò ai propri discepoli: «Pax huic domui et omnibus habitantibus in ea». In seguito, durante l’aspersione, si recitava l’antifona Asperges me, seguita dal Salmo 50 (il Miserere mei Deus), il Gloria Patri e la ripetizione dell’antifona. Esattamente come l’aspersione con l’acqua benedetta all’inizio della Messa domenicale, il rito poi terminava con l’orazione conclusiva. 

Per completezza, menziono anche il rito della benedizione di una nuova casa, che differisce per la presenza di un’orazione propria, e, soprattutto, dalla benedizione di una casa infestata dal demonio o in tempo di pestilenza, il cui svolgimento era invece decisamente più lungo e articolato e con dettagli, di cui non ci occupiamo in quest’articolo, ma che lasciamo alla curiosità di voi lettori.

Stabilendo un confronto rispetto a quella che è la prassi odierna, possiamo notare molteplici differenze che meritano di essere commentate. In primo luogo, oggi non ci si può più riferire al «rito» della benedizione e questo non perché il Benedizionale sia privo dell’apposito formulario, ma per ragioni di praticità i sacerdoti si limitino sovente alla recita di una generica preghiera e alla successiva aspersione con l’acqua benedetta. Suscita quasi una certa ironia il pensiero che il Benedizionale riformato sia stato addirittura arricchito di una forma lunga con tanto di letture e responsori dedicati, quando i sacerdoti difficilmente praticano la sola forma breve.

Altro elemento di contrasto è, invece, la denominazione stessa della benedizione, che passa da essere una benedizione delle case a una benedizione “delle famiglienelle case”. Tale mutamento si rende ancora più evidente nelle premesse riportate nel Benedizionale, che recitano quanto segue: «Poiché il rito della benedizione annuale di una famiglia nella sua casa riguarda direttamente la famiglia stessa, esso richiede la presenza dei suoi membri. Non si deve fare la benedizione delle case senza la presenza di coloro che vi abitano». Tuttavia queste indicazioni sembrano in contrasto con quello che è il sentimento ancor più diffuso tra i fedeli, che hanno a cuore soprattutto la benedizione dell’edificio piuttosto che della persona (la quale, se si desidera riceverla, non necessita della visita di un prete, salvo gli ammalati). È evidentemente auspicabile la presenza di quanti abitano in una casa durante la benedizione della stessa, ma non si capisce la necessità di trasferire l’oggetto della benedizione dal luogo alle persone, anche perché difficilmente oggi si riesce ad avere tutti i residenti presenti al momento della visita del sacerdote. Secondo questo ragionamento, si dovrebbe evitare di far benedire anche tutti i luoghi che non sono abitazioni residenziali, come le attività lavorative, commerciali, scolastiche e via dicendo, poiché quanti in un dato istante vi si trovassero non costituirebbero un’associazione come quella famigliare che, a quanto pare, è presupposto per benedire un luogo. Inoltre, se la benedizione è diretta alle persone, in che cosa sarebbe differente rispetto alla benedizione che, almeno una volta a settimana, tutti i fedeli ricevono al termine della Santa Messa o comunque in occasione di qualsiasi momento liturgico in chiesa? In aggiunta a tali obiezioni, però, vale la pena notare che l’avversione alla benedizione del luogo in quanto tale sottende anche un certo ragionamento teologico secondo il quale il demonio e, quindi, il male non sia un’entità realmente presente come abbiamo inteso finora, quanto più una cattiva disposizione dell’indole umana, una condizione del tutto personale che spinge a compiere comportamenti giudicati malvagi. Di qui la necessità di rivolgere la benedizione solo alle persone e non ai luoghi. Al contrario, non dobbiamo scordarci come la dottrina cattolica insegni che certamente satana agisce attraverso le persone sia in forma di vera e propria possessione demoniaca, sia cercando di instillare nell’essere umano un malsano piacere verso il peccato e il rigetto dei comandamenti di Dio. Questo però non toglie nulla alla sua esistenza come creatura maligna per eccellenza che persegue lo scopo di condurre le anime alla dannazione eterna. In tal senso, il demonio e gli altri spiriti maligni possono effettivamente annidarsi anche negli edifici costruiti dall’uomo e, di qui, l’importanza della benedizione non solo alle persone ma anche ai luoghi.

Infine, anche la figura del ministro (della benedizione) merita un approfondimento, in quanto, pur rimanendo formalmente il parroco colui che è tenuto a visitare i parrocchiani, vi è la possibilità che egli possa farsi sostituire da «i suoi collaboratori». È evidente che tale dizione genera molte problematiche, perché con “collaboratori” si possono intendere altri sacerdoti o, eventualmente, dei diaconi, ma anche dei semplici aiutanti laici che sempre più spesso vengono coinvolti nelle benedizioni delle case. Da un lato è comprensibile come il netto incremento delle dimensioni dei centri abitati, rispetto a sessant’anni fa, abbia inevitabilmente generato delle difficoltà affinché sia il parroco a visitare personalmente tutti i parrocchiani, difficoltà inoltre aggravate dalla sempre più frequente creazione di comunità pastorali, che raggruppa più parrocchie sotto un unico parroco. Questo però non deve costituire una giustificazione per affidare il compito di benedire la case a collaboratori laici, perché questa scelta non solo rischierebbe di destare malumore tra i fedeli che, giustamente, si aspettano di ricevere la visita da parte di un ministro di Cristo, ma implicherebbe anche la sostituzione della benedizione con un generico momento di preghiera o occasione di incontro con un membro della comunità parrocchiale. Tale esito in sé non è una cosa negativa, anzi potrebbe pure risultare molto favorevole in certe circostanze, ma non dovrebbe assolutamente sostituirsi alla benedizione, la quale ricordiamo essere un sacramentale, fonte di santificazione per la propria vita.

Christian Frontini

Christian Frontini

Redattore presso la redazione di Ecclesia Dei. Ha conseguito la maturità scientifica presso il Liceo "G. Torno" di Castano Primo. Attualmente studia Matematica presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca
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