I riti di degradazione

Il Pontificale Romano tradizionale presenta, oltre ai riti di ordinazione, quelli di degradazione, con cui un chierico reo di atti gravissimi veniva pubblicamente privato di questa dignità.

È curioso e interessante scrivere questo articolo in tempi in cui la società civile si interroga sul ruolo della giustizia e delle pene previste dal diritto e sulla loro legittimità (vedi caso Cospito), ponendo sempre come prima istanza la redenzione del colpevole e, soltanto in seconda battuta (e neanche sempre) la sicurezza della collettività. Se studiamo la teologia di San Tommaso, però, notiamo che tra le singole virtù annesse alla giustizia si parla anche della vendetta. Parrebbe un discorso contrario alle logiche cristiane, eppure l’Aquinate dimostra magistralmente come sia invece possibile e doveroso punire nel giusto modo le ingiurie1. Così, la Chiesa divide le proprie pene in medicinali e vendicative, dove queste ultime hanno come fine principale il «riparare lo scandalo o l’ordine pubblico offeso dal delitto»; tra quelle riservate ai chierici troviamo la degradazione, «ossia la pena spirituale vendicativa per cui il chierico, con la deposizione e la privazione perpetua dell’abito ecclesiastico, viene ridotto allo stato laicale»2.

La degradazione, prevista dal canone 2298 del Codex Iuris Canonici piano-benedettino (cui faremo riferimento per spiegare il fenomeno) non è soltanto un caso di studio per i canonisti ma riguarda anche i liturgisti. Si parla infatti di degradazione reale «si serventur sollemnia præscripta in Pontificali Romano»3.

Sfogliando le pagine del Pontificale, infatti, troviamo descritto il rito di degradazione. La simbologia è fortissima: il chierico indegno, colpevole di gravissimi delitti, viene pubblicamente spogliato dal vescovo dei paramenti, compiendo, in senso inverso, i gesti che accompagnano gli ordini maggiori e minori; all’infame vengono simbolicamente strappati di mano gli oggetti che gli erano stati consegnati (il calice, il Vangelo…). Vediamo alcune delle formule più interessanti del rito4:

Degradazione di un vescovo, togliendogli la mitra: Mitra, pontificalis dignitatis videlicet ornatu, quia eam male præsidendo fœdasti, tuum caput denudamus.

Abradendo con un coltello il capo: Consecrationem, et benedictionem, atque unctionem tibi traditam radendo delemus, et te ab ordine pontificali, quo inhabilis es redditus, abdicamus.

Degradazione di un prete, togliendogli la patena e il calice: Amovemus a te, quin potius amotam esse ostendimus, potestatem offerendi Deo sacrificium, Missamque celebrandi pro vivis, quam pro defunctis.

Togliendogli la casula/pianeta: Veste sacerdotali charitatem signante te merito exspoliamus, quia ipsam, et omnem innocentiam exuisti.

Degradazione di un suddiacono, togliendogli la tunicella: Tunica subdiaconali te exuimus, cujus cor et corpus, timor Domini castus et sanctus in æternum permanens, non constringit.

Il chierico, da qualunque grado era partito per la degradazione, viene poi spogliato della cotta: Auctoritate Dei omnipotentis, Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, ac nostra, tibi auferimus habitum clericalem, et nudamus te religionis ornatu, ac deponimus, degradamus, spoliamus, et exuimus te omni Ordine, beneficio, et privilegio clericali; et velut clericalis professionis indignum, redigimus te in servitutem, et ignominiam habitus sæcularis, ac status.

L’ex chierico, ridotto allo stato laicale, viene quindi consegnato alla Curia secolare (cioè la giustizia civile) con queste parole: Pronuntiamus, ut hunc exutum omni Ordine ac privilegio clericali, Curia sæcularis in suum forum recipiat degradatum.

Il rito si conclude con questa frase, rivolta dal vescovo degradatore al giudice civile: Domine judex, rogamus vos cum omni affectu, quo possumus, ut amore Dei, pietatis et misericordiæ intuitu, et nostrorum interventu precaminum, miserrimo huic nullum mortis vel mutilationis periculum inferatis.

Il senso di quest’ultima supplica è un ultimo invito alla misericordia: «anche in questo la Chiesa non tralascia di dare prove evidenti della sua bontà e della sua comprensione. Infatti, prima che il degradato venga consegnato al Ministro del Foro secolare, si chiede insistentemente per lui che non gli venga inflitta né la pena di morte né la mutilazione di membra […È] la grandissima premura che la Chiesa usa anche verso quelli che non la meriterebbero e cerca di fermarli perché non incorrano nella pena di morte in conseguenza di qualche loro delitto5».

La degradazione si rendeva necessaria non soltanto per colpire il chierico, ma anche per permettere che egli venisse processato: fin dall’età tardo-imperiale romana, infatti, chi era almeno tonsurato godeva del privilegium fori6; in tal modo poteva nuovamente essere trattato come laico. Nonostante la supplica che concludeva il rito, però, quasi sempre il misero veniva condannato a morte: i delitti di apostasia, eresia, scisma, omicidio…erano spesso puniti con la pena capitale negli Stati dell’ancien régime. La Chiesa, infatti, può utilizzare soltanto le armi spirituali, avendo giurisdizione sulle anime dei cattolici e non sui corpi: tutte le eventuali pene da infliggere all’ex chierico dovevano essere inflitte dal braccio secolare.

Si può vedere un esempio di questo rito nel film Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano, diretto nel 1969 da Luigi Comencini: un sacerdote, tale Don Mancia, pedofilo, fornicatore e omicida, viene pubblicamente spogliato dei paramenti, le sue mani vengono abrase lì dove erano state consacrate e viene infine affidato alla giustizia secolare che lo condanna all’impiccagione. Questo rito funge da punizione esemplare, spingendo il celebre giovane libertino a rientrare in seminario.

Come è noto, il Sacramento dell’Ordine imprime il carattere: ciò significa che il vescovo, prete o diacono condannato non poteva essere privato dell’ordine, che rimane in eterno, ma di tutto ciò che gli è annesso. Questo vale certamente anche oggi, dove il rito di degradazione è stato estromesso dal Pontificale e si parla più sobriamente di dimissione dallo stato clericale: un cosiddetto “ex prete” è privato degli obblighi e dei diritti del sacerdote, ma non può essergli tolto il potere di consacrare.

La Chiesa, con grande sapienza, ha creato questi riti di degradazione per rendere chiara l’idea che il male ha una certa gravità: determinate azioni non possono essere dimenticate subito né si può risolvere tutto con una lettera di scuse: è necessario invece, in alcune occasioni, rappresentare pubblicamente il male compiuto.


Note

  1. Cfr. Summa Theologiae II 2, 108. Per l’approfondimento sul tema della giustizia vendicativa lascio la parola ai colleghi di teologia e filosofia.
  2. A. Piscetta – A. Gennaro, Sommario di teologia morale, Società Editrice Internazionale, Torino 1952, pp. 819, 850.
  3. Can. 2305 §3
  4. Il testo dei riti di degradazione presenti nel Pontificale è disponibile online su <https://www.liturgialatina.org/pontificale/000.htm> (ultima consultazione: 11 marzo 2023).
  5. Papa Benedetto XIV, Quam grave, 1757, § IX, X.
  6. Il privilegio del foro è un istituto giuridico che permette al chierico di non essere processato dal tribunale civile senza essere stato prima condannato dal tribunale ecclesiastico. In Italia fu abolito nel 1850 dalle leggi Siccardi.

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