Correva l’anno del Signore 1903, il mondo aveva da poco fatto il suo ingresso in quel ventesimo secolo che avrebbe minato quasi letalmente le fondamenta della Santa Romana Chiesa fra guerre, sconvolgimenti sociali e rivoluzioni conciliari. Il 20 di luglio spirava, all’incredibile (per l’epoca) età di novantatré anni, Leone XIII, il papa delle preci micaeliche e della Rerum Novarum, pastore amabile e dalla cultura così sconfinata da non trovare pari livello in alcuno dei suoi successori. Dopo un pontificato lungo un quarto di secolo, i cardinali elettori, riunitisi in conclave il 31 luglio, si aspettavano di prendere rapidamente una decisione, attendendosi di convergere con facilità su una linea di prosecuzione delle visioni di Leone eleggendo il suo segretario di stato, il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913).
In effetti, il conclave fu indubbiamente breve, ma totalmente inaspettato per le pieghe politiche e spirituali che si generarono.
Mariano Rampolla del Tindaro, pio figlio di una aristocratica famiglia di conti siciliani, sin dalle prime votazioni ottenne un cospicuo numero di voti, soprattutto francesi, per via delle sue abilità diplomatiche, sino al punto di arrivare a pochi passi dalla elezione, quando, nella Cappella Sistina, il 2 agosto riecheggiò una formula antica, che lasciò tutti i presenti nello sgomento:
«Honori mihi duco, ad hoc officium jussu altissimo vocatus, humillime rogare vestram Eminentiam, prout Decanum Sacri Collegii Eminentissimorum Sacrae Ecclesiae Cardinalium et Camerarium S. R. E. ut ad notitiam suam percipiat idque notificare et declarare modo officioso velit; nomine et auctoritate Suae Maiestatis Apostolicae Francisci Josephi imperatoris Austriae et regis Hungariae, jure et privilegio antiquo uti volentis, veto exclusionis contra Eminentissimum dominum meum Cardinalem Marianum Rompolla del Tindaro»
[Mi faccio onore, essendo stato chiamato a questo ufficio da un ordine altissimo, di pregare umilissimamente Vostra Eminenza, come Decano del Sacro Collegio degli Eminentissimi Cardinali di Santa Romana Chiesa e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, di voler apprendere per sua propria informazione e per poterlo riferire e dichiarare ufficialmente, in nome e per l’autorità di Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria che, Sua Maestà Apostolica, intendendo di usare di un diritto e di un antico privilegio, pronuncia il veto d’esclusione contro l’Eminentissimo Signor Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro]
Era lo Ius Exclusivae, un antico retaggio del Sacro Romano Imperatore, ereditato a sua volta dagli Asburgo imperatori d’Austria e Ungheria, per mezzo del quale si poneva il veto imperiale a uno dei candidati affinché non assurgesse alla Cattedra di Pietro.
Le ragioni di questo veto erano a tutti molto note: il cardinal Rampolla era troppo coinvolto nelle dinamiche geopolitiche di quell’Europa che stava già scaldando precocemente i suoi motori per la guerra, ed era soprattutto molto filofrancese e avversario degli austriaci, i quali non gradivano le tensioni alimentate dalla Francia nei Balcani.
Va detto che la prassi di un intervento in conclave da parte dei sovrani cattolici non era così desueta come le fonti tentano di far credere: nel solo Ottocento vennero posti ben sei veti, di cui tre proprio da parte degli austriaci, e l’ultimo nel 1846. Tuttavia, all’alba del nuovo secolo, questa pratica venne percepita come particolarmente inopportuna e anacronistica, soprattutto in considerazione delle espropriazioni territoriali che la Chiesa aveva subito e la conseguente cattività cui il Romano Pontefice era soggetto nel neonato Regno d’Italia (alleato proprio degli austriaci).
Le reazioni dei cardinali furono di protesta, disse il Cardinal Ferrata, Prefetto della Congregazione dei Riti: «La cosa in se stessa, e il modo, recò stupore e indignazione al Sacro Collegio. Grande e penosa l’impressione di tutti» (Zizola, 2005, pag. 177). Ad ogni modo, il veto ebbe il suo effetto; sebbene nella votazione successiva il numero di voti per Rampolla salì di uno, sintomo di una certa sfida alla tracotanza austriaca, egli non riuscì a raggiungere comunque la maggioranza e i voti vennero dirottati verso un inaspettato candidato che tutto desiderava fuorché il triregno: il cardinale Giuseppe Sarto.
Quest’ultimo, di estrazione sociale assai povera e divenuto patriarca di Venezia dopo aver percorso tutto il cursus honorum ecclesiastico, era noto per essere un conservatore santo e fuori da ogni intreccio politico, con un’indole assai differente rispetto a papa Pecci.
Principale promotore della figura di Sarto fu il cardinale Francesco Satolli, arciprete della Basilica Laterana, il quale riuscì a convincere il titubante Patriarca di Lisbona con una frase particolarmente impattante: «Patriarcham in die Patriarchae pro Patriarcha oportet votare» (Semeria, 1930, pag. 179), ovvero che un patriarca doveva votare per un altro nel giorno sacro a un terzo patriarca anche lui. Era infatti il 4 agosto, festa di San Domenico di Guzman, e in quella data, superate infine le resistenze finali, Giuseppe Sarto patriarca di Venezia salì al pontificato con il nome di Pio X.
«Fiducioso nella protezione divina e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e dei Santi Pontefici che si sono chiamati col nome di Pio, soprattutto di quello che strenuamente nel secolo scorso combatterono contro le sette e gli errori dilaganti, assumo il nome di Pio Decimo»
Con queste parole (Frigato, 2007, pag. 46), papa Sarto diede inizio a un pontificato divenuto poi cardine della Tradizione cattolica e della lotta agli errori moderni. In contrasto, tuttavia, a quei tentativi di ingerenza cui lui stesso assistette in conclave, fra i suoi primi atti, ci fu la Commissum Nobis, una costituzione apostolica dedicata all’abolizione definitiva dello Ius Exclusivae: nessun potere temporale avrebbe dovuto mai più concorrere con lo Spirito Santo nell’elezione del Vicario di Cristo in Terra.
Bibliografia
- Sabino Frigato, La difficile democrazia: La dottrina sociale della Chiesa da Leone XIII a Pio XII (1878-1958), Torino, Effatà Editrice, 2007.
- Giovanni Semeria, I miei quattro papi, Milano, Ambrosiana Editoriale, Milano, 1930.
- Giancarlo Zizola, Il conclave, storia e segreti, Roma, Newton & Compton, 2005.