Fin da bambini, noi cattolici siamo stati educati all’osservanza di un certo codice di comportamento da adottare all’interno di chiese ed altri luoghi sacri. In particolare, oltre alle regole che disciplinano la postura e l’atteggiamento da mantenere durante le celebrazioni liturgiche, è buona norma che i fedeli, nel momento in cui si accingono ad entrare o uscire da un edificio di culto, compiano dei semplici gesti che manifestino anche visivamente il rispetto e la riverenza per la sacralità del luogo, ovvero il segno di Croce, eventualmente con l’acqua benedetta, la genuflessione verso il Santissimo Sacramento e l’osservanza di un breve momento di preghiera silenziosa prima di sedersi.
Purtroppo, però, negli ultimi anni non solo abbiamo dovuto assistere a una sempre maggior noncuranza delle buone norme di comportamento all’interno di una chiesa ma anche allo smarrimento di fedeli, con genuini intenti di devozione, i quali faticano ad individuare il luogo in cui è custodito il Santissimo Sacramento.
Ovviamente, è opportuno rammentare come non in tutte le chiese sia custodita l’Eucaristia; soprattutto in Paesi come il nostro, ricco di edifici di culto anche di dimensioni molto piccole, con buona probabilità edificati a scopo devozionale, non è raro imbattersi in chiese, cappelle nonché semplici edicole, talvolta completamente prive di ogni custodia, in cui difficilmente viene celebrata la Santa Messa se non in occasioni eccezionali. In questi luoghi è raro che venga custodito il Santissimo Sacramento e, spesso, se è presente un tabernacolo, esso risulta essere vuoto. Al contrario, nelle cattedrali, basiliche, chiese parrocchiali o comunque laddove la celebrazione della Santa Messa segue una certa regolarità è verosimile che vi sia la presenza del Signore nell’Eucaristia. Tuttavia, il punto dell’edificio in cui sono custodite le specie eucaristiche può variare considerevolmente a seconda dello stile architettonico e dell’epoca di costruzione dello stesso.
Vale la pena pertanto approfondire gli usi e le consuetudini che, nel corso della storia, hanno regolato la pratica della custodia dell’Eucaristia. Nei primi secoli del cristianesimo, prima che venissero quindi edificate costruzioni dedicate esclusivamente al culto, l’Eucaristia veniva custodita nelle case dei fedeli, i quali dovevano mostrare massima devozione e rispetto. Con il termine delle persecuzioni a danno dei cristiani da parte di Costantino, il culto iniziò ad essere praticato pubblicamente ed ebbe inizio l’edificazione delle chiese. Ciò suggerì l’opportunità che anche l’Eucaristia venisse custodita in tali luoghi, anche se inizialmente ci si limitò a conservare in chiesa le specie destinate alla comunione per gli ammalati, finché la pratica della custodia nelle case cessò definitivamente verso il VI secolo. In chiesa, l’Eucaristia veniva conservata nel sacrarium, una stanza particolare denominata anche «pastoforio», dotata di un’apposita credenza in cui riporre l’Eucaristia.
Spesso, il pane eucaristico veniva posto in una di queste due forme, la torre e la colomba. È verosimile tuttavia ritenere che esse fossero complementari, poiché la colomba aveva i rivestimenti d’oro mentre la torre era argentata. Pertanto, con ogni probabilità, si provvedeva ad inserire il pane eucaristico nella colomba, la quale veniva a sua volta custodita nella torre, che veniva infine riposta nel sacrario o, comunque, nel luogo previsto per la custodia eucaristica.
Non era ancora uso, però, custodire l’Eucaristia sull’altare, in quanto tale pratica si sarebbe diffusa solo con lo sviluppo del nuovo sentimento di devozione e di pietà tra il popolo cristiano proprio del XIII secolo. Nel frattempo, si introdusse anche una nuova forma di custodia per l’Eucaristia, la pisside, termine che identificava genericamente un vaso sacro, di qualsiasi forma e dimensione, differenziato però dalla torre e dalla colomba. Ebbe ottima diffusione per la sua praticità e maneggevolezza, anche se non sostituì completamente la torre e la colomba che rimasero parecchio impiegate soprattutto nelle regioni europee del nord, come Francia e Inghilterra, molto meno in Italia.
Con lo sviluppo del sentimento eucaristico, manifestatosi anche con l’introduzione della festa del Corpus Domini, iniziò a diffondersi la pratica di appendere la torre o la colomba sul ciborio, in modo tale che pendesse sull’altare, o, laddove il ciborio non fosse presente, poggiarle su una tavola a fianco dell’altare stesso. Nei luoghi dove torre e colomba non erano in uso, talvolta si appendeva la pisside, oppure la si custodiva sull’altare, tuttavia la pratica di riporre l’Eucaristia in sacrestia restò in vigore in alcune chiese fino al Concilio di Trento.
