Benché tutte le pratiche di devozione possano riempire di consolazione interna ognuno che le eserciti, e non esista opera buona che non sia accompagnata da piacere e gioia indicibile, testimoni inseparabili della buona coscienza e che superano ogni altra contentezza; è certo però che Gesù Cristo non concede maggior abbondanza di grazie, anche sensibili, che alle pratiche devote rivolte unicamente ad onorarlo nel SS. Sacramento. Quando mai un S. Francesco, un S. Ignazio, una Santa Teresa, un S. Filippo Neri, un S. Luigi Gonzaga e tanti altri sentirono il cuore più infiammato d’amore se non quando si accostarono a questo augusto Sacramento? Quanti sospiri amorosi, quante lacrime soavi nelle celebrazione o nella partecipazione di così adorabile Mistero! Di quali consolazioni, di qual torrente di delizie non furono essi riempiti? Infatti, siccome non esiste altro luogo dove Gesù si mostri più generoso, così qui più che altrove Egli fa gustare maggiormente le dolcezze della sua presenza e dei suoi doni. Negli altri Misteri Egli dona le sue grazie, ma in questo come prima grazia ci dà veramente e realmente se stesso. La gioia è inseparabile dai banchetti; Gesù ne dà uno ogni giorno ai Cristiani nella S. Eucaristia. E chi si meraviglierà se in esso tratta i suoi amici con tanta piacevolezza e con tanto amore? Ora siccome la devozione al S. Cuore di Gesù ci trasforma in veri e fedeli suoi adoratori nel SS. Sacramento, perché ci consacra in modo speciale a questo Mistero, così ce ne fa gustare le maggiori delizie. Si direbbe quasi che N. Signore misuri le grazie singolari che fa in esso col numero delle offese che vi ha ricevuto; e siccome in nessun altro Mistero Egli ha ricevuto oltraggi maggiori, così non ce n’è altro dov’Egli ricolmi di consolazioni più soavi quelli che nulla trascurano per fargli risarcimento di quegli oltraggi. Il motivo principale di questa santa pratica è sì puro e sì gradito a Gesù che non ci deve sorprendere se il migliore e il più santo dei padroni faccia gustare tanta soavità ai suoi servi riconoscenti e fedeli, specie in un tempo in cui c’è tanta scarsità di gratitudine, di premura e di vero amore, anche fra quelli che fanno professione d’amarlo. Siccome è impossibile amare questa devozione senza aver molto amore verso Gesù, così è assai difficile che non si sentano nella pratica quelle dolcezze e consolazioni intime, che sono di solito inseparabili dall’esercizio dell’amor puro: e come la sola vista delle Piaghe di Gesù ispira non so quale fiducia nella sua misericordia, così il solo ricordo del suo Cuore fa provare non so quale dolcezza e gaudio che si sente, ma non si può esprimere.
