La Regalità di Cristo

“Regnàvit a ligno Deus” La Croce è il trono dal quale Dio regna

La Regalità di Cristo

“Regnàvit a ligno Deus” La Croce è il trono dal quale Dio regna

Il nostro Dio non è un re che governa le nazioni con la violenza, la forza, l’intimidazione o la punizione, ma con la fragilità e la debolezza di colui che ama.

Sulla Croce c’è un Re che volontariamente accetta di essere raggiunto dalla morte per annientarla definitivamente con la potenza di un Amore mai visto sulla terra: l’Amore Crocifisso e Risorto per la nostra Salvezza, l’Amore Misericordioso che vince la morte, perché «Chi ama è passato dalla morte alla vita» (cfr Gv 5,24).

Il Signore regna dopo il legno, dopo aver sofferto la morte di Croce, e con la Sua Risurrezione ha manifestato la potestà datagli dal Padre in cielo e in terra.

Si è adempiuto tutto ciò che Davide ha detto nel vero canto profetico del Vexilla Regis, che inizia con queste parole: «Vexilla regis pròdeunt», (Del Monarca s’avanza il vessillo).

Chi è, in realtà, Colui che sta lì crocifisso? Mentre la gente comune ed anonima resta piuttosto incerta e si limita a guardare, «I capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”» (Lc 23,35).

Lo chiarisce bene il Santo Papa Giovanni Paolo II nell’omelia della Santa Messa nella festa liturgica di Cristo Re dell’Universo, da lui celebrata nella Basilica di San Pietro il 23 novembre 1980: «Ma quanto è opportuno e significativo e, direi, quanto è giusto e necessario che l’odierna festa di Cristo Re sia inquadrato appunto sul Calvario. Possiamo dire senz’altro che la regalità di Cristo, quale anche oggi noi celebriamo e meditiamo, deve esser sempre riferita all’evento, che si svolge su quel colle, ed esser compresa nel mistero salvifico, ivi operato da Cristo: dico l’evento ed il mistero della Redenzione dell’uomo. Cristo Gesù – dobbiamo rilevare – si afferma Re proprio nel momento in cui, tra i dolori e gli strazi della Croce, tra le incomprensioni e le bestemmie degli astanti, agonizza e muore. Davvero, una regalità singolare è la Sua, tale che solo l’occhio della Fede può riconoscerla: “Regnavit a ligno Deus”!».

E ancora, un po’ più avanti: «Alla formale domanda fattagli da Pilato: “Sei tu il re dei giudei?” (Gv 18,33), Gesù risponde esplicitamente che il Suo Regno non è di questo mondo e, dinanzi all’insistenza del procuratore romano, afferma: “Tu lo dici: Io Sono Re”, aggiungendo subito dopo: “Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla Verità” (Gv 18,37). In tal modo, Egli dichiara quale sia l’esatta dimensione della Sua regalità e la sfera in cui si esercita: è la dimensione spirituale che comprende, in primo luogo, la Verità da annunciare e da servire. Il Suo Regno, anche se comincia quaggiù sulla terra, nulla ha però di terreno e trascende ogni umana limitazione, proteso com’è verso la sua consumazione oltre il tempo, nell’infinità dell’Eterno».

A riguardo dell’episodio evangelico in cui Pilato interagisce con Gesù, il padre Marie-Joseph Lagrange scrive: «Pilato, per proprio conto, meditava contro gli Ebrei, piuttosto che contro il giusto da lui condannato, un sarcasmo feroce. Aveva domandato a questi posatamente se volessero far crocifiggere il loro re; ma essi, pur protestando di non aver altro re che Cesare, continuavano a volere la morte del loro compatriota. Quando dunque si venne a chiedere a Pilato la causale del supplizio che era stato inflitto a Gesù, ordinò di scrivere: “Questi è Gesù di Nazaret, re degli Ebrei”». Un cartiglio portante tale dicitura venne subito preparato e fissato sopra il capo del condannato.  La frase era scritta in tre lingue: in ebraico, lingua del popolo, in latino, lingua del governatore e in greco, lingua delle genti colte e della maggior parte degli Ebrei convenuti dalle varie parti del mondo a Gerusalemme per la Pasqua.

