La questione del crocifisso nelle scuole e più in generale negli edifici pubblici, è stata oggetto di molti dibattiti e riflessioni. É un fenomeno strettamente collegato al profondo cambiamento culturale in atto, alla diminuzione della diffusione della fede cristiana nella società italiana, all’accresciuto pluralismo delle posizioni religiose, filosofiche, ideologiche, e all’adeguamento di comportamenti e normative alla nuova situazione e alla maggiore sensibilità sul tema dei diritti umani. Il dibattito (non) si è concluso con una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha stabilito che, pur non essendo obbligatoria, l’affissione del crocifisso nelle scuole pubbliche non può essere ritenuta un atto di discriminazione nei confronti di chi non la condivide. La sentenza dice infatti che l’esposizione del crocifisso, considerato un simbolo legato alla tradizione culturale del popolo italiano, non può essere intesa come un atto di discriminazione, perché è un simbolo passivo che non comporta alcun atto di adesione da parte degli insegnanti e non ne limita la libertà di insegnamento né quella di esprimere le proprie convinzioni sullo stesso crocifisso. Allo stesso tempo, però, i giudici hanno stabilito che l’esposizione del Crocifisso non può essere imposta, ma deve risultare da un percorso di confronto e mediazione tra le diverse parti all’interno di ogni istituto scolastico.
Se ricordate, ciò che ha indotto la Corte di Cassazione a intervenire fu la vicenda di un professore, il quale alcuni anni fa si era opposto all’ordine del dirigente scolastico di esporre il crocifisso nelle aule: ogni volta che faceva lezione, il professore toglieva il crocifisso dal muro, per poi rimetterlo quando usciva dall’aula. A Palermo, invece, sono stati gli alunni di una classe terza superiore a dare una lezione di civiltà ai professori: in mancanza del Crocifisso sulla parete lo hanno disegnano su un foglietto di carta con la scritta: “fatto con il cuore”. Insomma, un segno della cristianità che, divenuto emblema di discordia e divisione, ora è diventato una testimonianza di fede.
Quando San Paolo scrive che “noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1 Cor 1, 23) si fa portavoce di una mentalità ben chiara non solo presso Giudei e Greci, ma anche all’uomo del XXI secolo, per il quale la croce è “scandalo” e “follia”. Oggi il cristiano rivive lo stesso tormentoso problema delle prime comunità cristiane. Se ripensiamo alle modalità e al significato della crocifissione nelle culture influenzate dalla presenza dei Romani di quel tempo, la morte di Gesù rappresenta, per i Romani, l’eliminazione di un vero o presunto agitatore; per i capi ebrei una punizione legittima e maledizione di Dio per un bestemmiatore (Dt 21, 23; Gal 3, 13: maledetto chi pende dal legno); per i Greci, desiderosi di dottrine che soddisfino l’intelligenza avida di conoscenza, la croce fu una stoltezza; per i seguaci di Gesù la sua morte ignominiosa, da volgare malfattore, significava la fine catastrofica delle loro speranze messianiche. Insomma, la vita di Gesù andava a concludersi “fuori dell’accampamento” (Eb 13, 12), tra gli empi (Lc 22, 37) suscitando così nelle coscienze tormentate il dubbio se quel Gesù crocifisso fosse davvero il Messia tanto sperato. Ma a dare una risposta chiara a questi dubbi è l’apostolo Pietro, il quale si fa interprete di questa predicazione che vuol superare lo “scandalo della croce” (cf 1 Cor 1,18; Gal 3,13; 5,11; 1 Pt 3,13-18) e nel giorno di Pentecoste grida alla folla dei Giudei: “Gesu di Nazaret […] dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dal laccio della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere […] Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire […] Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2, 22-36).
La Chiesa primitiva, grazie agli Apostoli, ha stabilito una serie di certezze capaci di superare il terribile scandalo della croce. Per la Chiesa contemporanea, invece, la croce non è più contrassegno dei credenti, ma al contrario, qualcosa da nascondere per “amore” e rispetto di coloro che non credono. Una Chiesa che dovrebbe prendere esempio da quei bambini che in mancanza della croce in aula l’hanno disegnata su un foglio di carta. Questi, infatti, pur non conoscendo i Padri della Chiesa, hanno appreso quanto insegna San Cirillo di Gerusalemme: “Non vergogniamoci della croce del Cristo, ma, anche se un altro lo fa di nascosto, tu segnati in fronte davanti a tutti, di maniera che i demoni, vedendo quel regal simbolo, fuggano via tremando. Fa’ il segno della croce […] in qualsiasi circostanza”.