È veramente strano che ci si avvicini a Gesù, che siamo da Lui bene accolti quando lo visitiamo, e tuttavia non si senta da noi almeno quel piacere, che di solito sentiamo nelle buone accoglienze avute dai Grandi. La causa funesta di questa disgrazia, ben più grande che non si pensi, dipende dal nostro poco amore verso Gesù, dalle grandi imperfezioni e dai molti altri nostri difetti. Ma si può affermare che non trovandosi nessuno di questi difetti nell’esercizio della vera devozione al S. Cuore di Gesù, tutte le tenerezze e tutti i suoi favori speciali devono essere, a quanto pare, inseparabili da questa devozione. Così l’hanno felicemente provato fino ad oggi tutte le persone che si sa essere state devote del S. Cuore di Gesù; così ogni giorno l’esperimentano quelli che le imitano, e questo appunto ci fa dire che sembra Gesù non possa negare le sue più dolci intimità agli amici del suo S. Cuore. Si è osservato che i Santi più devoti e teneri del S. Cuore sono stati i più arricchiti di favori segnalatissimi, e che essi non parlano, quasi mai della devozione al S. Cuore di Gesù, senza usare espressioni che rivelano chiaramente le grazie straordinarie e le dolcezze interne di cui sono stati colmati. — Oh quanto è buono, quanto è dolce abitare in questo Cuore! grida S. Bernardo. — O amabile mio Gesù, basta ch’io mi ricordi del tuo sacro Cuore per sentirmi tutto ripieno di gioia. — O quam bonum, quam iucundum habitare in Corde hoc… Exultabimus et laetabimur in Te, memores Cordis tui. — (Vitis mystica. C. IV). S. Geltrude e S. Matilde per questa devozione ricevettero immensi favori da Gesù. S. Chiara soleva attestare che alla devozione al S. Cuore di Gesù doveva, per così dire, quelle dolcezze straordinarie di cui era piena l’anima sua, quando si presentava, dinanzi al SS. Sacramento; e S. Caterina da Siena al solo pensare a questo Cuore adorabile si sentiva infiammata d’amore verso Gesù. Essendo Gesù apparso a S. Matilde, le disse queste belle parole: — «Figlia, se vuoi essere perdonata di tutte le negligenze fatte nel mio servizio, abbi una tenera devozione al mio Cuore, ch’è il tesoro di tutte le grazie ch’io ti concedo senza tregua, ed anche la sorgente di ogni consolazione interna e d’ogni dolcezza ineffabile di cui ricolmo i miei amici. (Liber specialis gratiae. P. III. c. 8). Il P. de la Colombière non si spiegava diversamente: e benché Dio l’avesse condotto per molti anni nelle strade della più sublime perfezione, non già per via di consolazioni sensibili, ma soltanto d’una fede viva e attraverso prove fortissime, tuttavia sembrò che lo Spirito divino mutasse sistema verso di lui, quando l’ebbe ispirato a praticare questa devozione. Ecco come il Servo di Dio si esprime in proposito in un tratto dei suoi Esercizi: «Il mio cuore si apre e sente le dolcezze che ho la gioia di gustare e ricevere dalla misericordia di Dio senza poterlo spiegare. O mio Dio, che vi comunicate con tanta bontà, alla più ingrata delle vostre creature e al più indegno dei vostri servi, davvero voi siete buono! Siatene lodato e benedetto eternamente! Ho compreso che Dio voleva servirsi di me affinché procurassi il compimento dei suoi desideri circa la devozione ch’Egli ha suggerito a una persona a cui si manifesta con grande confidenza. Perché, mio Dio, non m’è dato di essere dappertutto e pubblicare ciò che voi vi aspettate dai vostri servi ed amici?». In un altro luogo: «Basta — grida — basta, o mio Sovrano e amabile Signore, coi favori di cui mi ricolmate! Io comprendo quanto ne sono indegno; Voi mi avvezzerete a servirvi per interesse o mi spingerete a fare degli eccessi, perché per meritare un solo istante di quelle dolcezze che mi largite, che cosa non farei, se non m’obbligaste a ubbidire al mio Direttore? Insensato! che dico, meritare? Perdonatemi, o amabile Padre mio, questa parola! io mi confondo nell’eccesso della vostra bontà, non so quel che dico. Merito forse io le grazie e le consolazioni ineffabili di cui mi prevenite e ricolmate? No, mio Dio, siete Voi solo con le vostre sofferenze a intercedere per me dal Padre vostro tutti quei favori che ricevo. Siatene eternamente benedetto, e accumulate sopra di me mali e miserie per darmi i qualche parte nelle vostre. Io non crederò che mi amiate se non quando mi abbiate fatto soffrire molto e a lungo». Così si esprime questo uomo santo nell’eccesso delle dolcezze e delle interne consolazioni, che provava nell’esercizio d’una tenera devozione verso il S. Cuore di N. S. Gesù Cristo.
Tratto da: P. Giovanni Croiset S.J., La divozione al S.Cuore di N.S. Gesù Cristo, C. 5, Messaggero del S. Cuore, 1940.