«Dunque tu sei re?». Così Pilato si era rivolto a quell’uomo a lui consegnato dai sommi sacerdoti perché fosse crocifisso. Un Re che è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla Verità.  Un Re, Gesù, che dice di Se Stesso «Io Sono la Verità» e che conclude il suo colloquio con Pilato dicendo «Chiunque è dalla Verità, ascolta la Mia Voce» (Gv 18,37).

«II Mio Regno non è di questo mondo», risponde ancora Gesù a Pilato. Gesù non è venuto per dominare, per soggiogare, per essere servito. Gesù è venuto per servire, per donare la Sua Pace, per offrire la Sua stessa Vita per il bene degli uomini. Il Regno di Dio non va concepito staticamente come una realtà geografica, politica, terrena. Designa invece il manifestarsi della Misericordia Divina, l’effusione della Sua bontà. Dio stesso prende l’iniziativa per venire incontro all’umanità sbandata, per soccorrerla nella sua miseria, per riconciliarla con Sé. 

Nella parabola del re che vuole fare i conti con i propri debitori, in Matteo 18,20-31, appare subito un Re che ordina la punizione per un servo che non è in grado di ripagarlo di una somma abnorme e, alla preghiera supplicante di quel servo, di avere misericordia e pazienza, il Re si mostra accondiscendente alle richieste del servo e gli condona tutto il debito. Nella scena immediatamente successiva, il primo servo, quello a cui il padrone aveva condonato l’intero debito, chiede la restituzione ad un altro servo di un piccolo debito a lui dovuto, e alla preghiera di quel secondo servitore, di essere paziente, non gli condona il piccolo debito e lo fa mettere in prigione finché non avesse saldato il dovuto. Nell’ultima scena il Re ordina la punizione severa e irrevocabile per quel servo che non ha accolto la supplica del suo compagno e, al perdono che aveva inizialmente accordato, sostituisce una punizione maggiore di quella che aveva richiesto per lui sin dall’inizio.

Ogni Re e ogni padrone al tempo di Gesù aveva il diritto di esigere il risarcimento di qualsiasi debito dai propri schiavi, in quanto già per loro condizione erano considerati di proprietà dei loro padroni, e ogni decisione riguardo la loro vita era nelle mani e nel potere dei propri padroni. Quando nella parabola si dice che il Re volle saldare i conti con i propri servi, si fa chiaro e diretto riferimento al Giudizio di Dio. Il gesto generoso del Re, non deriva da ciò che dice il servo, dal suo desiderio di pagare comunque il debito, ma viene dalla Pietà e dalla compassione che lo stesso Re prova per il proprio servo impotente. È la manifestazione di un Dio che manda Suo Figlio Unigenito, Re dell’Universo, a salvare piuttosto che a condannare.

Risulta altrettanto evidente che il nostro Re non vuole salvare chi rifiuta il Suo Amore e la Sua Misericordia e manifesta questa scelta libera, consapevole e responsabile, negando ai propri simili la stessa Misericordia riversata dal buon Dio sulla propria vita. Ecco che la sentenza finale del Re fa il suo corso, senza che vi sia, da parte del primo servo, la possibilità di presentare qualsiasi nuova istanza a proprio favore. Gesù termina questa parabola con una nota di avvertimento ai propri interlocutori, dicendo che il Padre tratterà allo stesso modo coloro che rifiuteranno il Perdono ricevuto da Dio, ai loro fratelli e sorelle.

Il Concilio Vaticano II afferma che la regalità di Cristo non è di questo mondo, nel senso che non ha mire di ordine temporale: «Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale: il fine infatti che le ha prefissato è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono un compito, una luce e delle energie, che possono contribuire a costruire e consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge Divina» (GS 42).

Dal momento che la natura umana è ferita dal peccato originale ed è inclinata al male è necessario essere persuasi che l’uomo con le sue sole forze non ha le risorse adeguate per costruire un ordinamento sociale perfetto. Diceva Sant’Agostino di Ippona: « Non vivunt bene filii hominum, nisi effecti filii Dei» (non vivono bene i figli degli uomini se non sono resi figli di Dio).

La regalità di Cristo è dunque di ordine morale e nasce dalla vocazione degli uomini a diventare figli di Dio. Proprio questa comune figliolanza fa scaturire un nuovo rapporto tra gli uomini, una nuova solidarietà, una giustizia più perfetta, l’esigenza di costruire una società in cui gli uomini, secondo la profezia di Isaia 2,4, «forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci», un’era in cui «un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo», in cui non ci si eserciterà più nell’arte della guerra.

