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Fumi e odori satanici nella Chiesa

A cinquant’anni esatti dal celebre discorso del “il fumo di satana nel Tempio di Dio” di Paolo VI, un nuovo parallelismo pare sorgere nelle parole del vigente Vescovo di Roma, il quale senza mezzi termini, ha parlato di “odore del demonio” generato da coloro che tentano di difendere la liturgia tridentina, colpevoli di voler preservare barlumi di quella Tradizione che per secoli la Chiesa ha venerato e tutelato quale fonte di rivelazione e strada di santità.

Fra poco più di un decennio, la Santa Romana Chiesa compirà due millenni di storia, venti secoli, duemila anni. Idealmente parlando, secondo le usanze correnti, è possibile immaginare quale immenso stuolo di candeline accese potrebbero rappresentare questa ricorrenza: una foresta, una costellazione di tante piccole fiamme capaci di illuminare a giorno senza dubbio una chiesa intera. Una fine metafora per rappresentare forse quei santi, quei papi, quei beati, quei confessori e tutti quei grandi uomini che con la fulgida luce delle loro anime e per mezzo del loro alacre operato hanno contribuito a rendere luminosa come il sole la più grande delle istituzioni, la più grande famiglia che la terra abbia mai visto. 

In questi duemila anni di storia, la Chiesa ha vissuto un alternarsi di grandi trionfi e di insidiose difficoltà. Dai primi martìri degli apostoli e dei loro discepoli, agli editti imperiali dapprima di persecuzione e poi di tolleranza, dalla diffusione del Verbo nelle regioni più remote dell’Europa e del mondo ai primi problemi con falsi predicatori e autorità temporali, da sempre bramosi di sottometterla secondo i propri comodi o di plasmarla in accordo con il proprio pensiero, fino ad arrivare ai tempi moderni, con le difficoltà dello scientismo imperante e le politiche sincretistiche. Tante sono state le minacce esterne che hanno attentato alla sopravvivenza della Chiesa, ma altrettante sono state quelle interne, fra scismi, concili sbagliati (come il Concilio di Pisa del 1409), papi eretici (come papa Onorio, anatemizzato dal suo successore Leone II per aver favorito il monotelismo) e papi promotori dell’errore (vedasi ad esempio Papa Zosimo con l’eresia pelagiana e papa Vigilio), crisi di vocazioni ed edulcorazione dei fedeli. Eppure, questa Madre non è mai crollata, né, nonostante tutto, è venuta meno alla sua missione di salvezza delle anime, di fermo caposaldo ed unica porta verso il Paradiso. 

Nelle Sacre Scritture vi è un passo che può essere definito come la più grande sicurezza che la Chiesa possiede, profondamente radicata nelle parole di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, Il quale nell’affidare il suo vicariato terreno a San Pietro gli offre una certezza definitiva: a prescindere da qualsiasi avversità la sua istituzione avrebbe incontrato le porte degli inferi non sarebbero prevalse, mai, in alcun caso (Mt 16,18). È possibile credere fermamente, dopo duemila anni di Storia del Cristianesimo dalle vicende più intense e variegate, come tale promessa, tale assicurazione, giammai sia stata disattesa e giammai lo sarà. Eppure, nell’avvicendarsi delle nere nubi che talora si ammassano sulla Barca di Pietro, oggigiorno sembrerebbe stagliarsi una tempesta particolarmente insidiosa e soffocante, già profetizzata da numerosi santi, beati e illuminati pontefici. Fra questi ultimi in particolare Leone XIII, il quale ebbe modo di assistere alla visione del Redentore concedente a satana un secolo di persecuzioni contro il clero e contro la Chiesa negli anni successivi per dimostrargli che non sarebbe caduta sotto alle sue grinfie, non avrebbe ceduto nemmeno al più vile degli attacchi.

