Un successore di Pietro che si reca in una chiesa per venerare i monumenti di quattro suoi predecessori: nessun uomo potrebbe essere tanto insensibile da non rallegrarsi intimamente dinanzi a una notizia simile. Ma quanto è successo nella giornata del 10 aprile corrisponde solo latu sensu a quanto descritto nella prima frase di questo articolo: certamente il Santo Padre Francesco ha visitato i monumenti dei Papi Paolo III e Urbano VIII (peraltro recentemente restaurati) e pregato sulle tombe di Pio X e Benedetto XV nella Basilica di San Pietro, ma il modo con il quale si è presentato sarebbe stato opportuno evitarlo, considerando l’assenza tanto della talare bianca quanto dell’anello episcopale e della croce pettorale. Comprendiamo benissimo le particolari esigenze di un uomo quasi novantenne recentemente uscito da un lungo ricovero ospedaliero, ma mai bisogna abdicare dalla propria dignità, che nel caso di un personaggio pubblico assume la particolare forma del mostrarsi sempre al meglio. Attenzione a non fraintendere queste parole: si è volutamente scritto “al meglio” e non“al massimo”. Nessuno è in diritto di scandalizzarsi per i naselli dell’ossigenoterapia, però ogni cattolico si è trovato quantomeno spaesato dinanzi al Sommo Pontefice vestito con gli abiti di tutti i giorni, quasi che il Papato sia una carica assunta in certi momenti, ma abbandonata in altri. Non si creda che questo voglia essere uno scritto di moralismo spicciolo: quello che si propone è invece di delineare un percorso dalla cronaca al pensiero. Pubblicato nel 1921, il Tractatus logico philosophicus di Ludwig Wittgenstein ha avuto l’immenso merito di averci insegnato che nel proferimento e soprattutto nella comprensione di un enunciato l’importanza si rivolge più all’uso e meno al significato: ecco allora che in questo caso l’attenzione deve andare innanzitutto alla domanda sul perché l’attuale Papa abbia deciso di presentarsi come si è presentato, mentre l’interrogazione sul come puramente fenomenologico passa in secondo piano. Dopo un anno dalla diffusione di quest’opera filosofica, a intervenire fu Giuseppe Prezzolini con l’articolo Per una società degli apoti. Riflettere seriamente su un avvenimento vuol dire proprio essere persone che non se la bevono, che non si fanno influenzare nei giudizi da inopportune inferenze altrui, e che comprendono la priorità del pensiero sull’azione, della teoresi sulla pratica. Innanzitutto manifestazione pubblica del giusto culto da rendere a Dio, altra caratteristica importante del Cristianesimo è quella di dire il vero sulle gioie e sui dolori della vita, sulle lacrime che inevitabilmente si versano e sui sorrisi che per fortuna si fanno: se ciò è vero in generale, il suo valore di verità è ancora maggiore nei massimi vertici della gerarchia cattolica e mai si sottolineerà a sufficienza l’altissima lezione impartita a tutti noi dagli ultimi tempi dell’esistenza terrena di Giovanni Paolo II, che sempre manifestò il suo essere malato, ma mai scese al livello, seppur presente, ma posto come tra parentesi, del singolo individuo Karol Wojtyla debilitato dall’età e dal morbo di Parkinson. Si dirà che sia solamente una differenza tra sensibilità, quando invece la realtà è che una tale distinzione tra forma e sostanza risulta in tale contesto totalmente arbitraria, ricordando che un chiaro segno di una problematica filosofica è costituita dal predominare quantitativo dell’ermeneutica sull’ontologia, dell’interpretazione sulla realtà. Ciò vuol dire che l’immagine consegnata dal Papa potrebbe anche, per assurdo, essere sottoposta a una giustificazione, ma ciò non cancellerebbe in alcun modo l’inopportunità di quanto accaduto, in nessun universo possibile un’evidente caduta di stile si può far passare per un gesto di umiltà o altre espressioni simili abbondantemente pronunciate in questo tempo: contra facta non valent argumentum. Negli anni immediatamente successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II il clero iniziò a dismettere l’utilizzo dell’abito talare, un abbandono che è giunto anche al massimo livello gerarchico: ora che si è visto il Vescovo di Roma senza l’abito proprio della sua alta carica, resisteranno pure i sacerdoti e i religiosi nell’utilizzare la veste che li distingue dai fedeli laici? Mi permetto di esortare tutti i chierici a cui giungerà questo contributo affinché non siano colpiti dallo scoramento e confermino nella nostra santa religione tutti gli scoraggiati che magari incontreranno. Se il segno esteriore scompare, si potrebbe essere tentati di credere che anche l’essenza interiore venga meno, ma mai bisogna dimenticare la promessa di Gesù Cristo all’apostolo Pietro: «contra spem in spe», siamo fermamenti certi che «portae inferi non praevalebunt adversus eam». Pregando per il completo ristabilimento delle condizioni del Santo Padre, aspirando al compimento della voluntas Dei per Papa Francesco, ci piace concludere queste riflessioni ricordando quanto raccontato nel nono capitolo del Libro della Genesi, dove viene narrato l’episodio dell’ubriachezza di Noè: come Cam e Giapeto, anche tutti noi siamo chiamati a porre rimedio, per quanto umanamente possibile, agli scandali che inevitabilmente si sono verificati e che ancora si verificheranno, ma sempre ricordando «il filiale rispetto e l’obbedienza» dovuti ai superiori.
Oremus pro Pontífice nostro Francisco: Dóminus conservet eum, et vivíficet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in ánimam inimicórum eius.