Giovanni Melchiorre Bosco, diamante autentico del sacerdozio cattolico, nacque il 16 giugno 1815 nella città di Morialdo, in provincia di Asti, secondogenito di Francesco Bosco e Margherita Occhiena.
Il padre, un contadino umile della cascina dei Becchi, in Morialdo,era uomo di ottima indole, eccellente cristiano e molto sensibile all’istruzione religiosa, frequentava con costanza i catechismi e le messe in parrocchia. La madre, una donna virtuosa e timorata di Dio, che già in giovinezza si era contraddistinta per un animo molto militante, si ricorda per il suo carattere molto deciso e una profonda pietà cristiana.
Ancora infante, Giovanni si vide privato del padre, morto all’età di trentasette anni, lasciando a Margherita l’incarico di custodire i figli, e di condurli in Paradiso. L’infanzia di Giovanni fu molto particolare, è stata infatti costellata di molti episodi in cui si evinceva chiaramente che, nonostante la tenera età, qualcosa di straordinario già si nascondeva in lui.
Giovanni, infatti, fu sempre molto obbediente nei confronti di sua madre. Metteva in pratica le virtù, in ogni occasione che la Provvidenza gli presentava sul suo cammino.
Due racconti sono degni di nota. Un giorno, alcuni compagni di Giovanni cercarono di provocarlo invitandolo ai bagordi e ai divertimenti perché lo vedevano diligente e virtuoso. Inizialmente con le sole provocazioni verbali e tracotanti, poi con la forza, mala risposta secca di Giovanni fu :
«Ho detto che non vengo, e non verrò». I ragazzacci allora gli piombarono addosso e lo malmenarono con calci e pugni. Ma il giovane Don Bosco, terminato il pestaggio, non reagì né durante, né dopo. Anzi, tornò a curare il bestiame anche per conto dei suoi aggressori, onde evitare che venissero sgridati dai rispettivigenitori. Fu questo un esempio talmente illuminante per i suoi compagni che, stupiti, smisero di infastidirlo e diventarono suoi amici fidati.
In un’altra occasione, Giovanni si era affezionato ad un merlo che aveva nidificato in prossimità della scuola che egli frequentava. Non era la prima volta che Giovanni si dedicava alla cura degli uccelli: egli amava i nidi e spesso li andava a scovare anche per tenere qualche piccola bestiola in casa (sempre con il consenso di mamma Margherita). Un giorno di ritorno da scuola, scoprì con grande orrore che il merlo era stato dilaniato e divorato da un grosso gatto. Giovanni pianse per tre giorni, era davvero inconsolabile. Poi, risoluto, decise di distaccare gli affetti da ogni creatura, e di rivolgerli solo a Dio.
Giovanni crebbe, e assieme agli anni aumentarono anche i dissidi con il fratellastro, il quale non sopportava l’idea che suo fratello minore perdesse tempo, dietro alle scartoffie e agli studi, invece di lavorare nei campi. Giovanni venne dunque mandato come garzone a lavorare alla cascina Moglia, dal febbraio del 1828 al novembre del 1829. L’intervento del vecchio cappellano Don Giovanni Calosso fu però decisivo: Giovanni riuscì a proseguire gli studi elementari a Castelnuovo e quelli umanistici nel Regio Collegio di Chieri.
All’età di vent’anni, Giovanni prese una decisione risoluta: entrare nel seminario vescovile di Chieri. La presenza continuativa di Don Giuseppe Cafasso, santo vicino ai condannati a morte ed esperto massimo di teologia morale, lo aiutò a intraprendere la strada degli studi in seminario. Il 5 giugno 1841, Giovanni diventa sacerdote, ordinato dal vescovo Luigi Fransoni. Volendo perfezionare gli studi, tornò a Torino, dove fu il Cafasso a scrivere un resoconto del “primo” Don Bosco dal quale emergono: lacentralità del servizio divino e dell’esercizio del ministero, la cura liturgica e l’amministrazione dei Sacramenti, la totale mitezza e disponibilità al servizio, tanta preghiera, spirito di penitenza e mortificazione, carità esemplare.