Fumi e odori satanici nella Chiesa

Le preoccupazioni di papa Pecci vennero ereditate anche dai pontefici successivi, nutrite ulteriormente dai generosi avvertimenti della Madonna a Fatima, fra cui Papa Pio XII, il Pastor Angelicus, che non esitò ad essere molto esplicito nell’esprimere l’inquietudine di quel male che, seppur presente da tempo, iniziava a produrre nella Chiesa i primi sintomi di gravità. Al suo caro amico, il Conte Enrico Pietro Galeazzi, Pacelli fece una confidenza (Roche e Saint-Germain, 1972) destinata a rimanere impressa nelle memorie del suo pontificato come una profezia di ciò che di lì a poco sarebbe effettivamente accaduto:

Sono preoccupato per il messaggio che ha dato la Beata Vergine a Lucia di Fatima. Questo insistere da parte di Maria, sui pericoli che minacciano la Chiesa, è un avvertimento divino contro il suicidio di alterare la Fede, nella Sua liturgia, la Sua teologia e la Sua anima. Sento tutto intorno a me questi innovatori che desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rigettare i suoi ornamenti e farla sentire in colpa per il suo passato storico.

E a un cardinale della Curia romana, discutendo della fede nei paesi del terzo mondo, qualche tempo dopo soggiunse:

Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato negherà il proprio Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà allora tentata di credere che l’uomo sia diventato Dio. Che Suo Figlio non è che un simbolo, una filosofia come tante altre, e dentro alle nostre chiese i Cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta, come la peccatrice [santa Maria Maddalena] in lacrime innanzi alla tomba vuota, si chiederanno: “Dove Lo hanno portato?”

Venne il concilio. A nemmeno un lustro dalla salita al cielo di Eugenio Pacelli, il suo successore, Angelo Roncalli, aprì le porte alla novazione, avviando le danze di quel processo distruttivo che tanto profeticamente fu temuto negli anni precedenti da papi, santi e veggenti. Per il tramite di documenti sibillini, iniziò così un percorso di crescente smantellamento dell’istituzione ecclesiastica (e petrina), lasciando che un vago concetto di “Spirito del Concilio” sostituisse lo Spirito Santo nell’ispirazione dei suoi pastori ed evidenziando definitivamente quale stratagemma il Male aveva presumibilmente concepito nel portare avanti quelle “concessioni” che Leone XIII ebbe modo di vedere nella sua tragica visione. Sotto candide spoglie di adattamento ai tempi, Paolo VI depose definitivamente la tiara, e con essa, tutto quel che rappresentava. Gli altari vennero demoliti o espoliati, le balaustre distrutte, la talare pressoché dismessa, la millenaria liturgia tridentina sostituita con un rito nuovo, “moderno”, che nessuno avrebbe più osato poter mettere in discussione, la Pastorale prevalse infine sulla Dottrina. 

In questo clima di profonda trasformazione dell’Istituzione di Pietro tuttavia, alcune avvisaglie di collasso iniziarono ad inquietare anche i più strenui novatori, fra cui Montini stesso, che nonostante perseverasse con abnegazione nel riformare qualsiasi pilastro della Chiesa di Dio gli capitasse a tiro, iniziava probabilmente a udire nitidamente i ghigni malefici del malvagio principe che nell’ombra aveva capito come far leva per portare a compimento la sua opera. Il papa intellettuale, il combattuto Paolo VI, colui che rifiutò di ricevere la veggente Lucia di Fatima (De Mattei, 2019; p. 555), probabilmente lacerato internamente dal dubbio delle proprie azioni fino all’ultimo istante di vita, iniziò a interrogarsi. Celebre fu a tal proposito l’aneddoto della messa del lunedì successivo alla Pentecoste 1970, divenuta goliardicamente nota come “Missa in Lacrimatione Pauli VI”: il papa, in procinto di vestirsi per celebrare la santa messa con il suo nuovo rito fresco di riforma liturgica di qualche mese, trovò preparati dai cerimonieri i paramenti verdi anziché quelli rossi, che sarebbero stati propri da utilizzarsi nell’ottava della grande festa dello Spirito Santo. Perplesso, Montini domandò la motivazione di tale colore, alla quale i cerimonieri risposero prontamente: “Ma Santità, ormai è tempus per annum, il colore è verde. L’ottava di Pentecoste è abolita”. Il Papa, sempre più perplesso ribatté: “Verde? Ma come? Chi ha abolito l’ottava?”. “Lei… Santo Padre”. A quelle parole, pianse amaramente. Aveva iniziato a capire.

