La Rerum Novarum: una questione ancora aperta

Lo sguardo della Chiesa non è solo rivolto verso la vita eterna. È anche immerso nel mondo. “Né si creda - si legge nella Rerum Novarum - che le premure della Chiesa siano così interamente e unicamente rivolte alla salvezza delle anime, da trascurare ciò che appartiene alla vita morale e terrena. Ella vuole e procura che soprattutto i proletari emergano dal loro infelice stato, e migliorino la condizione di vita”.

Come alcuni di voi sanno lo scorso luglio ho concluso il mio percorso di studi in Economia con la discussione della tesi sulle trasformazioni economiche e sociali dopo l’unità d’Italia e l’intervento della Chiesa cattolica con la sua dottrina sociale. E’ un tema questo che mi è sempre stato molto a cuore poiché, diversamente da quanto si vuol far credere, nel suo impegno per la salvezza di ogni persona, la Chiesa si preoccupa di tutta la famiglia umana e delle sue necessità, compresi gli ambiti materiali e sociali. Avevo già trattato questo argomento in un precedente articolo pubblicato sulla rivista Templum Domini (lo trovate QUI), ma vorrei approfondire le varie encicliche dei Sommi Pontefici che si sono susseguite nel corso della storia, a partire da Leone XIII. 

Nel 1891 Papa Leone XIII pubblicava la prima enciclica sociale rompendo, di fatto, il silenzio e prendendo posizione sui gravi problemi della “questione operaia”. Nel 1891 l’Europa e l’Italia sono nel pieno dell’industrializzazione, che si fonda sullo sfruttamento del lavoro operaio, svolto in condizioni durissime e con salari da fame: «un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile». Ma non solo, l’accumulo della ricchezza nelle mani di pochi, accanto alla miseria della moltitudine, ha portato ad una frattura sociale tra borghesia e proletariato e al conflitto di classe. È esattamente la preoccupazione per questo conflitto la ragione principale dell’enciclica: «è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione», «tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo».

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A partire dalla consapevolezza della condizione di crisi e di disagio morale, materiale ed economico del proletariato si richiamavano gli imprenditori e i capitalisti alle loro responsabilità, rimproverando l’attaccamento al denaro e l’egoismo riservato nei confronti dei lavoratori. Nel contempo, in un’ottica corporativa, si esortava la classe operaia a non lasciarsi suggestionare dalle ideologie rivoluzionarie e a non impegnarsi in una lotta di classe che avrebbe comportato violenze, ma si auspicava una profonda collaborazione che potesse convergere al benessere comune. Dopo aver condannato il socialismo come “falso rimedio”, il Pontefice chiama a concorrere tre forze (soggetti indispensabili per guarire il male sociale): la Chiesa, lo Stato e le associazioni professionali. 

Al tono diretto e alla densità del preambolo dell’enciclica seguono i temi della giustizia e della carità, richiamando le classi alla concordia e a stemperare la dualità. Tre parole-chiave: giustizia, amicizia e fraternità. Secondo Leone XIII, la religione può contribuire a risolvere la questione operaia (per il Pontefice una questione morale) se tutti, padroni e operai, tornano a praticare queste virtù. Le parole poi circa lo Stato risuonano ancora oggi con coraggio e invitano i governanti a intervenire su sei campi precisi poiché lo Stato non ha solo il diritto ma anche il dovere di “prendersi la dovuta cura del benessere degli operai”. Tre le richieste si trovano:

  1. la difesa della proprietà privata, non solo a vantaggio dei capitalisti, ma soprattutto dei lavoratori. Egli affermava che la proprietà privata è un diritto naturale e mezzo principale con cui i lavoratori si possono procurare il sostentamento necessario per sé e per i propri figli. 
  2. la prevenzione degli scioperi, assicurando la giustizia sociale con i mezzi previsti dalla legge. Lo Stato deve legiferare sulla situazione economica per poter migliorare le condizioni dei lavoratori. Motivi di sciopero sono infatti, le condizioni di lavoro inaccettabili, i lunghi turni di lavoro e il basso salario. 
  3. la reintroduzione del riposo festivo.
  4. la tutela, con leggi opportune, delle condizioni lavorative di donne, bambini e di lavoratori appartenenti a categorie di mestieri pesanti e rischiose.
  5. la garanzia di un salario minimo e giusto. Era ritenuto un dovere di giustizia che il salario fosse sufficiente non solo per poter sopperire ai bisogni vitali dell’operaio ma anche della sua famiglia.
  6. il favoreggiamento del risparmio come possibile soluzione in grado di permettere all’operaio di diventare proprietario di un bene. Nel ricevere un salario congruo e dignitoso, egli potrà pensare di risparmiare del denaro da “impiegare nell’acquisto di qualche piccola proprietà”. Lo Stato, con le sue leggi, deve favorire questa opportunità così da far crescere sempre più il numero dei proprietari a vantaggio di una “più equa ripartizione della ricchezza nazionale”. 

Infine, Papa Leone XIII, evidenziò la necessità della collaborazione e della responsabilizzazione dei diretti interessati, operai e datori di lavoro: “le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell’operaio, della vedova, dei figli orfani, nei casi d’improvvisi infortuni, d’infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d’ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti.

Ancora oggi questo documento, che apre la tradizione delle encicliche sociali, è «una pietra miliare del pensiero economico e sociale. Ha avuto infatti – sottolinea l’economista Zamagni – un impatto enorme in un periodo storico dove da un lato si stava preparando la Seconda rivoluzione industriale, dall’altro si diffondeva il pensiero marxiano. In un tale contesto, il lavoro era concepito come una merce e l’approccio dell’enciclica fu di tipo trasformazionale, cioè occorreva trasformare dall’interno il sistema capitalistico dell’epoca per renderlo adeguato ad interpretare le esigenze dell’umanità del tempo». La Rerum Novarum ancora oggi mantiene intatta la sua attualità. Dal 1891 il mondo del lavoro è molto cambiato, ma i diritti dei lavoratori hanno ancora bisogno di essere tutelati, ancor più quando la finanza vuole prendere il sopravvento sull’economia. Una recente stima ha evidenziato che le mille persone più ricche al mondo hanno recuperato in appena nove mesi tutte le perdite che avevano accumulato per l’emergenza Covid-19. I più poveri, invece, potrebbero impiegare più di 10 anni per recuperare le perdite subite. Don Antonio Mastan, consulente spiritual dell’Ucid, sottolinea che stiamo vivendo un tempo nuovo, in una economia globalizzata che pone sempre il profitto al di sopra del mercato e dei diritti. Dalla Rerum Novarum, aggiunge, possiamo trarre insegnamenti. La Chiesa, infatti, non cessa di far sentire la propria voce sulle res novae, tipiche dell’epoca moderna. Ed esorta tutti a prodigarsi affinché si possa affermare una civiltà autentica protesa verso la ricerca di uno sviluppo umano integrale e solidale. Trasformare la realtà sociale con la forza del Vangelo  è sempre stata una sfida e lo è ancora, all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana.

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