Il desiderio dei fedeli di poter vedere l’Eucaristia portò non solo all’inserimento dell’elevazione dell’Ostia e del Calice nella Messa, ma anche all’organizzazione di momenti di adorazione di fronte al Santissimo Sacramento esposto. Fu secondo questa tendenza che, intorno al XIV secolo, nel Nord Europa si diffusero le cosiddette torri sacramentali, in cui l’Eucaristia veniva custodita in contenitori di vetro riposti in nicchie protette da grate metalliche, all’interno di queste torri costruite a fianco dell’altare, che permettevano un’esposizione di tipo continuo.
Sempre in quest’epoca trovarono diffusione, soprattutto in Italia, i primi tabernacoli murati, spesso armadietti di modesto valore, incastonati nella parete sopra l’altare dal lato del Vangelo.
Quest’introduzione fu senza dubbio particolarmente significativa, tuttavia questi tabernacoli erano ancora ben lontani dal tabernacolo d’altare proprio del periodo post tridentino. Infatti, col Concilio di Trento e a seguito dello scisma protestante che negava la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, si assistette a un nuovo slancio verso la centralità eucaristica, anche ad opera dei santi tra i quali si distingue San Carlo Borromeo, che volle trasferire il Santissimo Sacramento sull’altare del Duomo di Milano. La volontà di riaffermare la dottrina cattolica contro le derive protestanti si manifestò nella collocazione del tabernacolo al centro dell’altare maggiore, in posizione ben visibile, riccamente ornato, sovente attorniato di ceri, statue di angeli e santi o reliquiari. Se tale modalità di custodia eucaristica all’inizio costituì solo una raccomandazione, entro il XVIII secolo divenne l’unica forma in uso in ogni chiesa, finché un decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 1863 la sancì «disciplina vigente» per la Chiesa universale.
Il tutto rimase immutato fino agli anni successivi al Concilio Vaticano II, in cui le modifiche al rito della Santa Messa comportarono quasi sempre modifiche anche all’ambiente delle chiese. In alcuni casi ci si limitò a posizionare nuovi altari versus populum, in altri purtroppo ciò comportò la rimozione degli altari ad orientem. Si è potuto assistere, se non ufficialmente quantomeno di fatto, ad un passaggio dal concetto di Messa quale sacrificio verso quello di «Cena del Signore», con la conseguente volontà di porre in maggior evidenza l’altare rispetto al luogo della custodia eucaristica, cioè il tabernacolo. In tal modo, il medesimo è stato sovente oggetto di minor riguardo e in parecchi casi spogliato del conopeo; va ammesso, però, che nelle chiese dove esso era già presente è stato in linea di massima mantenuto nella sua posizione centrale. Non è così nelle chiese di più recente costruzione, in cui si è diffusa la tendenza a creare la «Cappella del Santissimo Sacramento», elemento tipico di cattedrali, basiliche e collegiate, all’interno delle quali un luogo dedicato alla custodia eucaristica è non solo opportuno ma anche necessario,[1] di difficile interpretazione però nelle chiese più piccole, a maggior ragione se si pensa che, spesso, in posizione centrale si colloca, al posto del tabernacolo, la sede del celebrante. Inoltre, in molte chiese di recente edificazione lo stesso tabernacolo appare di forme e decorazioni piuttosto discutibili, in alcuni casi ai limiti dell’irriverenza.
La Santa Sede ha più volte emanato istruzioni riguardo la giusta considerazione da riservare alla custodia eucaristica, tuttavia le medesime risultano vaghe dal punto di vista pratico, in quanto si limitano a richiamare il decoro, l’inamovibilità del tabernacolo e la presenza di una fiamma perenne nella sua prossimità, eventualmente con suggerimenti anche per l’ambiente circostante, senza però addentrarsi in indicazioni pratiche che, vedendo la sciatteria oggettiva che si incontra sempre più spesso in alcune chiese, sarebbero decisamente necessarie. Da parte nostra, ci limitiamo a ricordare quanto scrive Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis: «Nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l’altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell’Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante. Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile».[2]
- La Cappella del Santissimo Sacramento, interamente dedita alla custodia eucaristica e dove non si celebrava neanche la Messa, è, in linea di massima, sempre esistita nelle cattedrali, in cui tale scelta è motivata non solo dal vantaggio di poter ottenere un’atmosfera più riservata e raccolta, ma anche da necessità di carattere cerimoniale e liturgico. Si ricordi infatti che il vescovo, quando celebra la Messa pontificale, prima di accedere all’altare maggiore, si reca dinanzi al Santissimo Sacramento per un momento di adorazione silenziosa, come previsto dal Caeremoniale Romanum (Libro III, Capitolo IV). Inoltre, la scelta di custodire l’Eucaristia in un ambiente riparato ben si adatta ai nostri giorni, in cui cattedrali e basiliche sono spesso frequentate da turisti poco rispettosi della sacralità del luogo.
- Cfr. Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, Parte seconda, n. 69