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Il matrimonio di San Giuseppe

Uno dei titoli con cui san Giuseppe viene venerato dalla Chiesa è quello di “castissimo”. Come è noto, infatti, il matrimonio tra Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio, ma fu da essi vissuto non semplicemente in quella santa e venerabile castità coniugale.

Stiamo celebrando con cuore grato e riconoscente l’anno dedicato a san Giuseppe, indetto dal sommo Pontefice attualmente regnate in occasione del 150° anniversario del Decreto Quemadmodum Deus, con il quale il Beato Pio IX dichiarò San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. Il santo padre ha voluto accompagnare l’indizione di questo anno di grazia non solo con la concessione di numerose e svariate indulgenze annesse ad alcune pratiche di devozione e di preghiera nei confronti del grande santo, ma anche con una splendida lettera (Patris corde) con cui ha voluto meditare ed approfondire alcuni aspetti e virtù dell’eccezionale vita di colui che ha avuto la grazia e l’onore di essere chiamato da Dio ad essere padre putativo del Verbo incarnato e Sposo castissimo della beatissima e sempre Vergine Maria.

Uno dei titoli con cui san Giuseppe viene venerato dalla Chiesa è quello di “castissimo”. Come è noto, infatti, il matrimonio tra Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio, ma fu da essi vissuto non semplicemente in quella santa e venerabile castità coniugale a cui tutti gli sposi cristiani sono chiamati – e che implica l’esercizio santo e conforme ai divini voleri di quel peculiare linguaggio che è la sessualità, attraverso cui, peraltro, gli sposi contribuiscono alla procreazione e generazione di nuove vite – ma nella custodia ed esercizio della perfetta verginità. Giuseppe e Maria sono stati veri sposi, si sono amati totalmente e profondamente, hanno speso la vita al servizio e nell’amore del proprio adorato Gesù, ma non sono stati “marito e moglie”. Ci si potrebbe dunque chiedere: può esistere un vero matrimonio e un vero amore coniugale prescindendo dall’esercizio degli atti che la Chiesa definisce “propri dei coniugi” (cf CCC 2362)? Ma davvero quello tra Giuseppe e Maria fu un vero matrimonio? Papa Francesco, attraverso la riflessione sulla perfetta castità di san Giuseppe, ci dà delle importanti suggestioni per rispondere a tali interrogativi. Riguardo il titolo di castissimo, dunque, il Papa afferma che questo termine “non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù” (Patris corde, 7, i corsivi sono miei). Se si fa ben attenzione a tali acute considerazioni, si dovrebbe dire non solo che Giuseppe e Maria si sono amati e hanno vissuto un vero matrimonio, ma addirittura che si sono amati meglio e più di tutti, dato che “solo quando un amore è casto è veramente amore”, perché totalmente immune da ogni tentazione e pericolo di possesso o godimento egoistico dell’altro e che quindi proprio il loro sarebbe il matrimonio perfettissimo e per antonomasia, proprio perché immune dai pericoli di possesso insiti nella dimensione sessuale della vita coniugale! Come scrisse egregiamente a suo tempo Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est, esistono due forme e dimensioni dell’amore umano: quella “erotica” e quella “agapica”. La prima, evidentemente sempre e quasi intrinsecamente presente nella sessualità, porta sempre con sé una nota egoistica, in quanto tende all’altro per goderne. L’altra, invece, è sempre e strutturalmente libera da tale pericolo, perché è caratterizzata dal tendere al solo bene dell’altro, alla sua felicità e alla sua edificazione, senza badare a tornaconto alcuno. Gli sposi che vivono nel sacramento del matrimonio, dunque, attraverso l’amore coniugale hanno il compito (non semplice e non scontato) di integrare la componente erotica propria della sessualità in quella agapica dell’amore oblatico di donazione e ciò affinché anche l’esercizio degli atti coniugali possa diventare strumento che favorisca la mutua donazione che essi significano, e risorsa per arricchire vicendevolmente la coppia in spirito di gioiosa gratitudine (cf CCC 2362). Sappiamo tuttavia quanto questo processo, di fatto, nelle coppie umane sia tutt’altro che scontato e come la costante minaccia dell’egoismo e della concupiscenza minino di continuo la bellezza e l’autenticità dell’amore sponsale, obbligando gli sposi ad un mai perfettamente compiuto itinerario ascetico per costruire un vero, radicato e sincero amore di reciproca totale, libera e spontanea donazione.

Dunque la sacra Famiglia è stata una vera famiglia, anzi la più santa e perfetta di tutte le umane famiglie, nonché modello di ciascuna di esse. San Giuseppe, a differenza della beatissima Vergine Maria, non fu immune dalla macchia del peccato originale e pertanto la custodia perfettissima della castità e della verginità dentro la dimensione sponsale, in lui brilla di luce peculiare e radiosa all’interno della sfolgorante corona delle sue virtù e per questo il Santo, insieme con la sua Sposa, può anzi deve essere invocato da tutti coloro che nel delicato tema della custodia della castità incontrano difficoltà, cadute e tentazioni di ogni sorta. Tutti gli sposi possono e devono imparare dalla Sacra Famiglia la mai compiuta arte di amare, capace di non mettere mai se stessi al centro, ma sempre l’altro, ossia il coniuge e i figli, come sempre ha fatto san Giuseppe. Da essa devono imparare il rispetto reciproco e la salvaguardia della libertà dell’altro, che sono ovvi corollari della logica dell’amore e che oggi quanto mai sembrano purtroppo diventare sempre più sconosciuti e sempre meno valorizzati e praticati. In molti chiedono rispetto e salvaguardia di sé e della propria libertà, pochi sono disposti a concedere altrettanto all’altro. Anche nelle famiglia. Come il Papa ha giustamente sottolineato (cf Patris corde, 7), la grande lezione del castissimo Giuseppe è il rifiuto della logica del possesso dell’altro, cosa che si compie nel dono di sé, dopo una perfetta maturazione dello spirito di sacrificio e genera una vita caratterizzata da grande bellezza e profondissima gioia. Possano i castissimi sposi Gesù e Maria prendere per mano tutti i fedeli che già vivono nel matrimonio e tutti coloro che si stanno preparando a questo grande dono e a questo grande impegno, aiutando tutti a riscoprire la bellezza dell’amore oblativo che sa mettere l’altro al centro riproducendo, nel piccolo della dimensione creaturale, la dimensione agapica dell’amore, che è il carattere intrinseco e peculiare dell’essenza stessa di Dio.

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