Nato in terra orientale nella duplice forma dell’anacoretismo e del cenobitismo, il fenomeno monastico si diffuse successivamente anche nella parte occidentale di quello che fu l’impero romano e che poi diventerà l’Europa, ricevendo un’importante opera di sistematizzazione e istituzionalizzazione da San Benedetto Abate e Patrono d’Europa, che dedicò la maggior parte della sua esistenza terrena alla Gloria di Dio e all’edificazione e alla santificazione dei fedeli. San Benedetto nacque intorno al 480 e ritornò alla casa del Padre il 21 marzo 547, fondando intorno al 529 la celeberrima Abbazia di Montecassino, culla della cristianità e del monachesimo e faro di luce del mondo cattolico, e redigendo, all’inizio degli anni trenta del VI secolo, la Regola: opera suddivisa in 73 capitoli e pensata per la casa madre dell’Ordine Benedettino, ma che facilmente si adattò alle singole realtà monastiche, ricevendo un fortissimo impulso espansivo grazie all’imperatore Carlo Magno.
Passati novecentonove anni dalla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, il secondo giorno del nono mese dell’anno, il sovrano franco Guglielmo I d’Aquitania, detto il Pio, in unione con la moglie, Engelberga di Provenza, secondo i modi della grande feudalità dell’epoca, decise la fondazione di un nuovo monastero: l’Abbazia di Cluny. Il monastero fu posto sotto il patronato dei Santi apostoli Pietro e Paolo, sottratto quindi alle mire di potere delle due autorità più geograficamente prossime, quelle del potere civile feudale e quelle del vescovo locale. L’abbazia fu affidata alla custodia del Papa, che però, risiedendo a Roma, non aveva la possibilità di intervenire inopportunamente nel corso della vita monastica; si determinò così una situazione di autonomia di fatto, che permise ai monaci cluniacensi di creare un vero e proprio impero economico, con diverse fondazioni dipendenti dalla casa madre che a essa pagavano una tassa annuale e con terreni agricoli sparsi sull’intero territorio francese.
Un ulteriore passo avanti nella storia delle realtà monastiche, nate dall’originaria intuizione di San Benedetto, si ebbe tra XI e XII secolo, quando l’abate francese Roberto di Molesme, il 21 marzo 1098, giorno festivo in onore del fondatore del monachesimo benedettino, (ma anche seconda Domenica del Tempo di Passione, popolarmente conosciuta come Domenica delle palme, per il rituale di benedizione dei rami di palma e successiva processione che precede la celebrazione eucaristica del giorno), fondò il cosiddetto Nuovo Monastero, in un zona boscosa e isolata, ma ricca d’acqua conosciuta come Citeaux, da cui deriverà il termine italiano “cistercense”.
Il Santo Abate e Dottore della Chiesa Bernardo di Chiaravalle nacque nel 1090 in Borgogna, entrò nel 1112 nell’allora neonato ordine cistercense e fu fondatore dell’Abbazia di Chiaravalle, dove morì nel 1153, dopo aver per tutta la vita lottato contro le eresie e in particolare contro il catarismo. Per questo motivo uno degli attributi iconografici più ricorrenti collegati a San Bernardo è un drago incatenato ai suoi piedi, come simbolo dei cattivi sistemi di pensiero eterodossi annichiliti, ritornando allo studio dei primi Padri della Chiesa e innanzitutto a Sant’Agostino, che si opposero a quei filosofi (principalmente Pietro Abelardo e Arnaldo da Brescia) che credevano di poter affrontare il discorso fideistico solo con i mezzi della ragione umana, ignorando quanto deriva dal dato della fede.
Svoltosi dal 18 al 28 novembre del 1095, il Concilio di Clermont fu convocato nell’omonima città francese da Papa Urbano II per discutere di questioni di ordinamento ecclesiastico, in un periodo segnato dalla lotta per le investiture vescovili tra potere papale romano, l’unico che legittimamente ha la facoltà di designare i nuovi pastori delle diocesi, e potere locale laico, usurpatore della supremazia pontificia. L’importanza di questa assise, però, è data soprattutto da quanto accadde nel penultimo giorno, quando il Santo Padre, rispondendo alle richieste di aiuto rivolte dai bizantini (rappresentati dall’imperatore Alessio I Comneno) ai latini contro i turchi selgiuchidi, che si trovavano a solo cento chilometri dalla capitale dell’impero romano d’oriente, Costantinopoli. I turchi pronti ad attaccare la città, diedero la spinta iniziale che mise in moto la più grande epopea del cattolicesimo medievale, il movimento crociato, vera espressione di tutta la vitalità e la forza della repubblica cristiana.
La giustificazione teoretica della guerra condotta dalle truppe occidentali contro i musulmani fu data nel V secolo da colui che Piero Martinetti considerava un “filosofo sopravvalutato”, ma anche colui che maggiormente ha influenzato la successiva speculazione filosofica occidentale cattolicamente ispirata, vale a dire il teologo Aurelio Agostino d’Ippona. A tal proposito Sant’Agostino distingue, nella sua opera più celebre La Città di Dio composta da ventidue libri, tra brigantaggio condotto in grande stile, empio e iniquo, (come muovere guerra a popoli inoffensivi per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria) e guerra giusta, combattuta al fine di ottenere uno scopo superiore (come l’estirpazione del male, la punizione del malfattore e la difesa del giusto), utilizzando il modo di esprimersi di Bernardo di Chiaravalle: «In lode della nuova milizia», intendendosi col termine milizia i cavalieri templari, operetta composta nell’arco di tempo compreso tra il 1128 e il 1136 (tra la celebrazione del Concilio di Troyes e la morte di Hugues de Payns, primo maestro dell’ordine dei Cavalieri templari).
L’unione della vita monastica contemplativa, a cui si è accennato sopra, alla lotta armata contro gli infedeli musulmani in Medio Oriente e nella penisola iberica, ma anche contro le popolazioni ancora pagane dell’Europa orientale è il tratto caratteristico degli ordini religiosi cavallereschi, che pronunciavano i tre tradizionali voti di povertà, castità e obbedienza, aggiungendo a tutto questo l’impegno della custodia dei “luoghi santi” che hanno visto lo svolgersi della vita terrena di Nostro Signore e della protezione dei pellegrini affinché l’esperienza religiosa non venga turbata da problemi di ordine pubblico.
Oggi gli ordini religiosi cavallereschi esistono ancora, ma non si dedicano più alla lotta violenta contro eretici e apostati, tuttavia ciò non significa che il loro messaggio sia passato di attualità, dato che ognuno di noi è chiamato in foro interno a uccidere quanto di male si annida nell’uomo, creato sì a immagine e somiglianza di Dio, ma anche segnato da quel residuo “meontologico” della creazione, che porta a seguire, dinanzi a un bivio, la parte peggiore, pur sapendo qual è la migliore.