Dopo aver affiancato il Cafasso, Don Bosco visitò la diocesi di Milano, e rimase affascinato dalla realtà dell’oratorio che laChiesa Ambrosiana aveva sviluppato da molto tempo prima. Don Bosco poi, quando tornò nelle sue terre, cominciò lì l’opera degli oratori eleggendo, fin da subito, San Francesco di Sales come principale protettore di questa sua opera.
All’inizio la realtà non aveva una fissa dimora. Attorno al 1846, Don Bosco decise di stabilirsi a Valdocco. Prima, in poche stanze e una tettoia adattata a cappella, poi prese in affitto una costruzione di periferia, casa Pinardi, che infine acquistò insieme al terreno circostante.
Dopo Valdocco, che fu il secondo oratorio ad aprire in quella zona (prima di Don Bosco, nel 1840 ne venne aperto uno da Don Cocchi), un altro ne venne avviato in zona Porta Nuova.
Il 1848, come ben sappiamo, rappresenta un anno nefasto per la Chiesa Cattolica. Sotto la spinta delle società segrete e della massoneria italiana, i moti rivoluzionari mettono a ferro e fuoco il vecchio continente con l’obiettivo quello di arrecare più danni possibili alla Chiesa Cattolica e non senza gravi e nefaste conseguenze.
Nel 1850, furono promulgate le orribili Leggi Siccardi, che sancirono di fatto la volontà di distruggere il rapporto tra il braccio secolare e la Chiesa Cattolica, al netto della contro-storia che celebra la libertà e il diritto a vantaggio dei vili uomini senza Dio, a discapito dell’Onnipotente e della sua Chiesa.
Le conseguenze arrivarono anche, e soprattutto, a Torino. Don Bosco dovette fare i conti con l’esilio del vescovo Fransoni, che venne mandato a Lione perché si era chiaramente opposto, da buon pastore di anime, alle leggi Siccardi. In seguito a questoperiodo di incertezze e di buio arrivò la ripresa.
Don Bosco, sempre su iniziativa del Fransoni, venne nominato direttore spirituale dei tre oratori maschili di Valdocco, Porta Nuova e Vanchiglia. La tettoia iniziale venne rimpiazzata da una chiesa più ampia dedicata a San Francesco di Sales. Venne costruita poi una casa annessa all’oratorio dove Don Bosco ospitava studenti ed apprendisti. I numeri lievitaronovertiginosamente.
Per grazia di Dio, e per l’impegno instancabile di Don Bosco, venne consacrata una grande chiesa dedicata a Maria Ausiliatricee il sacerdote iniziò “l’apostolato della buona stampa”. Il Santo dedicava notti intere a pregare e scrivere trattati di spiritualità e cultura religiosa e non. Celebri sono i suoi volumi sulla storia sacra, sull’aritmetica, sulle virtù e sulla preghiera, sul catechismo. In un periodo di crisi anche per i seminari, Don Bosco rappresentò un autentico faro per le vocazioni, formando e donando alla Chiesa oltre 2500 sacerdoti. Quanti suoi ragazzi dell’oratorio e figli spirituali sono divenuti vescovi e cardinali! Fu sempre mansueto ma anche severo a dovere, sia con i ragazzi dell’oratorio, sia con gli adulti, sia con i superiori che con coloro che stavano alle sue direttive.
Celebre fu l’attrito con l’arcivescovo Lorenzo Gastaldi, il quale pretendeva che la società salesiana fosse diocesana, e quindi pienamente sottoposta all’autorità vescovile per una questione di giurisdizione canonica. Il gelo rimase a lungo, anche dopo che la Santa Sede, chiamata in causa dall’arcivescovo, invitò Don Bosco a portare le sue scuse alla curia e a Gastaldi. Ebbene, dopo la morte di quest’ultimo, Don Bosco ottenne il decreto di estensione ai Salesiani dei privilegi concessi dalla Santa Sede ai Redentoristi, garantendo così l’esenzione dalla giurisdizione vescovile.
Durante la sua vecchiaia, Don Bosco non si fermò mai: viaggiò per l’Europa, facendo tappa a Parigi, in Austria, in Spagna e a Roma, il suo ultimo viaggio.
