La venerazione delle reliquie dei santi è uso antico e consolidato della liturgia cattolica. Non è difatti un caso che all’inizio della Messa, quando il sacerdote sale all’altare, la prima preghiera recitata sia proprio un’invocazione all’intercessione dei santi. [1]
Anche in seguito alla riforma liturgica e alle modifiche degli spazi attuate in buona parte delle chiese negli anni del postconcilio, l’uso di esporre i reliquiari sugli altari, soprattutto gli altari laterali, o nelle chiese dedicate a particolari devozioni rimane, grazie a Dio, abbastanza diffuso. Nonostante ciò, non sono comunque mancati esempi di luoghi in cui si è preferito sbarazzarsi di un tale antichissimo uso della tradizione cattolica poiché appannaggio di un periodo di storia della Chiesa, a detta di costoro, ormai superato. In tal modo, gli armadi di molte sacristie sono stati riempiti all’inverosimile per contenere un gran numero di reliquiari da sottrarre alla venerazione dei fedeli, come se quanto fosse sempre stato sacro per il gregge si fosse tutto in un attimo tramutato in qualcosa di dannoso.
Alcuni parroci (piuttosto che laici con incarichi parrocchiali), tuttavia, hanno anche deciso di compiere un passo in più: infatti, vedendo molti reliquiari chiusi negli armadi, si sono domandati se non fosse stato più conveniente approfittare dei vantaggi economici che vi si potevano ottenere. Se da un lato le reliquie in sé non sono forse ciò che più interessa al mercato, discorso opposto vale per i reliquiari i quali, in molti casi, sono costituiti di materiale prezioso e il cui valore può essere più che attraente verso quanti sono interessati al mero guadagno economico.
Si è così aperto il cosiddetto mercato delle reliquie, ovvero si è costituito un vero e proprio commercio avente ad oggetto la compravendita dei resti dei santi. Se è possibile immaginare il comprensibile sgomento del lettore nel riflettere su una tale depravazione, non si può però negare la presenza anche piuttosto consistente di simili affari, che rimangono tutt’oggi assai diffusi.
La scelta di esporre al mercato tali tesori della tradizione cattolica ha avuto varie conseguenze su diversi piani. In primo luogo, è un oltraggio alla sacralità della materia nonché un insulto alla venerazione dei fedeli e a quanti sentono parte integrante della propria fede la devozione ai santi. Non dobbiamo inoltre dimenticare come l’immissione nel mercato delle reliquie fa sì che esse vengano maneggiate anche da individui i quali non hanno il minimo senso di comprensione verso la serietà della materia e si limitano a considerare l’aspetto economico ricavabile dai reliquiari o, peggio ancora, considerano il possesso delle stesse come un vanto, qualcosa di cui potersi riempire la bocca o che possa portare prestigio al proprio nome. Da ultimo, elemento non trascurabile, l’inevitabile diffondersi di finte reliquie e l’apparizione sul mercato di ogni tipo possibile di resti di santi, più o meno verosimili.
Non sarebbe corretto, in questa circostanza, non richiamare un’altra triste verità: se il commercio di reliquie cui ci riferiamo in quest’articolo è principalmente quello relativo agli anni del post Concilio e ha ad oggetto principalmente il valore economico dei reliquiari, dall’altro va ammesso che tale uso era più che diffuso anche in secoli ormai ben lontani, compreso il periodo medievale, durante il quale si faceva maggiormente leva sulla grande devozione dei fedeli, nonché sulle presunte proprietà curative che venivano attribuite alle reliquie stesse. [2] Ad ogni modo, le finalità è sempre rimasta la medesima: l’arricchimento personale.
Non dimentichiamoci, infine, anche dei banali ladri che approfittano dell’esposizione delle reliquie nelle chiese per saccheggiare quanto considerano di valore, per poi rivenderle al miglior offerente. In tal senso, è opportuno che le parrocchie aventi disponibilità economiche si dotino di sistemi di sicurezza e di videosorveglianza, per quanto dovrebbe bastare la semplice coscienza a ricordare anche ai peggiori malfattori il rispetto che sarebbe doveroso mostrare verso un luogo sacro.
Rebus sic stantibus, la Chiesa ha ritenuto opportuno intervenire riguardo la pratica del commercio delle reliquie e lo ha fatto attraverso il Codice di Diritto Canonico, il quale, al canone 1190, riporta:
«1. È assolutamente illecito vendere le sacre reliquie.
2. Le reliquie insigni, come pure quelle onorate da grande pietà popolare, non possono essere alienate validamente in nessun modo né essere trasferite in modo definitivo senza la licenza della Sede Apostolica.
3. Il disposto del comma 2 vale anche per le immagini che in taluna chiesa sono onorate da grande pietà popolare».
Da quanto esposto, pertanto, si comprende come il Codice voglia trasmettere e far comprendere il concetto secondo cui le reliquie non sono oggetti che possono essere posseduti, ma costituiscono parte del patrimonio collettivo dell’intera Chiesa cattolica e, in quanto tali, anche l’alienazione e il semplice trasferimento devono avvenire esclusivamente dietro licenza della Sede Apostolica.
Sempre in anni recenti la Congregazione per le Cause dei Santi è nuovamente intervenuta sul tema, richiamando indicazioni pratiche che possano meglio dare attuazione alle indicazioni del Codice ed affidando ai vescovi diocesani l’importante compito di verifica dell’autenticità di una reliquia nonché invocando una loro responsabilità nella corretta custodia.
Ai nostri giorni, tale invito è più attuale che mai a motivo della presenza su internet di innumerevoli piattaforme in cui si possono trovare in vendita o all’asta varie reliquie o presunte tali. Per quanto in parte si possa trattare di semplici truffe, è opportuno che i parroci abbiano a mente di voler evitare a prescindere l’acquisto fai-da-te e, in caso le necessità pastorali richiedano la presenza della reliquia di un santo in particolare, si rivolgano ai canali ufficiali della curia. Inoltre, si scoraggiano i laici che venissero attratti dall’idea di possesso personale di reliquie non solo dal navigare su siti web poco attendibili per cercare di reperirle, ma si invitano gli stessi a tener presente come le medesime siano non meri oggetti, ma preziosi elementi devozionali che come tali appartengono alla comunità dei fedeli e, pertanto, sono da intendersi destinati esclusivamente ai luoghi di culto e non a iniziative discutibili di pochi autoproclamati “eletti”.
Discorso a parte meritano invece quanti, vedendo una reliquia in vendita, preferiscono acquistarla al preciso scopo di eliminarla dal mercato e consegnarla alla propria chiesa o comunque conservarla con il dovuto decoro. Queste iniziative sono assolutamente lodevoli e, purché nella loro attuazione si presti la dovuta cautela e si abbia presente l’importanza della cura da mostrare nei riguardi della reliquia, sono da incoraggiare
- Mentre il sacerdote sale all’altare e lo bacia, recita la seguente orazione: «Oramus te, Domine, per merita Sanctorum tuorum, quorum reliquiæ hic sunt, et omnium Sanctorum: ut indulgere digneris omnia peccata mea. Amen».
- Tale discorso non riguarda solo le reliquie dei santi ma si estende ovviamente anche ai presunti resti della Croce del Signore e di altri strumenti della Passione, che durante il Medioevo spuntavano quasi in ogni città. Chiaramente non si vuole contestare la presenza di miracoli direttamente attribuibili al culto delle reliquie, quanto più semplicemente stigmatizzare l’atteggiamento di quanti, facendo leva sulla devozione popolare, avevano il solo scopo di arricchire le proprie tasche.