Le anime che muoiono in stato di grazia, ma non hanno sufficientemente espiato e riparato le conseguenze, le macchie e i danni prodotti dai peccati commessi, devono passare per la divina purificazione che si compie nel santo luogo del Purgatorio dove, come insegna la Chiesa, vanno le anime che si sono macchiate di peccati veniali non sufficientemente espiati oppure di peccati mortali dei quali abbiano ottenuto il perdono o di cui si siano pentite prima della morte, invocando la Divina misericordia.
L’esistenza del Purgatorio è un dogma di fede, ossia una verità non negabile da chi voglia dirsi cattolico e quindi in perfetta comunione con la santa Madre Chiesa. È anzitutto necessario ricordare il principale documento in cui la Chiesa afferma chiaramente l’esistenza e la funzione del Purgatorio, ossia il decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento. In esso si legge testualmente: “Bisogna insegnare che la penitenza del cristiano dopo la caduta è di natura molto diversa da quella battesimale e consiste non solo nel rifuggire dai peccati e nel detestarli, cioè in «un cuore contrito e umiliato» [Sal 51,19], ma anche nella confessione sacramentale dei medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo, e nell’assoluzione del sacerdote; e così pure nella soddisfazione col digiuno, le elemosine, le orazioni e altre pie pratiche spirituali, non certo della pena eterna, che è rimessa insieme con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del sacramento, ma della pena temporale [can. 30]: essa infatti (come insegna la sacra Scrittura) non sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a coloro che, immemori della grazia ricevuta da Dio, contristarono lo Spirito Santo [cf. Ef 4,30] e osarono violare il tempio del Signore [cf. 1 Cor 3,17]” [Denz 1543, tutti i corsivi sono miei]. Il testo è chiarissimo: ottenuta la remissione delle colpe e della pena eterna (cioè la privazione della visione beatifica, nota anche come “pena del danno”) attraverso il sacramento della penitenza, rimangono delle “pene temporali” da “soddisfare” con le opere penitenziali di evangelica memoria (digiuno, preghiera ed elemosina) a cui sono da aggiungere altre “pie pratiche spirituali”. Questo perché come Cristo è morto una sola volta per tutti, così una sola volta (nel sacramento del Battesimo) concede all’anima di beneficiare con pienezza di tutti i suoi meriti di grazie e soddisfazioni (sia in ordine alla colpa che a tutte le sue conseguenze, temporali ed eterne). Per i peccati commessi dopo il Battesimo, l’anima deve cooperare all’espiazione delle pene temporali volontariamente, per mezzo della penitenza (ed è per questo motivo che parte di essa viene imposta dal sacerdote unitamente all’assoluzione). Se non lo fa volontariamente in vita e rimane in debito con la divina giustizia o ancora con conseguenze del peccato da riparare o macchie da purificare, dovrà passare necessariamente per il Purgatorio. Aggiunge ancora il Decreto nel canone 30: “Se qualcuno afferma che a qualsiasi peccatore pentito dopo che ha ricevuto la grazia della giustificazione, viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimane alcun debito di pena temporale da scontare o in questa vita o in quella futura in purgatorio, prima che gli siano aperte le porte del regno dei cieli: sia anatema” [Denz 1580].
Nel Purgatorio sono presenti due generi di pene: quella del danno (perché l’anima è momentaneamente priva della visione beatifica) e quella del senso (sia il fuoco che pene temporali particolari adatte ad espiare le varie specie di peccato e proporzionate alla loro gravità e numero). Questo ha sempre insegnato la dottrina comune della Chiesa e questo tutti i fedeli devono fermamente ritenere. Il Purgatorio non è una sorta di “sala d’aspetto”. Pur nel gaudio consolante di aver raggiunto la salvezza e quindi nella coscienza della temporaneità delle pene, tuttavia è un luogo di profonda sofferenza, tanto più grande in quanto l’anima, al momento del giudizio particolare, pur non avendo visto Dio con la visione beatifica (altrimenti sarebbe immediatamente cominciato il Paradiso), lo ha però conosciuto in maniera molto perfetta e per noi inimmaginabile, per cui solo la nostalgia di Lui e il desiderio di vederlo al più presto (anche prescindendo dalle pene del senso, che sono comunque presenti) sarebbe sufficiente a causare grandissime sofferenze.
Le anime sante del Purgatorio, per il mistero della comunione dei santi, possono essere aiutate dai fedeli ancora pellegrini sulla terra con la straordinaria opera di misericordia spirituale che sono i “suffragi” per i defunti, tra cui importanza peculiare rivestono le sante indulgenze. Su questi temi è bene mettersi in ascolto della sempre luminosa dottrina di san Tommaso d’Aquino, il cui pensiero è sintetizzabile come segue. Le indulgenze rimettono la pena che rimane dopo la contrizione, la confessione e l’assoluzione in forza dell’unità del corpo mistico (sovrabbondanza delle penitenze dei santi e meriti di Cristo) e dell’autorità del Papa, successore di Pietro, a cui Gesù disse: “Tutto ciò che rimetterai sulla terra sarà rimesso in cielo” (cf S. Th., Suppl., q. 25, a. 1). Esse hanno il valore che ad esse è dato (nella quantità di pena scontata), purché non manchi l’autorità in chi le concede, la carità in chi le lucra e siano motivate dalla pietà, cioè siano concesse a gloria di Dio ed utilità del prossimo (ivi, q. 25, a. 2). I suffragi giovano ai defunti in ordine alla diminuzione di pena (S. Th., Suppl., q. 71, a. 6), ma non fanno mutare lo stato che è di dannazione o di salvezza (ivi, q. 71, a. 2); ma giovano molto di più a chi li compie, non in ordine alla soddisfazione della pena, ma in ordine ai meriti di gloria, perché sono opere di grande carità (ivi, q. 71, a. 4). Il fondamento dell’efficacia dei suffragi è la comunione dei santi, la presenza della carità nell’offerente e nel beneficato e l’intenzione di chi li offre (ivi, q. 71, a. 9). Ne consegue che i suffragi non giovano e non possono in alcun modo giovare ai dannati e la Chiesa non prega e non deve mai pregare per loro (ivi, q. 71, a. 5). I suffragi principali e più importanti ed efficaci per i defunti sono: il sacrificio dell’altare (ossia la santa Messa) e le elemosine (ivi, q. 71, a. 9), dal punto di vista della carità; la preghiera dal punto di vista dell’intenzione dell’offerente. San Gregorio Magno include anche il digiuno e le altre opere di penitenza corporale (ivi q. 71, ob 2).