Anche dal letto di morte, Don Bosco non smise di essere Don Bosco. Volle benedire i suoi ragazzi che venivano a confortarlo prima del passaggio alla vita eterna. I suoi sacerdoti gli stettero accanto fino alla fine. Le cronache riportano un Don Bosco che si mise a piangere sul letto di morte, quando gli fece visita il cardinale Alimonda, arcivescovo di Torino che gli disse: «Non pianga, lei non deve temere la morte. Ha raccomandato tante volte gli altri di stare preparati!». Ma Don Bosco rispose: «Penso che presto mi presenterò a Dio e dovrò dargli conto di tutto […] L’ho detto agli altri di stare preparati ed ora ho bisogno che altri lo dicano a me! […] Eminenza, le raccomando che preghi perché possa salvare l’anima mia! Domando la Santa Benedizione! […]».
Don Bosco morì a Valdocco il giorno 31 gennaio dell’anno del Signore 1888. Quando la voce della sua morte si diramò, come un torrente in piena per le strade di Torino, il paese si strinse attorno a questo grande Santo. Interi negozi chiusero, con l’effige appesa fuori che recitava: «Chiuso per la morte di Don Bosco». La sua salma fu esposta nella Chiesa di S. Francesco di Sales e una fiumana di persone accorse per vedere il corpo del loro amato sacerdote. Si permise loro di toccare medaglie, corone, orologi, fazzoletti. Il terreno era fertile di santità.
Mentre il feretro veniva trasportato a Valsalice, il corteo funebre contava la presenza di almeno centomila persone: un avvenimento trionfale. Era evidente che ci si trovasse di fronte a qualcosa di particolare.
Spesso, quando si parla di Don Bosco, si tende purtroppo ad immaginarlo come il prete che abbraccia i ragazzi e a neutralizzarlo soltanto come un benefattore e un bravo pretevicino agli emarginati, ai poveri e agli abbandonati dalla società. Don Bosco però non può essere ridotto ad una brava persona che faceva del bene e basta, come il modernismo tende a fare: nihil sub sole novum.
In realtà Don Bosco compì veri e propri prodigi, che di fatto gli hanno fatto guadagnare la corona della beatificazione prima e della canonizzazione poi. Un sacerdote salesiano vissuto un secolo dopo Don Bosco, l’esorcista Don Giuseppe Tomaselli, anche lui un gigante del sacerdozio, ha dedicato una sua operetta al fondatore della sua Congregazione perché la vita di Don Bosco era stata totalmente costellata di episodi preternaturali e soprannaturali.
Don Bosco, infatti, si bi-locava e, addirittura, si tri-locava. Veniva visto contemporaneamente in due o tre posti. Ammoniva i ragazzi dell’oratorio, pur essendo lontano da Valdocco, perché visitava il luogo anche non essendo fisicamente presente. Don Bosco aveva il carisma della sostituzione mistica, ossia era in grado di togliere i mali del corpo ai suoi fedeli per prenderseli lui. In un episodio, mentre era lontano da Torino, vide ugualmente che due giovani erano andati al fiume a bagnarsi, contrariamente al suo ordine. Il sacerdote allora si presentò da loro e li prese a palmate sulla schiena. I giovani si videro percossi da nessuno e scapparono terrorizzati promettendo di non riproporre il misfatto con la disobbedienza.
In un’altra occasione, Don Bosco riuscì anche a moltiplicare il cibo: venne visto moltiplicare le pagnottelle per la colazione dei ricoverati, le castagne e anche le nocciole. Infine, ben due volte, moltiplicò le sacre Particole.
Il santo conosceva perfettamente le anime che il Signore gli aveva affidato. Sapeva sempre lo stato dell’anima dei suoi ragazzi. Spesso, siccome confessava dietro l’altare maggiore, non riusciva a confessare tutti i ragazzi. Allora, di quelli rimanenti toccava sulla testa quelli in grazia di Dio, giudicandoli degni ricevere il Santissimo Sacramento; agli altri, invece, invitava a rimanere per la confessione dopo la Santa Messa.
Parlava spesso con i defunti in Purgatorio: una volta, dopo che una parrocchiana le aveva confidato di essere incerta sulla salvezza di un suo parente defunto, Don Bosco le riferì, in sede di confessione: «Non si preoccupi! L’ho visto e ci ho parlato, è in Purgatorio! La raccomando di pregare per la sua anima».
