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Erat lux vera

Analizziamo il carattere e l'origine del conosciutissimo inizio, detto Prologo, del Vangelo secondo San Giovanni.

Nelle battute finali della S. Messa, il sacerdote, dopo aver impartito la benedizione finale, si reca in cornu Evangelii, e legge il Prologo del S. Vangelo di S. Giovanni, altrimenti detto principio del S. Vangelo. Si rende necessario, tuttavia, considerare sempre le origini di quelli che sono i principali attributi e le principali ricchezze della S. Messa, che, a detta di del grande tomista R.G. Lagrange, rappresenta l’atto più nobile del corpo mistico di Cristo, ossia la sua Santa Chiesa Cattolica. 

Donde viene, pertanto, l’uso della lettura al termine della S. Messa.

Un tempo, il sacerdote, senza tenere innanzi il libro, faceva il segno della croce sull’altare, prima di farlo su se stesso. La tavolette, sulle quali sono “incise” le preghiere dell’ordinario della S. Messa, eccettuato il Canon Missae, e che si indicano con il nome di canoni da altare, sono di uso assai recente. A partire dall’entrata in scena di queste tavolette, si introdusse la pratica di fare, su quella che contiene tale vangelo di S. Giovanni, il segno della croce: il sacerdote può comunque segnarsi sull’altare, figura di Cristo morto per la nostra eterna salute, e che il Prologus tratta come soggetto primario di indagine, nella sua natura e nella sua incarnazione (si parla spesso di duplice generazione, ma bisogna fare attenzione ai termini: il Verbo, seconda persona della Santissima Trinità, è generato dal Padre, che gli comunica tutte le sue perfezioni, ad aeterno, per questo diciamo nel credo: “et ex Patre natum ante omnia saecula”: prima generazione; Gesù Cristo è il Verbo incarnato, ossia è la seconda persona della Santissima Trinità, l’ipostasi, che possiede già la natura divina (per unità di sostanza in Dio uno e trino), ma che assume la natura umana grazie alla Corredentrice Maria: seconda generazione, una persona divina nelle due nature, divina e umana).

Quale sarebbe, però, l’origine di questa lettura? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo tornare al periodo di luce divina e di splendore sapienziale: il Medio Evo. In quell’epoca, i fedeli avevano un’immensa devozione, e chiedevano di far recitare una parte del S. Vangelo, dando la preferenza al principio di quello di S. Giovanni. Tale richiesta andò sempre più moltiplicandosi, ed i sacerdoti non potevano più bastare: per questa ragione, si credette fosse migliore la lettura dello stesso testo, alla fine della S. Messa. La devozione popolare, quindi, è protagonista in questa richiesta.

Una piccola nota di interesse. Nel passo del prologo di S. Giovanni che riporta: “Omnia per ipsum facta sunt […] ”, la Chiesa latina ha seguito sino a S. Pio V un modo differente da quello che seguiva la liturgia greca. Infatti, S. Agostino e tutti i padri latini, incluso pure S. Tommaso d’Aquino, leggevano: “Sine ipso factum est nihil. Quod factum est, in ipso vita erat et vita erat lux hominum”; mentre S. Giovanni Crisostomo, e più in generale i padri greci, recitavano: “Sine ipso factum est nihil quod factum est. In ipso vita erat, et vita erat lux hominum.” 

I manoscritti non hanno né punti, né virgole: questi segni sono di uso più recente, infatti: ecco spiegata la differenza di puntuazione. Questa ragione mosse S. Pio V, nell’edizione del suo messale, a conservare la puntuazione latina. Tuttavia, poco tempo dopo di lui, s’introdusse anche in Occidente l’uso greco.

Infine, il sacerdote si genuflette quando il S. Vangelo riporta il momento cruciale del progetto di economia di redenzione oggettiva e soggettiva, ossia l’Incarnazione. Si onora in questo momento l’annichilazione paolina del Verbo fatto carne, che “si annichilò, prendendo la forma di servo”

Nel taglio della fantastica riforma conciliare, il Prologo del S. Vangelo è scomparso, forse perché catalogato come mistificheria medievale, forse perché avrebbe reso la messa troppo lunga, o forse più semplicemente perché trattasi di contenuto pedagogico e teologicamente cattolico. Ovviamente, non il taglio inesorabile e intelligente del Prologo di S. Giovanni è forse una particella sub-atomica, nel campo delle distruzioni liturgiche operate da Paolo VI e dai dotti liturgisti del Vaticano II. 

Questo non muterà mai, però, la bellezza di questa lettura, nel contesto in cui viene considerata. Un vero e proprio giglio della S. Tradizione, che lega i cristiani che furono, che sono e che saranno, che ci rende orgogliosi di aver ricevuto la figliolanza adottiva divina: “Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his qui crédunt in nómine eius: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt.”

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