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Il prete che non vuole fare il prete

Don Luca Favarin, prete padovano da anni immerso nel sociale, ha destato clamore a seguito di un suo post su Facebook in cui accusa l’autorità ecclesiastica di troppo rigorismo nei confronti delle sue opere. Ma qual è la verità?

VENANZIO FORTUNATO

Sulla scia del titolo della lettera di un lettore pubblicata alcuni giorni fa, quest’oggi affrontiamo un altro tema scottante: i preti impegnati in ambito sociale. In modo particolare ci spostiamo nella vicina Diocesi di Padova, che in questi giorni è già interessata da eventi, come potremmo dire… sedeimpedentisti? Ma comunque. Nella serata di ieri [14 dicembre 2022] è apparso sul sito della Diocesi di Padova una notificazione riguardante il presbitero Luca Favarin, conosciuto in diocesi e non solo per la sua grande, o per meglio dire, smisurata “passione” per gli ultimi, emarginati, derelitti: insomma un vero discepolo del Cristo. Peccato però che… pecunia non olet, e quando si parla di danaro la faccenda si fa seria.

                             

Il post che vedete qui sopra è stato scritto molto probabilmente dopo un’accesa chiacchierata con un monsignore di curia su certe inclinazioni che il presbitero padovano vorrebbe adottare nella sua comunità di accoglienza.
Il don Favarin si scaglia veementemente, come potete ben intendere, contro la Santa Madre Chiesa accusata di ridurre il suddetto presbitero «all’eroe di turno o al profetuncolo emarginato dall’istituzione ecclesiastica». E subito dopo si difende: «No cara istituzione ecclesiastica. Quello che facciamo è creare inclusione, solidarietà, accoglienza, umanità, e anche qualità e cultura. Lo chiamate disagio? È considerato incompatibile? Ne prendo atto, ma non rinuncio a fare quello che stiamo facendo: la cosa più bella della vita. E se suscita disagio in qualche benpensante ben venga!»

Peccato che i ben pensanti che il Don Luca cita, come anche la Santa Chiesa, sono ben consci che lui non è l’unico ente che fa del bene. Basti pensare che nella sola Diocesi di Padova ci sono centinaia di volontari impegnati ad azioni caritative non solo ai lontani (come la oriunda Medici con l’Africa – CUAMM), ma anche a tutti coloro che sono in difficoltà nella città e dintorni come la stessa Caritas diocesana, le Cucine Popolari curate dalla fondazione Nervo-Pasini, Beati costruttori di Pace solo per citarne alcuni. Tutto ciò per dire che don Luca non è il Don Chisciotte di turno, solo contro i mulini a vento.

Ma da quanto si apprende dalla comunicazione della curia, lo sfogo social (a gusto personale non adatto) è dato dal fatto che al presbitero Favarin è stata negata la possibilità di «esercitare attività commerciale se non con licenza della legittima autorità ecclesiastica» come citato dal canone 286 del Codice di Diritto Canonico, licenza che evidentemente per determinati motivi non può essere concessa.

Chi è della zona si ricorda certamente della notizia di cronaca che riguardò Don Luca Favarin in relazione all’acquisizione di un’attività commerciale in città. Chissà se si tratta proprio di questo fatto, o di altri grilli per la testa.

Ma dulcis in fundo, il post facebook chiosa con un’immancabile affermazione: «Credo nell’inclusione e questo significa il diritto di amarsi e vedere pubblicamente riconosciuto il proprio amore anche per le persone dello stesso sesso. Credo nei diritti delle persone indipendentemente dai loro orientamenti sessuali o dai loro credi. Credo fermamente in una legge sul diritto del fine vita. Questo va totalmente contro il magistero ufficiale della Chiesa e io, per correttezza e integrità, non posso esserne portavoce.» Dobbiamo ammettere, però che per lo meno c’è stata una presa di coscienza che il politically correct non fa parte del linguaggio della Chiesa, ma di quello serpentino (leggersi luciferino) del mondo. Ricordiamo che la Chiesa e la stessa Parola condannano la tendenza, quindi il peccato, non il peccatore. Ma credo che la teologia morale non sia stata il suo forte in seminario.

Fatto sta che questa affermazione non stupisce: un copione letto e riletto molte volte, che va avanti dall’era dei cosiddetti “preti operai”.

Al caro don Luca (non si sa don fino a quando) vorremmo ricordare che la promessa di obbedienza non è un castigo da parte della Chiesa, che è Madre e quindi non può avere in odio i propri figli, ma bensì un’opportunità per consegnarsi totalmente alla volontà di Dio che parla anche per bocca dei propri superiori, che possono essere corretti, ma con rispetto (e facebook, grande agorà dei sentimenti “di pancia” non mi pare la strada giusta). I santi ci sono d’esempio e di aiuto, non continuiamo a fare di testa nostra perché la nostra idea ci sembra la più giusta e santa. Guardiamoci intorno: non facciamo il fariseo al tempio che guarda solo a sé stesso, disprezzando gli altri (cfr. Lc 18, 9-14). Guardiamo prima a noi stessi, alle nostre travi, come fece il pubblicano e «umiliamoci sotto la potente mando di Dio, perché ci esalti nell’ora della Sua visita» (cfr. Benedizione papale, Benedizionale 1956).

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