Fumi e odori satanici nella Chiesa

Ancor più evidente fu infine l’effettiva esplicitazione di quel terrore che i predecessori di Montini tanto avevano temuto. In un discorso tenuto durante il nono anniversario della sua incoronazione, quella che lui stesso qualche tempo dopo rinnegò gettando via la Tiara papale e mettendola all’asta per beneficienza, ebbe modo di affermare quella che in assoluto sarebbe rimasta la sua frase più nota del suo pontificato, nonché la più inquietante delle verità del post Concilio Vaticano II (Paolo VI, 1792). Egli disse: 

“di avere la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida della Chiesa (…) è entrato il dubbio nelle nostre coscienze ed è entrato per le finestre che invece dovevano essere aperte alla luce (…) Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È invece venuta una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza.

Il papa fa notare inoltre come:

Abbiamo perduto l’abito religioso, e tante altre manifestazioni esteriori della vita religiosa. Su questo c’è tanto da discutere e tanto da concedere, ma bisogna mantenere il concetto, e con il concetto anche qualche segno, della sacralità del popolo cristiano, di coloro cioè che sono inseriti in Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote.

Le difficoltà del pontefice sono evidenti, da un lato parlava di fumo di satana, giornate di tempesta, incertezza, buio, echeggiando malinconicamente gli avvertimenti di Pio XII, di Fatima e di Leone XIII sulla sciagura che le riforme stavano portando, e dall’altra proseguiva imperterrito nella loro implementazione, insistendo come ancora tanto vi fosse da concedere. La ratio alla base di questa dualità probabilmente rimarrà sepolta con lui per sempre, ma quelle parole, nella fattispecie particolare quel “fumo di satana”, sono rimaste storicamente impresse negli ultimi cinquant’anni, e hanno trovato oggi, capovolte, una seconda figura pronta ad utilizzarle. Questa volta però in ostilità aperta alla Tradizione:

Quando la vita liturgica è un po’ bandiera di divisione, c’è l’odore del diavolo lì dentro, l’ingannatore. Non è possibile rendere culto a Dio e allo stesso tempo fare della liturgia un campo di battaglia per questioni che non sono essenziali, anzi, per questioni superate e per prendere posizione, a partire dalla liturgia, con ideologie che dividono la Chiesa. […] queste mentalità chiuse usano schemi liturgici per difendere il proprio punto di vista. Usare la liturgia: questo è il dramma che stiamo vivendo in gruppi ecclesiali che si allontanano dalla Chiesa, mettono in questione il Concilio, l’autorità dei vescovi…, per conservare la tradizione. E si usa la liturgia, per questo.

Con queste parole, echeggiando Paolo VI, l’attuale Vescovo di Roma, Jorge Mario Bergoglio (2022), durante un discorso al Pontificio Istituto Liturgico si è scagliato così contro i cosiddetti “tradizionalisti”, puntando loro contro il dito, accusandoli di dividere la Chiesa, di fomentare la crisi e di agire con spirito generante “odore del diavolo”. Si parla di questioni superate, di liturgia come fosse un software da aggiornarsi al pari di un iPhone, addirittura si questiona sulla non essenzialità delle problematiche che da mezzo secolo hanno generato la malattia della Chiesa. Si, poiché è dalla modifica della liturgia, del Canone, della sacralità intera di un rito che trae le sue origini direttamente dall’Ultima Cena di Cristo, che tutti i mali hanno iniziato a soffocare la Madre in ogni suo aspetto. E sebbene presso gli avventori della Domus Santa Marta si possa pensare che tali parole, tali concetti altro non siano che melodrammi accampati da qualche riottoso fanatico delle pianete plicate, è lo stesso cardinal Ratzinger, che in tempi ancora distanti dalla salita al Soglio Pontificio, ebbe modo di esplicitare come: “la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia” (Ratzinger, 1997. pp 110-113) e ancora come il risultato della riforma liturgica “nella sua realizzazione completa non fu una rianimazione, ma una devastazione” (Ratzinger, in Gamber, 1992; prefazione). Parlare di non essenzialità delle questioni in oggetto significa considerare marginale ciò che in questi anni ha portato alla crisi lefebvriana, all’edulcorazione dei fedeli, al crollo delle vocazioni, all’abbandono della vita religiosa (Fernandez De La Cigoña, 2001). Una marginalità che Mons. Rudolf Graber, Vescovo di Ratisbona e Padre Conciliare, in merito alla minaccia delle fondamenta della Chiesa non esitò a trattare come segue (Graber, 1974):

Se vi è ancora una persona convinta che gli avvenimenti che si sviluppano nella Chiesa siano marginali, o che si tratti di difficoltà transitorie, vuol dire che è irrecuperabile.

