Posso ben immaginare che la maggior parte di coloro che hanno letto il titolo all’articolo abbia provato un certo stupore condito con una sana dose di irrazionalità. Il tutto è ben comprensibile visto che siamo abituati ad abbinare la prefazione con un commento teologico, con un personaggio biblico o con un componente autorevole della storia della Chiesa. Un esempio potrebbe essere l’audace richiamo di Dante con la sua Divina Commedia riconosciuta come “summa teologica e scientifica dell’età medievale”, dove il percorso compiuto dall’autore è un’allegoria del cammino terreno dell’uomo per giungere a contemplare la Gloria di Dio.
In fondo è proprio questo il fine dell’intuizione straordinaria del cardinale Giacomo Biffi, uomo dotato di un’ironia intelligente e allo stesso tempo sorprendente, capace di scrutare anche dietro alla più elementare dinamica umana l’azione di Dio, al punto da scorgerla persino nella favola di Pinocchio; una storia, come racconta nell’introduzione al suo commento teologico, che ripetutamente negli anni, anche da sacerdote, sente il bisogno di tornare a rileggere, approfondire, conoscere e meditare, domandandosi il perché di tale attrazione verso un racconto che non riporta in alcun modo simboli, citazioni e richiami alla Fede Cristiana.Collodi, che ne è l’autore, si professava ateo e dichiarava di aver voluto redigere la favola senza la benché minima presenza di Dio.
Per compiere questo viaggio mi sono fatto aiutare dalle meditazioni che il professore Franco Nembrini, in un ciclo di cinque incontri svoltisi in San Giovanni Laterano, di cui consiglio vivamente l’ascolto, ha tenuto nel periodo quaresimale alla diocesi di Roma. Il ritorno alle proprie origini della Fede e alla propria dimensione umana mi hanno fatto molto bene, e per questo vi sto proponendo tale riflessione. Mi sembrava di ricordare gli anni delle elementari, quando la maestra di italiano (ancora vecchia scuola!) aveva aiutato noi bambini nell’approfondire questo stupendo capolavoro della letteratura italiana. Al contempo però, mi è stato anche molto utile poter ri-apprezzare la Fede secondo la prospettiva di un bambino, o meglio, di un semplice pezzo di legno. Nel mio percorso di formazione parrocchiale, in ben due campi estivi, il nostro parroco ci ha proposto come tematica la rivisitazione di Pinocchio fatta dal cardinale Biffi.
Vi posso assicurare che a distanza di anni il ricordo di quelle catechesi è ancora impresso in molti dei partecipanti, e che in pochissime altre occasioni vi fu un tale ardore emotivo dentro il cuore degli ascoltatori da far scendere qualche lacrima.
Ma torniamo alla storia e al personaggio di Pinocchio. Non posso avere certamente la pretesa di esaurire in poche righe una narrazione completa del percorso proposto dal cardinal Biffi e poi riproposta dal professore Nembrini. Cercherò di riportare alcuni punti salienti dai quali possiamo poi sviluppare una eventuale riflessione personale.
Il primo interrogativo che ci possiamo porre è proprio questo: com’è possibile che una storia da tutti noi conosciuta, apprezzata e amata tanto che nessuno ne risulta distaccato o quanto meno indifferente, possa contenere al suo interno un percorso teologico e dunque narrare un cammino di fede?. A maggior ragione se si considerano le sopracitate intenzioni dell’autore. Qui non si tratta di mera fantasia, di porre e ritrovare Dio anche laddove effettivamente non era stato posto. Si tratta di un lavoro di notevole pregio che ci fa scoprire ciò che in realtà è già presente ma poco invisibile ai nostri occhi. L’intuizione del cardinal Biffi non sta nell’associare un discorso religioso alla narrazione di Collodi, ma bensì riconoscere come inconsapevolmente l’autore, nel voler narrare una storia per bambini, ha trasformato la sua narrazione in un’innegabile testimonianza dell’educazione cristiana ricevuta in famiglia; Collodi ha riscoperto anche il sé bambino, con il proprio linguaggio, con la propria mentalità e le proprie consapevolezze.
Già tutto questo dovrebbe farci molto riflettere su come in molteplici aspetti, momenti, azioni della nostra vita noi diventiamo testimoni di una realtà maggiore spesso celata dietro apparenze più oggettive ed immediate. Sono tutti strumenti preziosi nelle mani Dio,ma a differenza del burattinaio Mangiafuoco, noi non abbiamo fili che ci trattengono e ci muovono come qualcuno vorrebbe dall’esterno. Noi il “burattinaio” ce lo portiamo dentro; e se ci pensate le cose più belle avvengono proprio quando non pensiamo troppo a progettare le nostre azioni, bensì quando ci facciamo guidare da ciò che ci rende vivi, dal nostro cuore e dalla nostra coscienza, il luogo e la voce di Dio infatti risiedono dentro di noi. Questa è una dinamica che ci unisce, ma che al contempo, ci rende estremamente liberi. Ecco il filo rosso della favola di Collodi, del commento teologico del cardinal Biffi e della rilettura del professor Nembrini: l’assurdità del cristianesimo e del nostro legame con Dio è di riconoscerci come esseri completamente liberi nel stesso momento in cui siamo consapevoli e ricollochiamo la nostra appartenenza a qualcuno senza sentirci schiavi del nulla. Solo questo aspetto meriterebbe un ulteriore commento teologico, umano e sociale.
Il secondo aspetto, che vorrei mettere a fuoco e che mi piacerebbe potesse veramente guidarvi in una riflessione personale sulla propria dimensione di vita attualmente condotta, è la familiarità.
Leggere Pinocchio non è come leggere una delle tante favole che ci venivano proposte da bambini: è la Favola. I personaggi, gli eventi seppur strani, il contesto ci fanno sentire davvero parte integrante del racconto, come se a rispecchiarsi fossimo noi e i nostri “adulti” nei personaggi, al punto di incarnare realmente quei personaggi. Ecco allora che quella povertà rivelata, quella casa descritta, quei personaggi narrati ci sembrano davvero familiari, seppur con colori diversi, quasi a rappresentare il quadro stesso della nostra vita.
In tutto questo allora dove si inserisce il messaggio cristiano? Abbiamo dimenticato di citare un personaggio molto importante, ma sempre dietro le quinte: la speranza. Quanta speranza trasale in questa narrazione! Quanta speranza il nostro Geppetto nutre nei confronti della vita stessa e poi in Pinocchio, quell’essere che ottenuto da un pezzo di legno, riesce a chiamare figlio. La fata turchina, invece, ci dimostra di vedere del buono in Pinocchio, nonostante le sue malefatte. Una parola carica di speranza è addirittura in grado di scuotere un cuore impietrito come quello di Mangiafuoco.
Domandiamoci dunque come sia possibile tutto questo. Ecco la vera testimonianza di fede. Siamo stati creati per essere uomini di fiducia, anche quando non meriteremmo dei averla. Tutto questo è la Speranza cristiana, che appunto non si fonda su un progetto razionale bensì sul valore dell’uomo. E se nell’uomo risiede Dio, nella nostra vita risiede il Vangelo. La Fede non è una scelta compensativa di un vuoto che non riusciamo a spiegarci, bensì uno scrutare ciò che ci circonda con occhi diversi, facendoci aiutare a sentirci a casa, nella familiarità della nostra stessa vita.
Grazie Pinocchio perché con la tua naturalezza ci insegni a essere uomini migliori.