Continuiamo il nostro excursus sull’analisi dei vizi capitali, quell’abitudine cattiva che dispone l’uomo al compimento di atti peccaminosi di una certa specie a seconda del tipo di vizio. San Tommaso chiamava il vizio “habitus”, ossi l’abitudine, la disposizione abituale cattiva a compiere il male.
L’ira è uno dei vizi capitali molto radicati e diffuso, molto pericoloso, poiché dispone l’animo a compiere una serie di atti cattivi: bestemmie, violenze, volgarità, insulti, omicidi, ecc.
È uno di quei vizi sintomo di un malessere dell’anima, che mostra quella ferita sempre sanguinante del peccato originale che ha spogliato l’uomo dei doni soprannaturali e preternaturali e indebolendo quelle naturali.
È bene però fare delle precisazioni, anche, e principalmente, sulle considerazioni svolte da San Tommaso d’Aquino circa le passioni dell’uomo. San Tommaso afferma che l’uomo possiede diverse facoltà, diversi principi di reazione ed azione: le facoltà corporee e la sensibilità (sensi esterni e sensi interni), l’appetitus sensitivus, l’appetitus rationalis o volontà e la ragione.
L’appetitus sensitivus corrisponde a ciò che noi chiamiamo emotività, ed è la sorgente delle passioni, le quali corrispondono a ciò che il linguaggio odierno chiamiamo emozioni e sentimenti unitamente alle relative alterazioni corporee. La nozione tommasiana di passio deriva dal verbo pati che significa ricevere-subire e di seguito reagire. In questo senso quindi la passio riguarda anzitutto il corpo, che subisce una qualche alterazione, ma poi anche l’anima e le sue facoltà o potenze (Lodovici G. S., L’ira secondo Tommaso d’Aquino, in «Rivista di Teologia di Lugano», XVI (2011), 1, pp. 23-44).
Essa, quindi, «comincia nell’anima in quanto è motore del corpo […] come appare nell’ira e nel timore e in altre cose del genere, dato che le passioni di questo tipo hanno luogo a motivo dell’apprensione e dell’appetito dell’anima, a cui fa seguito una trasmutazione del corpo» (S. Tommaso, De Veritate, q. 26, a. 2); è ciò che accade quando sovvengono involontariamente alcune immagini di una certa situazione e si prova ira nel ricordarle. Letterio Mauro sintetizza questo concetto nei seguenti termini: «la passione […] è caratterizzata dalla compresenza di due fenomeni strettamente uniti l’uno all’altro; una transmutatio corporalis, cioè una manifestazione organica (aumento del battito cardiaco, variazione della temperatura corporea, ecc.) ed un quidam motus animae, vale a dire un correlativo moto affettivo dell’anima […]. La stretta unione di questi due elementi rispecchia fedelmente la stretta unità sostanziale del composto umano e testimonia come la passione non possa avere per orizzonte se non tutto questo composto, benché più particolarmente essa debba essere definita come un atto dell’appellativo sensitivo» (Mauro L., «Umanità» della passione in S. Tommaso, 48).
Considerata, quindi, l’ira come una passione, San Tommaso spiega che essa sorge perché qualcuno pensa (a torto o ragione) di aver subito una ingiustizia, pertanto il “movente” dell’ira è sempre qualcosa di ingiusto (o che si percepisce come tale). P. Ramirez, in questo senso, da una precisa definizione di tale passione: appetitus vindictae cum corporis incandescentia (De passionibus animae, t. V, n° 569 ss.), cioè appetito di vendetta con riscaldamento del corpo. La vendetta consiste nell’applicare il bene al male, “vendicando” appunto il male.
Nel suo senso originale, la vendetta consiste semplicemente nel riparare un male causato, e cioè ristabilire il bene della giustizia. A questo punto, quindi, si inserisce il discorso della bontà di tale passione, senza però essere fuorviati. L’ira è, per noi, un modo per ristabilire un ordine leso a qualsiasi livello, e l’aspetto materiale (l’accensione del volto, il battito aumentato) è un modo fornitoci dalla natura perché quest’ira sia efficace e raggiunga il suo scopo. Infatti, nella celebre occasione di Gesù nel tempio coi mercanti, saremmo tentati dal dire che Nostro Signore peccò d’ira in quel momento, ma sappiamo bene che non poteva peccare, né essere imperfetto, e, infatti, quello scatto d’ira fu buono per i seguenti motivi:
- L’oggetto della sua rabbia fu buono e legittimo (la difesa della casa di Dio);
- Il modo fu conforme alla ragione (la violenza non fu sproporzionata);
- L’origine non fu incontrollata e spontanea ma procedette e fu voluta dalla ragione.
I nostri moti d’ira non saranno peccaminosi ma saranno atti di virtù quando saranno rivolti verso un fine giusto e lecito, saranno contenuti entro limiti proporzionati, quindi senza violenze eccessive e ingiurie, cesseranno cessato l’oggetto, e saranno decisi da noi e non incontrollati (don D’Avino G., Le passioni dell’anima – l’Ira).
L’ira, considerata come sentimento, è un desiderio ardente di respingere e castigare un aggressore. Vi è una collera legittima, una santa indignazione che non è che un desiderio ardente, ma ragionevole, d’infliggere ai colpevoli il giusto castigo. Perché la collera, e quindi l’ira, sia legittima sono necessarie delle condizioni:
- deve essere giusta nel suo oggetto, non mirando a punire se non chi lo merita e nella misura che merita;
- deve essere moderata nel suo esercizio, non andando oltre ciò che reclama l’offesa commessa e seguendo l’ordine voluto dalla giustizia;
- deve essere caritatevole nella sua intenzione, non lasciandosi andare a sentimenti di odio, ma non cercando che la restaurazione dell’ordine e dell’emendamento del colpevole (Tanquerey A., Compendio di Teologia Ascetica e mistica, p. 394).
Soprattutto nei Superiori e nei genitori la collera è legittima: il padre che vuole arrabbiarsi con il figlio che compie un’azione cattiva e che decide di mettersi in collera e di dargli la giusta punizione, magari sgridandolo aspramente o dandogli un ceffone. In alcuni casi, quando i genitori rifiutano di compiere atti del genere, è per viltà e non per dolcezza e si farà più il male che il bene del figlio.
L’aspetto materiale dell’Ira, quindi l’accaloramento fisico del corpo, si riscontra in tutte quelle passioni cosiddette “positive”, quindi amore, gioia, desiderio, speranza, ma anche audacia e ira. Quest’ultima è considerata quella più veemente e per questo più facilmente peccaminosa. Sarà la virtù a rivolgere l’ira verso un male autentico e non apparente, a moderare la collera che monta per un giusto motivo, mantenendolo nei limiti. Infatti, essendo l’ira la più violenta delle passioni, se non è controllata, è capace di far perdere ogni freno inibitore rendendo l’uomo capace delle peggiori azioni.
L’ira viene ricompresa tra i vizi capitali proprio perché caratterizzata da questa veemenza che molto spesso non viene controllata e pertanto si trasforma in un desiderio violento e smodato di castigare il prossimo, senza tener conto delle tre condizioni indicate sopra. Spesso la collera è accompagnata da odio che cerca non solamente di respingere l’aggressione ma di trarne vendetta per se stessi, senza perseguire il bene della giustizia; è un sentimento più riflesso, più durevole, e che perciò ha più gravi conseguenze.