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L’accettazione della sofferenza

Non ci può essere perfezione senza sofferenza, nella perfezione cristiana. Vediamo insieme perchè.

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Non ci può essere perfezione senza sofferenza, nella perfezione cristiana. Vediamo insieme perchè.

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Il principio fondamentale è lo stesso: dobbiamo accettare gli avvenimenti spiacevoli come i lati sgradevoli e i difetti della nostra persona. Se ci rivoltiamo o facciamo finta di non vedere il male che sta di fronte a noi, perdiamo la pace. Se invece lo accettiamo e lo sublimiamo con la Fede e la Carità soprannaturale, diventa un ottimo mezzo di riscatto e redenzione, unito al Sacrificio di Cristo. La realtà va accettata integralmente, sia quella piacevole che quella spiacevole. Ciò non significa passività di fronte alle avversità, ma accettazione piena e positiva di esse per amor di Dio. Per arrivare a ciò è necessaria una grande Fede nella Provvidenza divina che da ogni male è capace di trarre un bene maggiore.

Ciò che fa più male non è tanto la sofferenza in sé (che già è pesante), ma il rifiuto ostinato di essa. Infatti, al dolore presente ne aggiungiamo un altro: la nostra ribellione impotente, il risentimento, l’impazienza, che ci tolgono la pace dell’anima, mentre il dolore ci aveva toccato nel corpo soltanto. Invece una sofferenza amata non è più una semplice e pura sofferenza, ma un sacrificio di amore fatto a Dio, che ci purifica spiritualmente. Il rifiuto sistematico di ogni sofferenza è irrealistico e significa rifiutare di vivere, poiché la vita è fatta di gioie e dolori. Non è sano sognare o immaginare una vita fatta solo di gioie e piaceri, bisogna essere realisti e accettare la lotta e il dolore come parte integrante (non esclusiva) della vita. Dobbiamo prendere coraggiosamente la nostra croce sulle nostre spalle, facendoci aiutare dalla Onnipotenza misericordiosa e ausiliatrice di Dio; solo allora l’amarezza della croce si trasformerà in dolcezza, il tormento in pace. Gesù ce ne ha dato l’esempio: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”; “Reclinato il capo emise il suo spirito”. “Per crucem ad lucem”.

La vera vita è così come è, non così come la sogniamo. La prigione che ci rende insopportabile la prova è la nostra cattiva volontà che non vuole uniformarsi alla realtà e alla Volontà divina. Purtroppo, l’egoismo, l’amor proprio, l’orgoglio sono un retaggio del peccato originale che noi tutti possediamo. Essi ci rendono difficile uscire fuori da noi stessi, non restare prigionieri dei nostri limiti mentali, ma elevarci sino a Dio facendo la sua Volontà.

Un altro problema è il non capire il perché della sofferenza; non tutto è alla nostra portata. Se abbiamo la Fede ci fidiamo della Provvidenza anche quando calca la sua mano su di noi. Per esempio, quando vado dal dentista e trapana il mio dente mi fa male, ma mi fido di lui perché so che lo sta facendo per la mia guarigione. Ebbene lo stesso, a maggior ragione, vale per Dio. Ma noi non ci fidiamo, praticamente e implicitamente, di Lui e abbiamo paura dei colpi di scalpello con i quali leviga la pietra grezza che siamo per fare di noi una pietra preziosa del Regno dei Cieli.  Solo chi abbandona le sicurezze o “assicurazioni” di questo mondo potrà appoggiarsi con perfetta tranquillità alla Provvidenza di Dio, la quale non crolla mai. Di fronte al dolore è inutile cercare di capire il perché nei minimi dettagli; ci basti sapere che Dio si serve di esso per l’affinamento spirituale nostro e che “è bene per l’uomo attendere in silenzio la salvezza del Signore” (Geremia, III, 26).

Un punto particolarmente difficile è accettare le sofferenze che ci vengono dagli altri. Infatti se siamo riusciti a capire che gli avvenimenti naturali sono permessi da Dio, ci resta più ostico capire e accettare che anche le azioni scorrette del prossimo sono permesse da Dio per il nostro bene. Dio non vuole la scorrettezza del prossimo, ma la permette nei nostri confronti affinché noi la accettiamo e Gliela offriamo con amore. Certamente è lecito e anzi doveroso cercare di far riflettere chi si comporta scorrettamente affinché si corregga. In casi di estrema necessità è doveroso difendersi e difendere il più debole dall’ingiusto aggressore: essere pacifico significa stare in pace o in ordine con Dio e con se stessi, non significa pacifismo, ignavia, viltà.

Tuttavia, tra noi uomini vi sono delle differenze di carattere, di mentalità, di educazione, di cultura.  Certe volte gli attriti che capitano tra noi e coloro che ci vivono accanto non dipendono dalla cattiva volontà di nuocere, ma da difetti di educazione e di comportamento in genere. Di fronte a diversità di carattere dobbiamo sopportare chi ne ha uno diverso dal nostro come a nostra volta vogliamo essere sopportati dagli altri. Non dobbiamo emettere giudizi morali. Per esempio, se noi siamo ordinati e un nostro collega è disordinato per carattere, non dobbiamo vedere in questo suo difetto una cattiva volontà.

Invece se qualcuno ci vuol far del male, sostanzialmente non ci priva di nulla spiritualmente, potrà ferire la nostra sensibilità, ma con l’aiuto della Fede possiamo sopportare e superare tale prova. L’amore di Dio resta nella nostra anima, e questo è l’essenziale. Solo il nostro peccato, la nostra cattiva volontà ci priva della presenza di Dio. Il resto è secondario. Dobbiamo restare uniti a Dio, vivere assieme a Lui e dimenticare i torti ricevuti, rimettendo tutto al Suo Giudizio.

Quel che avviene attorno a noi non ci toglie la grazia di Dio e non deve turbare la nostra pace. Potrebbe crollare anche il mondo, ma solo la mia cattiva volontà può privarmi della presenza di Dio se aderisce al male morale. Quindi il rimedio ad ogni traversia esteriore è continuare a credere in Dio, sperare nel suo soccorso e amare la sua Volontà anche quando è crocifiggente.  Se al contrario ci preoccupiamo di tutto ciò che non funziona come noi vorremmo attorno a noi, allora cominciamo a diventare inquieti, tristi, scoraggiati, senza pace e tutto ciò influisce negativamente sulla nostra vita spirituale.

Il male vero non è fuori di noi, ma dentro noi. Solo il nostro peccato ci nuoce. Quello che fanno gli altri può dispiacerci, addolorarci, ma non ci priva di Dio sino a che non penetra nella nostra volontà. Dobbiamo prima occuparci della nostra conversione e santificazione, poi potremo pensare a quella degli altri, ma senza inquietudine, acidità, asprezza. Gesù è stato perseguitato, si è difeso, ha sofferto, ma non si è lasciato turbare dalla malizia altrui, ha continuato ad amare perché la sua anima umana era piena di uniformità alla Volontà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Gesù non si è fermato sui difetti e le malizie del prossimo, certamente le ha condannate quando veniva interrogato, ma poi le ha superate con l’amor di Dio.

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