All’Angelus del 18 ottobre 1962, il Santo Papa Giovanni XXIII, così esprimeva il proprio accorato pensiero: «Nell’odierna festa di Cristo Re, io sento qualcosa di toccante che conduce il mio spirito alla serenità. La Parola del Vangelo infatti non è muta: ma essa risuona da un capo all’altro del mondo, e trova la via dei cuori. Pericoli e dolori, umane prudenze e saggezze, tutto deve dissolversi in un cantico di amore; in un rinnovato supplice invito rivolto a tutti gli uomini a desiderare e a volere l’instaurarsi del Regno di Cristo : Regno di Verità e di Vita; Regno di Santità e di Grazia; Regno di Giustizia, di Amore e di Pace».

Come figlio di Dio, quale sono, in virtù del Sacramento del Battesimo, ricevuto fin dalla tenera età, come molti di voi, per Grazia di Dio e per saggia ed ispirata decisione dei miei genitori, affermo che: 

«Il Gesù in cui credo è quel Gesù ancora oggi disprezzato, ridicolizzato, rifiutato, rinnegato, perché testimone della Verità e dell’Amore, senza sconti e patteggiamenti, il cui progetto di vita è in palese contrasto con quello del mondo e del suo principe, sempre più provocatoriamente manifesto. Credo in quel Gesù ancora oggi “sfigurato” da chi, inventando e scrivendo menzogne e artifici letterari, cerca di intaccare la Sua integrità morale, la Sua santità ineccepibile, la Sua regalità incontestabile. Credo in Gesù, anche oggi trattato come “Re di burla”, le cui Parole sono derise e trascurate, osteggiate e rifiutate, perché troppo dure ed esigenti. Credo in Gesù perennemente presente nella “Sua” Chiesa, nel Vangelo, nei Sacramenti, soprattutto nella Santissima Eucaristia. Credo che ogni istante della mia vita è sotto il Suo sguardo benevolo e misericordioso, e che, in ogni momento posso incontrarLo e intrattenermi con Lui. Credo che Gesù, malgrado le apparenze contrarie, è fedele alle Sue Promesse e che, a suo tempo, la sconfitta e l’umiliazione si trasformerà in vittoria. Il terzo giorno “risorgerà”! ». 

Si, perché, come afferma con parole forti, chiare e lungimiranti Mons. Athanasius Schneider: «CHRISTUS VINCIT. Nostro Signore ha combattuto, ha prevalso sul campo di battaglia, vi ha innalzato il Suo stendardo e piantato la Sua tenda. la Sacra Ostia e il tabernacolo eucaristico. CHRISTUS REGNAT. Gesù non regna sui territori mondani ma sulle anime e lo fa mediante l’Eucaristia. CHRISTUS IMPERAT. Nessun sovrano ha comandato all’intero universo. Ma Dio Padre ha detto a Gesù Cristo: “Ti darò in possesso le genti” (Sal 2,8). E Nostro Signore ha detto ai Suoi luogotenenti, inviandoli nel mondo: “Mi è stato dato ogni potere in Cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni […] insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato (Mt 28,18-20). Egli ha emanato i Suoi ordini dal Cenacolo. Il tabernacolo eucaristico, che del Cenacolo è il prolungamento o una replica, è il quartier generale del Re dei re. Tutti coloro che combattono la buona battaglia ricevono gli ordini da lì. Al cospetto di Gesù eucaristico tutti gli uomini sono sudditi, tutti devono obbedire, dal papa, che di Cristo è il Vicario, fino all’ultimo dei fedeli». [1]


  1. A. Schneider con D.Montagna, Il Trionfo di Cristo Sulle tenebre del nostro tempo, Fede & Cultura, 2019, pagg.366-368
Diac. Gaetano Lorenzoni

Diac. Gaetano Lorenzoni

Redattore della sezione "Spritualità cristiana". Ha conseguito la laurea triennale in Scienze Religiose presso lSSR San Pietro Martire, Verona, dicembre 2012, con voto finale 101/110. Insegnante supplente scuola primaria, materie comuni e sostegno; Collaboratore dell'Assistente spirituale del Centro Volontari della Sofferenza (CVS), sezione diocesi di Verona
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