«O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,»
Il dono dello Spirito Santo, promesso da Gesù Cristo agli apostoli, è il soggetto principale di questa festa, che la liturgia cattolica annovera tra quelle aventi maggiore rilievo ed importanza: la sua storicità è indubitabile, la sua origine è radicata nelle più profonde fondamenta della religione cristiana.
Con questa festa si conclude de facto il tempo Pasquale. La risurrezione di Cristo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non aveva scolpito con sufficiente chiarezza i cuori degli Apostoli.
Essi, mancanti di coraggio, con ogni probabilità, avrebbero avuto bisogno del dono dello Spirito Santo, per acquistare quella forza evangelica, quello zelo apostolico che farà iniziare la predicazione ai quattro angoli della Terra.
Le Pentecoste era, anticamente con la Pasqua, una festa di “peregrinazione”: gli ebrei dovevano presentarsi al tempio, che si trovava a Gerusalemme. La celebrazione ricorreva il giorno seguente le sette settimane trascorse dal secondo giorno della pasqua ebraica. Questa festa durava un solo giorno, e come tale implicava il riposo e l’offerta al tempio dei pani fatti con il frumento nuovo.
Con la discesa dello Spirito Santo, la Pentecoste acquisisce un significato profondissimo. La Chiesa, infatti, considera la
Pentecoste come una solennità che riveste un’importanza capitale nella vita della Chiesa e della cristianità.
Gesù aveva promesso agli apostoli che il Paraclito sarebbe disceso su di loro. Ed è proprio grazie a questa discesa, che il vigore accrebbe nelle menti degli apostoli.
Troviamo traccia di questa festa già nei primi secoli di vita della Chiesa. A Roma, la vigilia di Pentecoste era occasione sacramentale: il sacro rito si svolgeva nella Basilica di San Giovanni in Laterano, precisamente come nella vigilia pasquale.
Come osserva il cardinale Schuster, il rito della vigilia di Pentecoste consisteva in dodici lezioni scritturali, ripetute sia in lingua greca che latina.
Una piccola processione portava al Battistero, dove aveva luogo il battesimo. Dopodiché, la Santa Messa si apprestava ad iniziare, risaliti in basilica.
L’alto parallelismo tra la veglia pasquale e quella di Pentecoste ci fa pensare che gli eventi siano quasi della stessa portata. Se, sicuramente, la risurrezione di Cristo rappresenta il punto focale di tutta la storia dell’universo, la discesa dello Spirito Santo rappresenta il punto focale secondario dell’annuncio della risurrezione di Gesù dai morti.
Infine, in modo emblematico, è possibile evidenziare il richiamo alla confusione di Babele. L’episodio non è altro che il tentativo di uomini senza Dio di compiere un’apoteosi che parta dal basso. L’uomo costruisce così la torre della conoscenza naturale e della sapienza, senza il dono soprannaturale della grazia, che può venire solo dall’alto. Il risultato è catastrofico: la punizione è la differenza del linguaggio. Nella Pentecoste, invece, la conoscenza arriva dalla grazia e dalle virtù soprannaturali: ad esse seguono, necessariamente, conoscenza e sapienza naturale. Tuttavia, il
linguaggio è sì diverso, ma gli apostoli lo padroneggiano e lo comprendono
Da una parte, la differenza di linguaggio è una condanna. Dall’altra, un dono.
La Pentecoste, quindi, richiama alla necessità della grazia santificante e delle virtù teologali, per poter completare e raggiungere la sapienza delle cose della natura.