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La Risurrezione di Cristo

Dopo un’attenta riflessione sulla salvezza del genere umano, operata da Cristo sulla Croce, San Tommaso passa a trattare della sua risurrezione. Alla scuola del Dottore Angelico ci immergiamo nel mistero pasquale del Cristo.

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Dopo un’attenta riflessione sulla salvezza del genere umano, operata da Cristo sulla Croce, San Tommaso passa a trattare della sua risurrezione. Alla scuola del Dottore Angelico ci immergiamo nel mistero pasquale del Cristo.

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Riprendendo il movimento discendente-ascendente dell’inno cristologico della lettera ai Filippesi (Cfr. Fil 2, 5-11), San Tommaso scrive: «Bisogna, poi, indagare su quelle cose che appartengono all’esaltazione di Cristo» (STh III, q.53). Il Cristo, che umiliò se stesso nella morte di Croce, viene esaltato nella sua resurrezione e ascensione al Cielo. Alla risurrezione sono dedicate le quaestiones 53, 54, 55 e 56 della Pars tertia della Summa theologica.

La quaestio 53 è dedicata alla risurrezione di Cristo in generale. San Tommaso si interroga innanzitutto sulla sua necessità. Fu necessario che Cristo risorgesse per cinque diversi motivi. Innanzitutto, per sottolineare la giustizia divina, per la quale sono esaltati coloro che si umiliano: «poiché Cristo si umiliò fino alla morte di croce per umiltà e per obbedienza a Dio, bisognava che fosse esaltato da Dio fino alla gloriosa risurrezione» (STh III, q.53, a.1). In secondo luogo, fu necessaria per dare fondamento alla nostra fede: «con la sua risurrezione è stata confermata la nostra fede nella divinità di Cristo» (ivi). Ancora, fu necessaria per risollevare la nostra speranza: «mentre vediamo risorgere Cristo, che è il nostro capo, speriamo che risorgeremo anche noi» (ivi). Ancora, fu necessaria «per formare la vita dei fedeli, secondo quel passo di Rm 6,4: “Come Cristo risuscitò dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminiamo secondo una vita nuova”» (ivi). Infine, fu necessaria per dare compimento all’opera della nostra salvezza: «Infatti, come morendo sopportò dei mali, per liberarci dai mali, così risorgendo è stato glorificato, per spingerci verso i beni» (ivi). Circa il tempo della risurrezione, il Dottore Angelico sottolinea che fu necessario che Cristo risorgesse il terzo giorno, poiché «se fosse risuscitato subito dopo la morte, sarebbe potuto sembrare che la sua non fosse stata una vera morte e, per conseguenza, neppure una vera risurrezione» (ivi, a.2). Un’accusa contro la fede cristiana non poche volte proposta nel corso dei secoli.

Nella quaestio 54 San Tommaso passa a descrivere le qualità del Cristo risorto. Innanzitutto, si chiede «se Cristo abbia avuto un vero corpo dopo la sua risurrezione» (STh III, q.54, a.1). Rifacendosi a San Giovanni Damasceno, il Dottore Angelico afferma che risorge ciò che è caduto. Di conseguenza, è risorto il corpo di Cristo che è caduto con la morte. Quello di Cristo risorto, poi, è un vero corpo, perché altrimenti non sarebbe una vera risurrezione: «Affinché la risurrezione di Cristo fosse vera, fu necessario che lo stesso corpo di Cristo si riunisse nuovamente all’anima» (ivi). Ancora, va detto che il corpo del Risorto è un corpo glorioso, poiché «compiutosi il mistero della passione e della morte di Cristo, la sua anima effuse subito la sua gloria nel corpo, ripreso nella risurrezione» (ivi, a.2). Questo corpo è necessariamente un corpo integro, cioè completo di tutte le sue parti, poiché «fu della stessa natura, ma di una gloria diversa» (ivi, a.3) rispetto a quello che aveva prima della morte. Ciò è necessitato dal fatto che «se non fosse stato reintegrato tutto ciò che era deceduto con la morte, non sarebbe stata una perfetta risurrezione» (ivi). Anzi, si deve concludere che se non fosse stato lo stesso corpo morto a risorgere, non sarebbe stata una risurrezione! Tale identità di corpo è sottolineata anche dal fatto che il Risorto conserva le cicatrici delle sue gloriose piaghe. Scrive San Tommaso che fu conveniente che il Cristo riassumesse il corpo con le cicatrici, per quattro motivi. Innanzitutto, per la sua stessa gloria, cioè per fa conoscere la sua vittoria ottenuta con la morte di Croce. In secondo luogo, per confermare i discepoli e tutti i credenti della storia nella fede della risurrezione. In terzo luogo, perché nel suo ruolo di Sommo ed Eterno Sacerdote, Mediatore tra Dio e gli uomini, potesse sempre mostrare al Padre i segni del suo sacrificio per gli uomini. Infine, per far capire ai credenti di tutti i tempi quanto fosse stata grande la sua misericordia, da sopportare la morte di Croce (Cfr. ivi, a. 4).

