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Consolatur nos in omni tribulatione nostra

In questo tempo di santa Quaresima, riflettiamo sull’importanza dell’amore per la sofferenza e la croce.

“Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.

Questa consapevolezza maturata da San Paolo è ben radicata nella profonda convinzione che il cristiano detiene nei confronti delle sofferenze e delle tribolazioni. Gesù Cristo ci ha aperto la via del cielo, ma ci ha lasciato la sua vita, e i suoi patimenti, come esempio per orientare la nostra santificazione: Christus pro nobis passus est, relinquens nobis exemplum, ut sequamini vestigia eius.

Il nostro peregrinare terreno non è affatto una gita di piaceri, ma una continua lotta contro il demonio per non perdere l’anima in aeternum. Questo combattimento della vita soprannaturale è tracciato nel solco profondo della nostra condizione, ed è per questo che Cristo ci ha insegnato la via della sofferenza vicaria, dell’accettazione delle sofferenze e dell’amore per la croce.

Se, infatti, il Signore desidera più di tutto la nostra uniformità alla sua volontà, giacché dalla nostra volontà dipende la salvezza o no dell’anima, la prova determinante per testare la capacità di un’anima di carità verso Dio è proprio la sofferenza. Non c’è merito nell’amare e godere del bene che ci accade. In questo chi non ama Dio è anche più bravo di noi. Cosa c’è di speciale nel gloriarsi o nel sorridere negli eventi favorevoli della vita? Nella prosperità, tutti sono capaci di uniformarsi alla divina volontà. Ma l’anima che ama Dio, si uniforma alla sua volontà soprattutto nelle infermità e nelle croci.

La croce è il mezzo con cui Dio dapprima ci santifica, e poi ci salva: Nos autem gloriari oportet
in cruce Domini nostri Jesu Christi: In quo est salus, vita et resurrectio nostra: Per quem salvati et liberati sumus. Questo è il canale della grazia più efficace che abbiamo a disposizione.

Nelle infermità, nelle desolazioni di spirito, nella povertà, nei dispregi, nelle ingiurie e nelle infamie: è in queste occasioni che possiamo crescere spiritualmente e camminare sulla via della santificazione.

Questo perché, innanzitutto, se davvero la perfezione cristiana consiste nell’imitare Cristo, cosa c’è di più perfetto che soffrire come Lui ha sofferto? Portare i patimenti con quel giogo dolce, di cui parla Gesù, è un atto d’amore verso Dio di grandissimo valore. La nostra natura, poi, è profondamente ferita, come ci insegna il Concilio di Trento, ed è la sofferenza che ci costringe a ricordare la nostra condizione peccaminosa, incredibilmente ferita, oltre che a distogliere lo sguardo dalla materia, origine di tante occasioni prossime di peccato.

Le sofferenze ed i patimenti nel corpo, quelle infermità che affliggono i sensi, cosa sono, se non delle prove tecniche degli ultimi istanti di vita, in cui ci troveremo, poco prima di passare all’eternità? Ecco che le sofferenze diventano una palestra soprannaturale incredibile, dove allenare la propria mente a mantenersi salda vicina a Dio. “Adesso sono quasi certo di guarire e di riprendermi, ma arriverà un momento in cui non mi potrò riprendere più”. Così come l’atleta può correre novanta minuti, solo se ne pratica altrettanti nelle varie sessioni di allenamento, così queste croci sono propedeutiche alla morte, onde dovremo stringere i denti e tenerci vicino a Dio. Provate a contrastare un atto impuro da sani, e poi da malati. Vi accorgerete di quanto sia esponenzialmente più difficile tenere saldo l’intelletto nell’infermità, piuttosto che nella normalità. E cosa pensiamo, che nell’atto di morire non sarà altrettanto difficile resistere alle tentazioni di peccato? 

Tutte le tribolazioni sono doni della grazia di Dio, che il Signore permette per la nostra perfezione cristiana. Tutto ciò che avviene nel mondo, avviene perché Dio lo vuole e lo permette: Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum. Quelli che noi chiamiamo “mali”, sbagliando, in realtà sono delle avversità per il nostro bene. Dio non vuole il male, ma permette la tribolazione per testare la carità e la fede dei suoi figli. Dio non vuole il peccato, e non concorre alla malizia di chi lo commette magari a danno tuo, ma concorre generalmente all’azione materiale, perché conosce il bene che quella croce ti può elargire, ragione per cui il Signore disse a Davide: Ecce ego suscitabo super te malum de domo tua, et tollam uxores taus in oculis tuis, et dabo proximo tuo.

Rallegriamoci nella sofferenza, perché è allora che il Signore ci sta concedendo un’enorme occasione di santificazione e ci dà la possibilità di guadagnare meriti preziosi per il Paradiso.

Sì, ma a volte mi sembra” dirà il cristiano che queste croci siano troppo grosse per me da portare”. Hai detto bene: ti sembra.

Chi siamo noi per giudicare i disegni della Divina Provvidenza? Non esiste croce che il Signore assegni alla persona sbagliata, ma esistono occhi indiscreti e menti ottuse che non vogliono fare la fatica di portare quelle croci. Il Signore concede sempre i mezzi per portare le sofferenze: non dobbiamo parlare troppo e criticare i disegni di Dio, ci basta solo ripetere fiat voluntas tua, anche quando i pesi ci sembrano davvero grandi. Forse adesso non capisci la croce, non vedi il frutto che potresti raccogliere da questa sofferenza. Ma il Signore non ti chiede di capire la croce, perché essa è un Mistero. Ti chiede solo di fidarti di Lui, che ti conosce e ti ama come suo figlio. 

E’ semplice lodare il Signore quando tutto va bene. Tanti cristiani somigliano a delle sculture di sale: non appena un’onda un po’ forte vi si abbatte, si sgretola in mille pezzi, perdendo la sua integrità. Stultus sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut vult: lo stolto si muta come la luna, che oggi cresce e domani manca. Ma il vero cristiano ama la croce perché vede in essa un dono per raggiungere Cristo e la santità perfetta. Quando qualcosa di buono o utile ci viene tolto, anche ingiustamente, diciamo con Giobbe: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore.

Concludiamo con questo bellissimo pensiero di S. Alfonso:

“L’intento di un’anima che ama Dio non è che di unirsi tutta con Dio; ma per giungere a questa perfetta unione, udiamo quel che diceva S. Caterina da Genova: «Per arrivare all’unione di Dio son necessarie le avversità; perché Dio attende per mezzo di quelle a consumar tutt’i nostri pravi movimenti di dentro e di fuori. E però tutte le ingiurie, disprezzi, infermità, abbandonamenti de’ parenti e d’amici, confusioni, tentazioni ed altre cose contrarie, tutte ci sono sommamente di bisogno, affinché combattiamo, finché per via di vittorie vengano ad estinguersi in noi tutt’i malvagi movimenti, sicché più non li sentiamo; e finché più non ci paiano amare, ma soavi per Dio tutte le avversità, non giungeremo mai alla divina unione». Da tutto ciò, un’anima che desidera di esser tutta di Dio dee risolversi, come scrive S. Giovanni della Croce, a cercare in questa vita non di godere, ma di patire in tutte le cose, abbracciando con avidità tutte le mortificazioni volontarie e con maggior avidità ed amore le involontarie, perché queste sono più care a Dio.”

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