Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima».
Luca 2,34-35
La nascita di Gesù, che presto ci prepareremo a vivere, è un mistero gaudioso. Gioia per gli angeli del cielo che cantano «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14); gioia per i pastori che, avendo ricevuto l’annuncio di «una grande gioia che sarà di tutto il popolo» (Lc 2, 17), accorrono a Betlemme; gioia per i Magi che seguendo la stella giungono anch’essi a Betlemme; gioia per la madre, Maria, per la nascita del figlio che è il frutto del suo seno, la gioia perché «è venuto al mondo un uomo» (Gv 16, 21). Lei sa di essere genitrice, con il suo “eccomi” (Lc 1, 37) ha cambiato la storia. Accanto a Lei, Giuseppe condivide e completa la stessa gioia, come vero sposo, testimone primo e privilegiato che il Bambino è nato non per intervento di uomo, come un angelo apparsogli in sogno gli aveva confermato: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù» (Mt 1, 20-21).
Ci sono poi e Anna e Simeone; quest’ultimo si scioglie in un canto di gioia incontenibile: «I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 30-32). Parole certamente semplici ma altrettanto cariche di gioia e felicità di un uomo che per tutta la sua vita ha rincorso un sogno ed ora lo ha finalmente raggiunto. Nel riconsegnare il Bambino, l’anziano Simeone si rivolge alla Vergine Maria con un sussulto e le preannunzia le sue future afflizioni e patimenti.
Nel contesto gioioso e festante di quella famiglia, la rivelazione di Simeone risulta come un grido che lacera quello spazio di gioia. Quel Piccolo sarà salvezza, luce e gloria; allo stesso tempo sarà anche “rovina”. Per «molti» segnerà la “risurrezione”; per altri «molti» segnerà la “perdizione”
La Vergine Maria prendendo tra le sue braccia il suo Figlio sa, per mezzo di Simeone, che una spada le trafiggerà l’anima. Maria, come ogni madre, non teme il dolore fisico, per lei è sopportabile; ciò che diventa insopportabile è sapere che il frutto del suo seno dovrà subire umiliazioni, sofferenze e persino la morte. Quale madre non vorrebbe soffrire al posto del proprio figlio?
Anche noi nella nostra vita affrontiamo le tribolazioni, imparagonabili al dolore di Maria, ma ciascuna croce è pesante quanto basta, quanto siamo in grado di sostenerla. Come possiamo dirci cristiani se non ci sforziamo di fare la volontà di Dio? Capita spesso di lamentarsi delle proprie sofferenze: “queste sofferenze superano le mie forze”; mai lamentarsi, soprattutto se si pensa al fatto che la Vergine Maria non ha mai pronunciato una parola di sgomento, mai! Lamentarsi è una mancanza di rispetto verso Dio e un affronto alla sua bontà a sapienza infinita.
Il vasaio sa quanto tempo la sua creta deve rimanere nel forno, per essere cotta al grado di calore che la renda pronta agli usi; non ve la lascia né più né meno. Bisogna non aver riflettuto mai per osare dire che Dio, Sapienza infinita e che ama di amore infinito, possa caricare le spalle delle sue creature di un fardello troppo pesante e possa lasciare più a lungo di quanto occorra nel fuoco della tribolazione.
Mi unisco a te, Maria addolorata, nell’afflizione del tuo tenero cuore quando il vecchio Simeone ha pronunciato la sua profezia. Cara Madre, per il tuo cuore tanto afflitto ottienimi la virtù dell’umiltà e il dono del santo timor di Dio.
Ave Maria…
Eja Mater, fons amoris, me sentire vim doloris, fac ut tecum lugeam…
Iuxta crucem tecum stare et me tibi sociare in planctu desidero…
Quando corpus morietur, fac ut animae donetur paradisi gloria . Amen.