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La santa che siede in attesa della risurrezione dei morti

Fin dal XV secolo il corpo incorrotto di Caterina incuriosisce i pellegrini che la visitano a Bologna. La sua stranezza? Il cadavere è seduto su una sedia, in attesa della risurrezione dei morti.

Joan Carroll Cruz

Caterina nacque nel giorno della festa dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria, nell’anno 1413. Figlia di Giovanni de Vigri, faceva parte della nobiltà e, ancora giovane, fu inviata alla corte del Marchese d’Este, suo parente, per studiare a Ferrara con la figlia Margarete. Caterina fu molto ammirata per la sua bellezza, intelligenza e purezza d’animo ma, perduto l’interesse per lo splendore della corte, rinunciò ai suoi corteggiatori e, all’età di 17 anni, si unì alle terziarie francescane di Ferrara, che avrebbero poi adottato la regola di Santa Chiara.

La santa che siede in attesa della risurrezione dei morti
Miniatura di Santa Caterina da Bologna, di Guglielmo Giraldi.

Dapprima si occupò della cucina e poi divenne maestra delle novizie. Fu in questo periodo che Caterina scrisse Le sette armi spirituali, un importante trattato che riflette la profondità mistica della sua vita spirituale. Tra le sue opere ci sono molti sermoni, preghiere e poesie. Le sue opere artistiche comprendono una serie di miniature e dipinti, in cui spicca un breviario illustrato.

Caterina fu graziata con diverse visioni straordinarie. Lei stessa dichiara di essere stata visitata dalla Madonna in una notte di Natale, che le ha messo in braccio il neonato Gesù Bambino. In un’altra occasione ebbe la grazia di sentire il coro degli angeli cantare durante la consacrazione alla Messa, e da quel momento non fu più tentata di fare un pisolino durante le funzioni religiose.

Dopo 24 anni nel convento di Ferrara, fu rimandata nella sua città natale, Bologna, con altre 15 suore per fondare un convento, dove avrebbe servito come badessa per il resto della sua vita. La santa morì il 9 marzo 1463, provocando grande commozione nella comunità che servì amorevolmente per molti anni. Johann Joseph von Görres, grande filosofo e scrittore cattolico tedesco, descrive alcuni episodi miracolosi della vita del santo come segue:

Quando morì e la tomba fu aperta, le sorelle portarono il suo corpo per essere sepolto senza bara. Non appena il corpo scese nella tomba, ne emanò una fragranza incredibilmente dolce., riempiendo l’intero cimitero e i luoghi limitrofi. Diversi giorni dopo, quando le sorelle andarono a visitare la tomba, il profumo era ancora presente. Non c’erano alberi, fiori o erbe dentro o intorno alla tomba, il che rendeva chiaro che l’odore proveniva dalla tomba. 18 giorni dopo la sepoltura, nel sito della tomba iniziarono ad accadere miracoli. Persone con malattie incurabili venivano guarite. Le sorelle si sentirono improvvisamente in colpa per aver seppellito il corpo senza bara perché, di conseguenza, la quantità di sporco doveva averle danneggiato il viso. Pensarono dunque che il corpo dovesse essere riesumato e messo in una bara. Le suore andarono a chiedere consiglio al confessore del convento, il quale rimase alquanto sorpreso nell’apprendere che, dopo 18 giorni, il corpo non aveva ancora cominciato a decomporsi. Quando le sorelle gli dissero della fragranza che si sentiva ancora dalla tomba, acconsentì a riesumarla. Il suo viso era solo leggermente distorto dalla pressione della terra. Il corpo rimase bianco e profumato, senza alcun segno di decomposizione. Il profumo divenne ancora più dolce, invadendo la chiesa e il quartiere.

Dopo essere stato esaminato da medici e autorità ecclesiastiche, il corpo fu deposto in una cripta sotto l’altare, dove rimase per diversi mesi. Quando lo riesumarono di nuovo, lo misero su una barella di legno e lo portarono nella cella dove aveva vissuto la santa. Quando i fedeli chiesero di vedere le sacre spoglie, quattro suore dovettero portare la barella nella cella del coro, dove il corpo fu deposto accanto alla stretta finestra attraverso la quale le suore ricevevano la Santa Comunione. I passaggi angusti resero tutto quel lavoro faticoso. Era quindi urgente apportare modifiche. Fu poi costruita un’apposita urna, in cui la santa era seduta su una sedia. L’urna restava nel coro, di fronte alla finestra, aperta di tanto in tanto su richiesta [dei fedeli]. Il corpo, in posizione sopraelevata, poteva essere visto più facilmente attraverso una finestra tra la cappella e il coro. Questa disposizione fu scelta dodici anni dopo la morte della santa.

La santa che siede in attesa della risurrezione dei morti
Il corpo di Santa Caterina, nell’urna dove si trova ancora oggi a Bologna.

Santa Caterina apparve in visione ad una delle suore, Leonora Poggi, alla fine del 1500, e le chiese di far traslocare la sua salma in una apposita cappella, specificandone il luogo e la disposizione. Santa Catarina chiese, inoltre, che il corpo rimanesse seduto. La cappella fu subito costruita, e la santa, tolta dal reliquiario ligneo, fu custodita in un luogo facilmente accessibile ai pellegrini, molti dei quali baciavano i piedi della reliquia con riverenza e devozione.

All’inizio del 1688 fu costruita una cappella più grande e più bella adiacente a questa, decorata con affreschi di Franceschini, Affener e Quaini. L’11 agosto 1688 la reliquia fu solennemente portata in questa cappella, dove si trova oggi.

Per oltre quattro secoli, la reliquia è rimasta non protetta da alcunché. Ora, invece, è circondata da un’urna di vetro, costruita nel 1953. Durante la seconda guerra mondiale, le mani e i piedi furono leggermente danneggiati, e fu quindi necessario ricoprirli di un leggero strato di cera. Il viso e il corpo sono ancora gli originali, ma il colore della carne è nero, risultato sia della combustione dell’olio delle lampade usate nei secoli nella cappella, sia delle tante candele che i devoti bruciavano vicino alla reliquia quando ancora non protetta dal vetro.

La cerimonia di canonizzazione di Santa Caterina da Bologna fu presieduta da papa Clemente XI il 22 maggio 1712, che la dichiarò patrona degli artisti.


Note

  • Testo tradotto in italiano da “Gli Incorruttibili”. Charlotte: TAN, 2012, pp. 114-117.

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