Tra i Vangeli canonici quello di San Giovanni, il discepolo prediletto del Signore, si differenzia per la mancanza di alcuni episodi presentati dai sinottici e per la presenza di passi altrove assenti. Sicuramente degno di interesse e rispetto è il Prologo del quarto Vangelo, di una profondità teologica impressionante e segno visibile degli effetti della pratica dell’amore di Dio, che è Carità, che è Sapienza. Il Prologo si articola proprio in relazione alla Sapienza che, come si può desumere dal libro dei Proverbi, è attributo di Cristo, anzi, è Cristo:
La Sapienza forse non chiama e la prudenza non fa udir la voce? In cima alle alture, lungo la via, nei crocicchi delle strade essa si è posta, presso le porte, all’ingresso della città, sulle soglie degli usci essa esclama: “A voi, uomini, io mi rivolgo, ai figli dell’uomo è diretta la mia voce. Imparate, inesperti, la prudenza e voi, stolti, fatevi assennati. Io, la Sapienza, possiedo la prudenza e ho la scienza e la riflessione”.
Prov. 8, 1-5; 12
Sant’Atanasio, poi, nello spiegare questi versetti, afferma: “In seguito, quella stessa Sapienza, che è il Verbo, si è fatta carne, come afferma san Giovanni. Distrutta la morte e liberato il genere umano, manifestò se stessa più chiaramente e, per mezzo suo, il Padre”. Già qui è presente il richiamo a San Giovanni, la cui introduzione al Vangelo è chiaramente pensata come operante ciò che descrive, cioè come un inno al Verbo, al Logos incarnato che è Cristo, il quale è allo stesso tempo anche “luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo” (Lc 2, 32); e tale inno annuncia ciò che è scritto dopo: se Cristo è la “luce vera” ed è Verbo, allora il Vangelo non può essere che la notizia della Salvezza operata predicando – mediante dunque la Parola, il Logos – e l’esempio, poiché con la sua passione e morte Gesù ha aperto le porte del Paradiso, indicando se stesso come via, come luce sul cammino delle tenebre.
Una così grande attenzione teologica non poteva che suscitare grandi riflessioni già dai primi secoli che vertevano intorno al Prologo, e il testo fu un riferimento tale da essere compreso nelle celebrazione di ogni Santa Messa, l’azione della Chiesa che attualizza nuovamente il fine per cui il Signore si è incarnato, è morto ed è risorto. Ed ecco che lo si incontra, nei primi 14 versetti, al termine della celebrazione, dopo il Congedo. Bisogna ricordare che nei primi secoli cristiani esistevano varie forme di benedizione. Nei tempi contemporanei si è abituati alla benedizione fatta tracciando il segno di croce, ma questo era, in realtà, solo uno dei tanti modi differenti. Si poteva benedire con una formula – che è rimasta nelle orazioni di benedizione sul popolo – o con un oggetto sacro – anche questo modo è riscontrabile ancora nelle benedizioni con le reliquie, ad esempio – o si poteva benedire con un testo sacro. L’Exsultet, il canto dell’annuncio della risurrezione che benedice il cero pasquale, è proprio un esempio di questa antichissima consuetudine. Un altro esempio è, appunto, la recita del Prologo giovanneo. La benedizione vera e propria venne aggiunta in epoca più tarda, e questo spiega anche il perché si trova, nel Rito Antico, dopo il Congedo. Nei riti finali della Messa, dunque, la benedizione comprende sia il segno di croce sul popolo che la lettura del Prologo, con soluzione di continuità, a evidenziare come il genere umano sia stato benedetto da Dio Trinità mediante la redenzione operata dal Figlio, per la quale si sono riaperte le porte del cielo, sbarrate in seguito al peccato del primo parente.
Una particolarità: nella terza Messa di Natale, dove il Vangelo è il Prologo, al termine si legge il Vangelo dell’Epifania, secondo una tradizione così antica da essere condivisa anche da alcuni riti orientali.
Concludendo, è necessario riscoprire le fondamenta della nostra fede anche per mezzo della lettura dei Vangeli, sostenuti dalle meditazioni di buoni sacerdoti e dalla frequentazione ai Sacramenti. Insieme alla confidenza con Gesù e Maria, non abbiamo armi più forti per il combattimento spirituale.