L’anello piscatorio, o anello del Pescatore, è tra i più solenni segni visibili dell’autorità del Sommo Pontefice, successore di San Pietro e Vicario di Cristo in terra. Esso trae origine dal Vangelo, là dove il Signore Gesù, passando lungo il mare di Galilea, chiamò Simon Pietro e suo fratello Andrea con queste parole: «Venite dietro a me, e vi farò pescatori di uomini» (Mc 1, 17). In tale chiamata risuona l’essenza del ministero petrino: condurre, nella carità e nella verità, le anime verso il Regno dei Cieli, come il pescatore trae la sua rete carica di frutti dalle acque profonde. Ma questa immagine della pesca, già presente all’inizio del ministero apostolico, riappare in tutta la sua potenza mistica nel Vangelo secondo San Giovanni, al capitolo ventunesimo, quando il Risorto si manifesta ai discepoli presso il lago di Tiberìade. Lì avviene una seconda, definitiva pesca, la quale figura l’opera stessa della Santa Chiesa nel tempo. Pietro è ancora al centro dell’azione: egli guida, decide, getta la rete; gli altri apostoli si uniscono a lui, e il Signore stesso, pur non visibile, dirige l’opera e la rende feconda. La rete non si spezza, segno della unità cattolica. I pesci sono i fedeli, tratti dalla confusione del mondo e avviati alla mensa del Re divino. Il numero centocinquantatré, misterioso e non ancora del tutto rivelato, indica le molteplici stirpi umane che, lungo i secoli, saranno ricondotte a Cristo attraverso l’opera dell’apostolato1.
È la grande pesca ecclesiale, che trova nel ministero petrino il suo principio visibile di unità. L’anello piscatorio, in tal senso, non è soltanto ornamento, ma memoria viva e sacrale di questa missione affidata a Pietro. L’uso dell’anello come sigillo pontificio è attestato almeno dal XIII secolo. Una epistola di papa Clemente IV, datata intorno al 1265, menziona l’impiego di tale anello per imprimere il sigillo in ceralacca sui brevi apostolici e sulla corrispondenza privata2. Nei secoli successivi, l’iconografia si definì con chiarezza: il sigillo recava la figura di san Pietro seduto in barca, nell’atto di gettare o tirare le reti, contornato dal nome del Pontefice regnante. Il significato era tanto pratico quanto simbolico: identificava l’autorità papale e allo stesso tempo rammentava la missione apostolica affidata da Cristo al Principe degli Apostoli.
Dal punto di vista cerimoniale, l’anello del Pescatore adempie una duplice funzione. Esso è anzitutto un sigillo privato, con cui il Papa autentica i brevi apostolici, distinti dalle bolle e da altri documenti solenni. In secondo luogo, esso è insegna liturgica e visibile della pienezza del potere spirituale trasmesso a Pietro e ai suoi successori, indossato ordinariamente al dito anulare della mano destra, secondo l’antica consuetudine3. La collocazione nell’anulare richiama, in continuità con l’anello episcopale, le nozze mistiche tra il Pontefice e la Chiesa, Sposa di Cristo. Tradizionalmente, l’anello veniva forgiato in oro massiccio, materiale nobile che significava la preziosità del munus petrino. V’era anche l’antica usanza, mantenuta per secoli, di fondere l’oro dell’anello del Papa defunto per realizzare quello del nuovo Pontefice, a indicare una continuità ininterrotta nella successione apostolica. Tuttavia, con l’elezione di papa Francesco nel 2013, si è assistito a un cambiamento simbolico: l’anello gli fu conferito in argento dorato, in spirito di sobrietà e servizio verso la Chiesa dei poveri4. Il rito dell’imposizione dell’anello avviene solennemente nel corso dell’inaugurazione del pontificato. È il Decano del Collegio Cardinalizio a porlo sulla mano del neoeletto, come suggello visibile dell’investitura divina ricevuta. Alla morte del Pontefice, secondo l’antica consuetudine, il Camerlengo era tenuto a distruggere l’anello con un martello d’argento e avorio, in presenza del Collegio cardinalizio, a significare la cessazione dell’autorità papale e a impedire qualunque uso improprio5. Questa prassi, tuttavia, ha subito un’evoluzione nei tempi recenti. A partire dal pontificato di Benedetto XVI, l’anello non viene più fisicamente infranto: esso viene profondamente rigato con due incisioni a forma di croce, rendendolo inutilizzabile come sigillo, ma lasciandolo integro nella sua materia. In tal modo, pur mantenendosi il segno liturgico della fine del ministero petrino, si preserva l’oggetto quale testimonianza storica e devozionale6.
Sebbene il Codice di Diritto Canonico non disciplini in modo espresso l’anello piscatorio, la tradizione ecclesiastica ne ha custodito il rito e l’uso tramite i testi liturgici ufficiali e i decreti pontifici. Il Caeremoniale Romanum ne descrive i gesti e i momenti, confermando l’importanza dell’anello quale parte integrante della sacra simbologia del papato. Molti Sommi Pontefici, sebbene non abbiano dedicato encicliche specifiche all’anello, ne hanno esaltato il significato spirituale. San Giovanni Paolo II, in un discorso al Collegio Cardinalizio, ricordò che il Papa è chiamato a «gettare la rete della carità verso i confini del mondo, al servizio di ogni uomo e donna»7.
L’anello del Pescatore resta dunque uno dei segni più eloquenti del ministero pontificio: esso non è ornamento ma ministero, non oggetto d’onore ma strumento di missione, affinché il Successore di Pietro, pescatore d’anime per mandato divino, conduca il gregge della Chiesa attraverso le acque del tempo verso il porto della salvezza eterna.
Ubi Petrus, ibi Ecclesia. Unus Pastor, unus grex.
Note