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Le “fanatiche” di Compiègne

Le 16 Martiri di Compiègne, ispirandosi all'Ideale di vita del loro ordine, donano per il loro sposo anche la vita, regalando a tutta la Chiesa un grande esempio.

“Veni, creátor Spíritus, mentes tuórum vísita…”

Visitò le menti delle Sue lo Spirito Santo, di quelle sue monache che donarono tutta la loro vita a Cristo fino all’estremo sacrificio.
Erano gli oscuri tempi in cui sull’ancora Cattolica Francia si abbatteva la furia insennata della rivoluzione francese: Spinti dai moti rivoluzionari architettati dalla Massoneria, a causa di un potere monarchico negli ultimi secoli troppo autoritario, e soggiogati dal paventato miglioramento delle condizioni di vita, i ceti più poveri parteciparono al movimento rivoluzionario, impregnato di ideali rivelatisi, poi, apertamente anticristiani (o meglio, anticattolici) e manovrato dai liberi muratori assetati di potere, che sfocerà in una rivoluzione sanguinaria e devastante.

Fra i tanti a farne le spese, più o meno immediatamente, ci soffermiamo in queste righe sulle Beate Martiri di Compiègne, carmelitane scalze, che la Chiesa celebra nel giorno seguente i solenni festeggiamenti della loro Madre e Sorella, Maria, venerata con il titolo di Regina e Decoro del Monte Carmelo.

L’esempio di queste sedici martiri è, tanto per la società del tempo quanto per la nostra, illuminante e di primaria importanza; come ricordò nell’omelia dell’ Angelus del 24 Settembre 1978 Giovanni Paolo I: «Restata per ultima, Madre Teresa di Sant’Agostino (la Priora) pronunciò queste ultime parole: “L’amore sarà sempre vittorioso; l’amore può tutto!”; è l’amore per Dio che ha spinto queste sorelle a donarsi interamente a Lui entrando in convento ed stato sempre l’amore per Dio che le ha guidate durante la tribolazione fino al martirio.

Gli uomini di quel tempo credevano che queste monache vivessero una vita “repressa” nei monasteri, una vita senza amore, una vita senza quegli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità divenuti motto rivoluzionario, quando invece nella Chiesa, e sopratutto negli ordini femminili, questi stessi valori erano presenti da secoli: a testimonianza di queste loro libertà, le priore di tre monasteri Carmelitani scrissero all’assemblea nazionale che “alla base dei nostri voti c’è la libertà più grande; nelle nostre case regna la più perfetta uguaglianza; noi qui non conosciamo né ricchi, né nobili. Nel mondo si ama dire che i monasteri rinchiudono vittime consumate lentamente dai rimorsi; ma noi confessiamo davanti a Dio che, se c’è sulla terra la felicità, noi siamo felici“.

Un’affermazione tanto forte quanto vera, almeno secondo l’insegnamento di San Tommaso, il quale ci racconta come la più perfetta felicità si avrà solamente in cielo, raggiungibile solamente cercando di vivere nella santità, ed è esattamente questo l’ideale della vita carmelitana: la ricerca della santità.

Nella società di oggi, che ha paura della morte, della persecuzione, della guerra e di qualsiasi cosa che turbi la tranquillità, l’esempio di queste carmelitane dovrebbe risvegliare nei Cristiani l’ideale ricevuto durante la Cresima: essere soldati di Cristo, offrire in Cristo la vita al Padre, donarla accettando qualsiasi prova ci venisse messa davanti, idealmente finanche il martirio; nella loro “agonia”, infatti, queste carmelitane erano pronte a donare la loro intera esistenza a quel Dio che ha tanto amato il mondo da dare tutto se stesso pendendo dalla Croce, al punto che al processo la Priora ebbe a dire: “Siano rese grazie a Colui che ci ha preceduto sulla via del Calvario! Che felicità e che consolazione poter morire per il nostro Dio!”

Tanta era la gioia di queste beate che nel giorno precedente alla morte, solennità della Madonna del Carmine, perseguirono l’abitudine di comporre un canto alla Madonna, scegliendo di rielaborare nientemeno che la Marsigliese utilizzando queste parole:

“Arrivato è il giorno della gloria
or che la spada sanguinante è già levata
prepariamoci tutte alla vittoria.
Sotto le insegne di un Dio agonizzante
avanzi ognuno come vincitore
Corriamo tutti, voliamo alla gloria
ché i nostri corpi sono del Signore”.

Il 17 luglio 1794 le beate martiri salirono al patibolo felici e consolate dal loro divino sposo: dopo aver cantato il “Salve Regina” e il “Veni Creator” e aver rinnovato i loro voti, morirono una dopo l’altra cantando il salmo 116 “Laudate Dominum omnes gentes”.

Una di queste suore aveva con coraggio dichiarato come esse fossero “vittime del secolo”, vittime di una “ragione illuminata” che senza la fede era divenuta sempre più oscura e feroce, poiché qualsiasi atto compiuto senza la Fede rischia di condurre l’uomo a compiere atti feroci, ben distanti da quegli ideali che, in fondo, la stessa rivoluzione francese ha calpestato; in nome di una libertà fittizia, di una uguaglianza inesistente e di una fraternità ipocrita, questi “senza-Dio” hanno imprigionato un gruppo di donne libere che vivevano come sorelle “in perfetta uguaglianza”, le hanno maltrattate, condotte in tribunale, condannate e giustiziate definendole “fanatiche”: è proprio sul “fanatismo” che Suor Enrichetta si soffermò al processo facendo infuriare giudici e accusatori e suscitando la risposta: “È quella vostra affezione a credenze puerili, quella vostra sciocca pratica religiosa”; se questo è il “fanatismo”, allora Dio benedica i “fanatici”…

«Il colpo della basculla, il rumore secco del taglio, il suono sordo dell’ultima testa che cade… non un grido, niente applausi o grida scomposte, come invece abitualmente accadeva… anche i tamburi sono muti.
Su quella piazza, ammorbata dall’odore del sangue fetido, corrotto dal calore estivo, un silenzio solenne scese su chi assisteva: la preghiera della Carmelitane aveva già loro toccato il cuore.» (E. Renault)

Un film Cattolico che racconta la vita di queste beate:

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