La Risurrezione di Cristo
Resurrezione di Cristo – Samuel van Hoogstraten (1665/70)

La quaestio 55 è dedicata alla manifestazione di Cristo dopo la sua Risurrezione. San Tommaso si chiede, innanzitutto, se non fosse stato preferibile che Cristo si fosse manifestato a tutti e non solo ad alcuni. In realtà, rileva l’Angelico che Egli si manifestò solo ad alcuni, perché le cose celesti non sono accessibili a tutti e così gli altri devono credere per mezzo dei testimoni: «poiché Cristo risuscitò con una gloriosa risurrezione, ecco perché la sua risurrezione non fu manifestata a tutto il popolo, ma solo ad alcuni, tramite la cui testimonianza sarebbe giunta a conoscenza di tutti» (STh III, q.55, a.1). San Tommaso si chiede, poi, se non fosse stato più conveniente che i discepoli vedessero Cristo risorgere, mentre tale evento fu nascosto a tutti. Il Dottore Angelico afferma che tale evento fu superiore alle possibilità conoscitive degli esseri umani e per questo fu rivelato solo tramite l’annuncio degli angeli. Infatti, «l’ordine istituito da Dio è che le cose che sono superiori all’intelligenza degli uomini, sono rivelate loro per mezzo degli angeli» (ivi, a.2). Il fine della manifestazione del Risorto ai suoi discepoli, inoltre, fu quello di rivelare la realtà della sua risurrezione e la sua gloria. Per fare ciò non sarebbe stato necessario che Cristo rimanesse con essi continuamente. Ciò è dovuto anche al fatto che «per manifestare la gloria della risurrezione, non volle intrattenersi continuamente con loro, come aveva fatto prima, perché non sembrasse che fosse risuscitato alla vita che aveva condotto prima» (ivi, a.3). Cristo risuscitò nel suo stesso corpo e la sua risurrezione fu reale, non apparente. Ciò è mostrato dalle prove che Cristo stesso diede ai suoi discepoli per dimostrare la sua risurrezione. Egli fornì delle prove sia per suscitare la fede dei suoi apostoli, i cui cuori non erano ancora disposti ad accogliere la fede nella risurrezione, sia per suscitare la fede di tutti coloro che avrebbero accolto la testimonianza dei discepoli (Cfr. ivi, a.5).

La quaestio 56 è dedicata alla causalità della risurrezione di Cristo. Essa è la causa della nostra resurrezione alla fine dei tempi, ma è anche causa della nostra giustificazione, cioè di quella che può essere definita come la risurrezione dell’anima. Aristotele nella Metafisica afferma che «ciò che è primo in qualsiasi genere, è causa di tutte quelle cose che vengono dopo» (Metaph. II,1). Nel genere della risurrezione degli uomini dalla morte, la prima fu quella di Cristo, poiché la sua risurrezione non fu un semplice ritornare dalla morte alla vita, come avvenne in alcuni casi prima di lui, ma l’acquisizione di una vita definitiva e gloriosa. Di questo genere di risurrezione quella di Cristo è la prima e di conseguenza si costituisce come la causa della risurrezione di tutti gli uomini alla fine dei tempi (Cfr. STh III, q. 56, a.1). Tale causalità si estende anche alle anime. Infatti, «la risurrezione di Cristo agisce in virtù della divinità. E questa si estende non soltanto alla risurrezione dei corpi, ma anche alla risurrezione delle anime» (ivi, a.2). 

La quaestio 57 si sofferma sull’Ascensione di Cristo, con la quale si conclude il tempo della manifestazione di Cristo risorto ai suoi discepoli. La necessità dell’ascensione è dovuta alla proporzionalità che si deve essere tra il luogo e ciò che vi sta. Poiché Cristo con la risurrezione iniziò una vita immortale e incorruttibile e poiché la terra è il luogo della generazione e della corruzione, «non fu conveniente che Cristo, dopo la risurrezione, rimanesse sulla terra; invece, fu conveniente che ascendesse al cielo» (STh III, q.57, a.1). Ma San Tommaso si interroga anche sugli effetti dell’ascensione di Cristo. Essa, infatti, come tutto il mistero di Cristo è causa della nostra salvezza e in due modi: dalla parte degli uomini, poiché «tramite l’ascensione di Cristo, la nostra mente si muove verso di lui» (ivi, a.2); dalla parte di Cristo, invece, poiché Egli, ascendendo al cielo, ci prepara la via, affinché anche noi possiamo ascendervi, e si costituisce come Dio e Signore, assiso sul trono celeste. La quaestio 58 tratta proprio della seduta di Cristo alla destra del Padre. Egli, infatti, siede alla destra del Padre, «in quanto regna insieme con il Padre e da lui riceve il potere giudiziario, come colui che siede alla destra del re, lo assiste nel regnare e nel giudicare» (STh III, q.58, a.1). La sezione cristologica della Summa theologica si conclude con la quaestio 59, nella quale San Tommaso si sofferma particolarmente sul potere giudiziario di Cristo.

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