La tonsura

La tonsura segna l'ingresso nella vita clericale. È un segno interno ma anche esterno, che ha assunto varie forme nel corso del tempo.

di Clemente Modico

Un segno distintivo del chierico, abolito da Paolo VI ma comunque utilizzato negli istituti tradizionali, è la sacra tonsura, o tonsura ecclesiastica. L’origine della pratica è da far risalire ai primi secoli del Medioevo, quando la ricchezza degli ornamenti dei barbari presenti in Italia, e così delle acconciature sia maschili che femminili, spinsero dapprima i monaci a radersi il capo in maniera integrale. I chierici secolari imitarono quest’uso, ma lasciando una corona di capelli intorno alla testa, che volgarmente si iniziò a chiamare “corona di San Pietro”.

La tonsura, con il passare dei secoli, venne ad assumere forme diverse a seconda dell’ordine religioso o del grado gerarchico del chierico, variando nello stesso clero secolare di regione in regione. Gradualmente s’impose la forma romana, che presentava un disco sulla sommità del capo, che andò restringendosi per assumere poi la grandezza di un’ostia e che si collocò sulla zona occipitale.

Il rito della tonsura è ben descritto nel Pontificale Romanum, in cui non si prescrive un orario o giorno particolare, né si obbliga a celebrarlo durante la Messa.

Il fine ontologico e spirituale della tonsura è espresso dall’orazione che il vescovo pronuncia prima del rito vero e proprio: «Preghiamo, fratelli carissimi, il Signore nostro Gesù Cristo, per questi suoi servi, che per suo amore accorrono a deporre le chiome delle loro teste, perché doni loro lo Spirito Santo, affinché conservi in eterno per loro l’abito della Religione, e difenda i loro cuori dai lacci del mondo e dai desideri secolari; perché, così come sono immutati nei volti, così la mano destra della sua virtù li faccia progredire nella fede, apra i loro occhi da ogni cecità umana e spirituale, e conceda loro la luce dell’eterna grazia».

A questo punto il celebrante, con un paio di forbici, taglia delle ciocche in forma di croce sulla testa di ognuno, prima sul lato della fronte, poi su quello occipitale, quindi sopra le orecchie e infine al centro. Durante il rito dice un versetto del salmo 5, a sottolineare come la tonsura, e cioè lo stato clericale, culmini in maniera naturale con l’ordinazione sacerdotale: «Dominus pars hereditatis meae, et calicis mei: tu es, qui restitues hereditatem meam mihi». Segue la vestizione della cotta, segno, con la talare, del nuovo stato clericale assunto. La monizione finale del vescovo ricorda, infatti: «cercate, con l’abito santo e con una vita buona e azioni oneste, di piacere a Dio».

Un segno, dunque, di appartenenza totale al Signore, interno ma anche esterno, auspicabile per noi, battezzati e chierici di oggi, che ci vergogniamo di testimoniare Cristo. 

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