La sciocca divisione che taluni fanno tra spirito e carne, tra dimensione orante e corporale si avvicina non di rado al manicheismo, certo in maniera inconsapevole, proponendo una divisione netta, rigida, tra sentimenti ideali, concezioni spirituali e corporeità, presenza fisica. Accade, dunque, spesso, che costoro abbiano, da un lato, un abbandono sfrenato verso le passioni corporali e, dall’altro, auspichino un concetto di religione ideale ma utopico (anzi, distopico), squallidamente sentimentale, in cui al centro c’è un tanto vago quanto melenso cuore sognatore. Tra i misteri più colpiti da questa malsana impostazione direi che spiccano l’Incarnazione (vedi coloro che si sciolgono davanti a Gesù bambino ma poi lo rifiutano quando è in croce perché troppo cruento) e l’Eucaristia (considerata un elemento simbolico, oppure presenza reale ma in mera funzione comunitaria, cioè Gesù Cristo si fa sacramento per renderci più uniti tra di noi). Siccome, però, l’essere umano è composto di anima e corpo, non basta pensare a queste verità di fede e professarle come tali (e già sarebbe tanto in molti casi), ma bisogna esprimerle attraverso gesti sensibili, esteriori, visibili.
Partirei da un gesto semplice, più volte ricordato nelle nostre pubblicazioni, che è quello dell’inginocchiarsi e/o del genuflettersi. Da parte di molti fedeli c’è l’idea che il piegare le ginocchia sia qualcosa di assolutamente facoltativo, riservato soltanto ai fedeli più tenaci, a quelli che non perdono la Messa neppure nei giorni feriali e vanno ogni anno in pellegrinaggio, magari dipingendo il tutto anche con tratti macchiettistici; un gesto magari pensato per chi vuole vivere “esperienze più forti”. Peggio, alcuni non si inginocchiano mai ammantando la loro pigrizia di sciocche risposte legate all’essere risorti, all’essere battezzati, oppure affermando che «tanto Gesù non guarda a queste cose»; naturalmente, come costoro ricevano queste rivelazioni private non è dato sapere, forse hanno un collegamento diretto che alla Chiesa è stato negato. Eppure, la liturgia ci insegna chiaramente che nell’avvicinarsi, nell’allontanarsi e nel passare di fronte all’altare con il Santissimo Sacramento è doveroso genuflettere, salvo naturalmente casi di impedimento fisico (reali, non «ma sono più comodo facendo un inchino», come ho sentito dire). È pure necessario ricordare che durante la Messa, almeno durante la consacrazione, bisogna restare inginocchiati, e non basta stare in piedi in raccoglimento. La Maestà Divina che scende sull’altare in quel momento richiede di stare in ginocchio.
Un aspetto particolarmente importante è anche quello delle mani secondo le rubriche tradizionali: dalla consacrazione fino alla purificazione il celebrante tiene sempre uniti tra loro pollice e indice di ogni mano, sia tenendo le mani giunte che estese, per evitare che i frammenti eventualmente depositati sulle dita cadano a terra. Inoltre, il celebrante asterge le dita nel calice per lo stesso motivo e, prima di assumere la purificazione, purifica le dita con vino e acqua, per avere una materia simile a quella eucaristica. È pertanto da considerarsi assolutamente riprovevole l’uso post-pandemico, presente in non poche chiese italiane, di lavare le mani con del gel disinfettante al momento del lavabo e tenere poi le mani in giro ovunque per l’altare, appoggiate come meglio si crede.
Di nuovo, qualcuno potrà dire la sua fede vale anche senza gesti esteriori, basta la coscienza interiore; ciò è falso, poiché non soltanto questi tanto vituperati gesti esteriori servono a mostrare la fede agli altri, ma servono anzitutto a chi li compie, in continuazione con la Tradizione, seguendo le rubriche, ricordando che non c’è cosa più importante in una chiesa della custodia eucaristica, e che non siamo noi a dover stabilire, con la nostra fantasia, se e come mostrare rispetto a Gesù sacramentato.