Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa pontificale per la solennità di San Giovanni Battista
24-06-2018
Cari Fratelli e Sorelle
1. La solennità di San Giovanni Battista, Patrono della Diocesi e della Città, è una grazia da non sprecare. Il precursore di Cristo è come l’alba del nuovo giorno, indica il sorgere del sole e quindi un modo nuovo di stare nel mondo vecchio, anche se quest’ultimo uccide il Profeta. Ma la forza, il potere, l’arroganza, non sono la prova della verità, né la garanzia della durata. Giovanni dice al re Erode che non gli è lecito di avere la moglie di un altro: poteva tacere e avrebbe risparmiato la vita, invece ha parlato e la vita gli è tolta. La storia si ripete.
Ma chi è stato moderno? Chi – dei due – era attuale? Chi era il futuro? E qual è il criterio per giudicare se qualcosa – un’idea, un comportamento, una scelta – è moderno o vecchio? E’ forse il consenso dell’opinione pubblica, oppure è ciò che corrisponde ai bisogni più veri del cuore, alle tensioni più profonde della coscienza, anche se fosse la coscienza di uno solo? È più moderno morire nella verità o vivere nella menzogna? E’ più nobile morire o – per conservare la vita – perdere le ragioni del vivere? E’ meglio tacere pavidi oppure umilmente dire ciò che può costare la derisione perché fuori dal coro, non in linea con la tirannia di un pensare non necessariamente comune, ma certamente dominante?
2. La risposta viene dal Battista! Risposta semplice e chiara, mite e convinta, coraggiosa e piena d’amore per Erode. Giovanni – rivestito della grazia dello Spirito fin nel grembo materno – ha anticipato nei fatti quanto Gesù avrebbe detto un giorno: ‘voi siete nel mondo, ma non siete del mondo’. Sì, il cristiano è chiamato ad essere nel mondo ma anche di fronte al mondo, sapendo che il modo migliore per servire il mondo è non appartenergli; il modo vero per amare il mondo è parlargli di Dio, è offrigli il Vangelo senza sconti. Cristo si è incamminato decisamente verso Gerusalemme, quasi prefigurando il suo incamminarsi deciso verso il mistero della libertà umana: questo mistero lo avrebbe portato al Calvario. Anche Giovanni è stato deciso davanti a Erode e si è fermato davanti alla porta della sua libertà: ciò lo ha condotto alla morte, ma non ha taciuto e non cambiato la verità di Dio sapendo che la verità libera e salva.
3. La vita del Battista non è solo un fulgido esempio in un tempo di regime culturale. E’ di più: ci ricorda che cos’è la vita umana, il suo scopo. Ci limitiamo a interrogarci sul ‘come’ della vita: come possiamo vivere bene, essere felici, allontanare i mali e le pene, premunirci dalle sventure, soddisfare i nostri desideri, allontanare la morte. Ciò può diventare spasmodico, un’idea fissa, un impegno assillante che ci causa preoccupazione, paure e infelicità. Se invece è nei limiti del buon senso e del sano realismo, allora è legittimo e anche doveroso.
Ma non basta! E’ necessario chiederci non solo il come dell’esistenza, ma anche il ‘perché’: perché siamo al mondo? Proveniamo dal nulla? Siamo il prodotto di una meccanica evoluzione della materia? Gesù ci rivela che ognuno è voluto da Dio, è chiamato per nome, è oggetto della sua fiducia, è guardato con d’amore. E se la nostra origine è Dio, qual è il nostro destino? Il destino è ancora Dio, la vita in Lui, la gioia piena ed eterna. E’ questo il vero perché: senza un perché che buchi la barriera del tempo, il come dei nostri giorni è fragile e insufficiente, tutto perde respiro: anche le cose più belle perché senza durata e futuro. Perché allora lottare, sacrificarci, amare, dare la vita, se tutto è destinato al nulla? E qual è la cultura che ne deriva, cioè il modo di pensare se stessi, i rapporti, la vita e la morte, lo stare insieme, se ciò che ci attende è il nulla?
4. Cari Amici, stiamo celebrando l’Eucaristia, cuore della nostra fede, sorgente della vita cristiana, fonte della Chiesa. La Liturgia ci pone davanti al nostro Principio e al nostro Destino: non sono un’idea, ma la Persona del Risorto. La Messa non è una lezione di vita, è vita!. Per questo il culto genera cultura: essa il modo di vedere il vivere e il morire, è un orizzonte meraviglioso e uno stile di comportamenti e di doveri. Senza etica non c’è fede, poiché Dio c’entra con la nostra vita: in Gesù è entrato nella nostra umanità, e ci ha detto come vivere. Nel culto vediamo che il mondo è abbracciato non da una gnosi fredda e astratta, ma da Colui che è la Verità e l’Amore. Nel culto facciamo esperienza dell’incontro con Dio, e ci riscopriamo, nonostante ferite e delusioni, comunità e popolo. Dal culto ritorniamo rigenerati perché incontriamo le braccia palpitanti di Cristo, alfa e omega, estuario di luce e di gioia. Portiamo con noi la grazia del mondo nuovo, che Giovanni ha vissuto nella sua carne guardando all’Agnello che toglie i peccati del mondo.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
Fonte: chiesadigenova.it