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I vizi capitali: l’invidia

«Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Matteo 6,33)

Quanti di noi, una volta esaminata la propria coscienza, si è presentato in confessionale e si è accusato dicendo “Padre, sono stato invidioso”? È buffo, ma probabilmente molto triste, che gran parte di noi non si renda conto di provare sentimenti di invidia; anche diversi sacerdoti potranno confermare di aver sentito raramente i penitenti accusarsi di essere invidiosi. È più facile riconoscere l’ira, la lussuria, la gola, ma l’invidia è subdola, a volte anche inconscia. 

Invidia deriva dal latino “invidere”, ossia guardare con ostilità; significa quindi che il nostro sguardo non è rivolto serenamente verso gli altri. Il catechismo cita, circa l’invidia: 

«L’invidia è un vizio capitale. Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, sia pure indebitamente. Quando arriva a volere un grave male per il prossimo, l’invidia diventa peccato mortale: Sant’Agostino vedeva nell’invidia “il peccato diabolico per eccellenza”. 

Dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna [2539]. 

L’invidia rappresenta una delle forme della tristezza e quindi un rifiuto della carità; il battezzato lotterà contro l’invidia mediante la benevolenza. L’invidia spesso è causa di orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell’umiltà. [2540]». 

Ecco allora cosa si intende per sguardo ostile nei confronti degli altri: si gioisce del male degli altri e spesse volte questo appare come giustizia ai nostri occhi. «Gli sta bene, così impara!», quante volte ci è capitato di dire e/o pensare questa frase? Il confine è molto sottile, come fare perciò a riconoscere questo sentimento? Analizzarsi e rendersi conto di aver l’animo inquieto, vedere il bene ricevuto dell’altro e non esserne felici, nel nostro animo non c’è pace: «Il posto era mio, lui non lo meritava, ora gli va male, ben gli sta!». 

Il primo ad essere invidioso è stato Lucifero insieme agli angeli caduti. Hanno provato invidia nei confronti dell’uomo, non riuscivano a comprendere la preoccupazione che Dio avesse per una creatura quale era l’uomo – oltre poi, chiaramente, alla superbia, di cui abbiamo già parlato nel primo articolo di questa rubrica -; ed ecco che la ribellione li ha portati alla dannazione eterna: «Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne faranno esperienza coloro che gli appartengono» (Sapienza 2, 24).

L’invidia porta al risentimento ed alla perdita della capacità di poter godere delle cose positive che accadono nella nostra vita, poiché il nostro sguardo è sempre rivolto a ciò che l’altro ha più di noi e che a nostro parere non lo dovrebbe meritare. Pertanto, si è alla continua ricerca di ciò che non abbiamo, il che risulta in una ricerca sfrenata delle cose materiali: «Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra» (Colossesi 3, 2). Al massimo estremo, l’invidia porta alla violenza «Se io non posso averlo, allora non lo avrà nessuno».

San Giovanni Maria Vianney aveva parole molto forti sull’invidia: «L’invidia, figli miei, segue l’orgoglio. Chiunque sia invidioso è orgoglioso. L’invidia viene dall’Inferno. Avendo peccato per orgoglio, i demoni hanno peccato anche per invidia, invidiando la nostra gloria, la nostra felicità. Perché invidiamo la felicità ed i beni altrui? Perché siamo orgogliosi; vorremmo essere gli unici a possedere talenti e ricchezze, la stima e l’amore di tutto il mondo! Odiamo i nostri simili perché sono nostri simili, chi è inferiore a noi perché temiamo che possa diventare uguale a noi e chi ci è superiore perché è al di sopra di noi. 

Figli miei, come il diavolo dopo la sua caduta ha provato, e ancora prova, una rabbia estrema vedendoci eredi della gloria del buon Dio, così l’uomo invidioso prova tristezza vedendo la prosperità spirituale e temporale del suo prossimo. Figli miei, camminiamo sulle orme del diavolo; come lui, siamo infastiditi dal bene e gioiamo per il male».

Ciò che stupisce è che l’invidia è puro male, fine a se stesso, non procura alcun piacere, nemmeno temporaneo a chi la prova, ma solo un profondo dolore che alimenta altri cattivi sentimenti quali, ira, vendetta, gelosia: ecco perché è annoverata tra i vizi capitali. Se il piacere c’è è pura malignità. L’invidia non solo desidera i beni altrui, ma anche e principalmente la loro distruzione: questa caratteristica intrinseca dell’invidia San Tommaso d’Aquino la chiama “tristizia”, quale diretta conseguenza della perversione del giudizio per cui il bene non genera più gioia, ma tristezza, mentre invece ci si rallegra della sua scomparsa. 

«Poiché l’invidia è tristezza per la gioia altrui, in quanto è intesa come un certo male – scrive San Tommaso d’Aquino – ne consegue che l’uomo per invidia tende a fare disordinatamente alcune cose contro il prossimo».

L’invidia non diminuisce, ma aumenta esponenzialmente in una sorta di autocombustione nel dolore che anticipa le pene dell’Inferno. 

Abbiamo visto come possiamo riconoscerla, ma come fare ad estirparla? Santi autori parlavano della Santa Invidia: bisogna dapprima riconoscere l’esistenza di tale vizio nel nostro comportamento, una volta riconosciuto, trasformare lo sguardo non più in un malato desiderio di appropriazione e distruzione ma di santa imitazione, che ci permetta di crescere nel bene; fare propria la consapevolezza che Iddio Nostro Signore ci ha dotato di tutti quei beni essenziali che ci garantiscono la qualità della vita e ci sono stati donati gratuitamente, coltivando quel sentimento di gratitudine nei confronti di Dio che ci permette di crescere nella grazia e nell’amore, estirpando definitivamente il peccato di invidia che tanto ci avvicina al demonio e troppo lontano ci porta da Dio e dalla salvezza eterna. Ecco che, quindi, al vizio dell’invidia si oppone la carità, la quale è paziente, è benigna, non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto ma si compiace della verità. L’unica cosa che dobbiamo desiderare con tutti il nostro cuore, con tutta la nostra mente e con tutto il nostro corpo è di amare Nostro Signore Gesù Cristo senza preoccuparci dei beni terreni, ma solo dei beni celesti: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Matteo 6,33).


Note

  1. https://www.ecclesiadei.it/i-sette-vizi-capitali-la-superbia/

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