L’odore del diavolo è dunque laddove si tenta di sopprimere quanto il patrimonio dei santi, dei pontefici, e dell’intera Chiesa militante del passato ha generato con il sostegno dello Spirito Santo. Il fumo di satana trasuda dalle fauci di chi brama di smantellare la “Sacra Cappella”, per dirla alla Pacelli, dal suo interno, per mezzo dell’innovazione perversa, compiendo una devastazione cosi distruttiva da essere peggiore di quella attentata da Attila, Flagello di Dio per antonomasia (Pintonello, 1977). Se si vuole dunque individuare qualcuno che ha fatto della liturgia un pretesto per generare divisione, che l’ha sfruttata per difendere il proprio (discutibilissimo) punto di vista e che si caratterizza per dimostrare una mentalità particolarmente chiusa forse è necessario volgere il proprio sguardo verso il promulgatore del celebre motu proprio Traditionis Custodes (Bergoglio, 2021), il quale come un carroarmato sfonda ogni possibilità di tutela della liturgia autentica, in barba ai mille salamelecchi di tolleranza pontificati nei riguardi delle più svariate sette, eresie o derive pagane di questo mondo. Echeggiare dunque Paolo VI, parodiando il suo lessico altro non fa che acuire una ferita aperta nel Costato di Cristo, nel cuore di quei cattolici che si sono trovati d’improvviso ripudiati per il sol fatto di mantenersi saldi nella Tradizione autentica, nella Fede millenaria. Il fil rouge lessicale che accomuna Bergoglio a Montini a distanza di cinquant’anni precisi l’uno dall’altro mostra in conclusione anche le differenze fra i due più grandi esecutori dello “spirito del Concilio”. Il secondo, intellettuale combattuto e lacerato da dubbi e da rimorsi mostrò infine qualche esitazione durante il suo pontificato, riconobbe l’associazione fra la rivoluzione post-conciliare e le opere del Primo dei Rivoluzionari: lucifero, benchè poi non fece nulla per tentar di arginare i danni. Il primo, pragmatico uomo giunto “dalla fine del mondo” pare invece avanzare ineluttabilmente nelle sue convinzioni persecutorie. Se nel 1970 le messe erano in Lacrimatione Pauli VI, oggi, nel 2022, siamo forse arrivati al punto di poterle definire in Lacrimatione Iesu Christi, ma occorre stare su con l’animo e perseverare nella preghiera poiché le porte degli inferi non prevarranno… certo sarà un po’ faticoso pregare con il naso turato, ma necessario, poiché il lezzo di satana inizia effettivamente a rendere l’aria asfissiante e velenosa.


BIBLIOGRAFIA

  • Bergoglio, J.M. (2022). Discorso del Santo Padre Francesco ai docenti e agli studenti del Pontificio Istituto Liturgico – Sabato, 7 maggio 2022. Roma.
  • Bergoglio, J.M. (2021). Traditionis Custodes. Roma.
  • De Mattei, R. (2019). Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta. Lindau Editore.
  • Fernandez De La Cigoña, F.J. (2001). El invierno postconciliar. In: Verbo, nn. 393-394. (pp. 329-358).
  • Graber, mons. R. (1974). Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo. In: Civiltà. (pp. 28-79).
  • Paolo VI (1972). Omelia nel IX anniversario dell’incoronazione di Sua Santità. Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo – Giovedì, 29 giugno 1972. Roma.
  • Pintonello, Mons. A., (1977). Lettera agli Ecc.mi vescovi. In: Seminari e Teologia, n.3 (pp. 1-4)
  • Ratzinger, card. J. (1997). La mia vita: ricordi (1926-1977). San Paolo Edizioni.
  • Gamber, mons. K. (1992). La Réforme liturgique en question. Sainte-Madeleine Editions. Prefazione
  • Roche, mons. G.; Saint-Germain, P. (1972). Pie XII devant l’Histoire. Robert Laffont Editore, Parigi. (pp. 52-54).

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