Spesso Don Bosco sognava dei ragazzi che sarebbero morti a breve: così, da sveglio, si recava da loro, li confessava e li preparava a morire, fatto che accadeva subito dopo. Una volta, Don Bosco si recò da un ragazzo appena morto. Non appena entrò nella stanza, il ragazzo si svegliò e confidò a Don Bosco di non essere pronto a morire. Il sacerdote lo confessò e il ragazzo, felice e beato, lo ringraziò e si riaddormentò, morto.
Il processo di beatificazione è durato dal 3 giugno 1890 al 2 giugno 1929 e si è svolto in due fasi: il processo informativo diocesano (o ordinario) da parte della Cancelleria Arcivescovile di Torino e il processo apostolico da parte della SCR di Roma. Dapprima, si tenne il Processo sulle virtù, la santità e i doni.
Il processo diocesano o ordinario di Torino durò quasi sette anni, dal 3 giugno 1890 al 1° aprile 1897.
Il compito principale del processo diocesano fu quello di indagare sulla fama di santità, sulle virtù e sui doni soprannaturali di Don Bosco attraverso la deposizione di testimoni. Dopo il processo diocesano, con vari ritardi, la SCR esaminò e approvò i suoi atti e la loro validità procedurale. Il 24 luglio 1907, Papa San Pio X firmò il Decreto che autorizzava l’introduzione della causa davanti alla SCR, istituendo così il processo apostolico, che si concluse con la Beatificazione il 2 giugno 1923. Il processo apostolico si svolse in due sedi, presso la Cancelleria di Torino e la SCR a Roma.
Il processo apostolico sulla fama di santità, sulle virtù e sui doni soprannaturali di Don Bosco fu istituito dalla SCR a Torino il 4 aprile 1908 e si concluse con la prima ispezione ufficiale del corpo di Don Bosco il 13 ottobre 1917. I suoi Atti furono esaminati dalla SCR e poi approvati da Papa Benedetto XV il 9 giugno 1920.
All’incirca nello stesso periodo, tra il 1915 e il 1922, si svolsero alcune inchieste a seguito di esposti del canonico Colomiatti contro Don Bosco per il conflitto di quest’ultimo con l’arcivescovo Lorenzo Gastaldi. Queste indagini, la più importante delle quali ebbe luogo nel 1915-1916, vanno sotto il nome di “Piccolo Processo” (Processiculus). I Salesiani presentarono una confutazione nel 1922. Dal 1922 al 1927, la SCR ascoltò a Roma testimonianze sull’eroica pratica delle virtù da parte di Don Bosco. Nonostante nuove difficoltà che richiesero un’ulteriore riunione (congregazione preparatoria) dei cardinali, Papa Pio XI autorizza, il 20 febbraio 1927, la lettura del Decreto sulle virtù.
Nel frattempo, i Salesiani avevano scelto i due miracoli necessari per la beatificazione. Dopo l’indagine diocesana, nel marzo 1927,questi furono sottoposti all’approvazione della SCR. In tre riunioni richieste dai cardinali, i miracoli furono approvati e Pio XI autorizzò la lettura del Decreto sui miracoli il 19 marzo 1929. Il 21 aprile 1929 seguì il Decreto De Tuto e il 17 maggio ebbe luogo la seconda visita formale della salma a Valsalice. Don Bosco fu beatificato nella basilica di San Pietro a Roma il 2 giugno 1929.
La causa per la canonizzazione di Don Bosco fu ripresa il 18 giugno 1930, mentre si muoveva la causa di beatificazione di Domenico Savio, con una notevole opposizione incentrata sulla biografia di Don Bosco del giovane Servo di Dio. L’attacco alla biografia si riflette su Don Bosco, nonostante la sua beatificazione. I due nuovi miracoli richiesti, attribuiti all’intercessione del Beato Giovanni Bosco, furono sottoposti all’indagine prima dei tribunali diocesani, poi della SCR per l’esame e l’approvazione. Uno venne accantonato e un altro venne subito messo in suo luogo. Le testimonianze furono ascoltate in tre congregazioni e i miracoli furono approvati. Il 19 novembre 1933 Pio XI autorizzò la lettura del Decreto sui miracoli e il 3 dicembre la lettura del Decreto De Tuto. La canonizzazione di Don Bosco fu celebrata in San Pietro a Roma la domenica di Pasqua del giorno 1 aprile del 1934: le campane di Roma suonarono a distesa, Don Bosco era Santo, annoverato tra i Confessori non Pontefici.