La parola omelia deriva dal greco ὁμιλία, cioè conversazione, ed indica la parte della liturgia, successiva alla proclamazione del Vangelo, in cui il sacerdote celebrante commenta e spiega all’assemblea riunita il passo evangelico e le altre letture della Messa.
Il direttorio omiletico del 2014 ci dice chiaramente che l’omelia «non è solo una istruzione, ma è anche un atto di culto» e che «non solo annuncia a quanti sono riuniti che la parola di Dio si compie nel loro ascolto, ma loda Dio per tale compimento». Il direttorio ci tiene, inoltre, a specificare come la Messa non debba diventare l’occasione per il sacerdote di affrontare idee e tematiche slegate dai testi biblici della celebrazione né per adattare i testi della Chiesa a proprio piacimento.
Insomma, i documenti parlano in maniera molto chiara – sebbene non stiamo ora qui ad approfondire – del significato che l’omelia riveste all’interno della Santa Messa, in modo particolare la domenica e nelle solennità. Risulta anche molto chiaro come il momento omiletico, fonte di arricchimento spirituale per il fedele che non sempre è in grado di analizzare autonomamente e in maniera approfondita il testo evangelico, non debba trasformarsi in un comizio politico, in uno show o in chissà quale altra cosa differente dalla sua reale funzione.
Il problema, però, è che oggi assistiamo (e i social in questo ci “aiutano” molto) a tanti episodi, a tanti spettacoli di sacerdoti che approfittano dell’omelia per dare sfogo, forse, al proprio ego, alla propria fantasia e alla propria vena comica.
Quante volte ci è capitato di sentir dire: «Io vado in quella Chiesa perché il prete è simpatico! Perché fa una bella omelia». Molte volte addirittura perché parla in dialetto, un dialetto che spesso sfocia nell’essere anche un po’ rozzo. Ben venga, certo, che il sacerdote sia simpatico, sappia attrarre le persone, si sappia relazionare e ispiri fiducia. Queste sono tutte cose buone, ma ci sono momenti e spazi diversi che non sono la Messa.
Assistiamo spesso ad una trasformazione dell’omelia in un vero e proprio show: risate, applausi, schiamazzi, linguaggio poco consono… Insomma, a volte passa davvero tutto fuorché il messaggio del Vangelo. Spesso, poi, si corre il rischio di trasformare il tutto in un comizio politico, a volte facendo anche propaganda, quando in realtà lo scopo della spiegazione del brano biblico è proprio quello di inserire l’insegnamento ricevuto dalla Parola nella vita quotidiana, anche in un discernimento politico. Ma se in questo spazio così prezioso ci si dimentica di parlare di Cristo, come potremo fare questo?
Durante la celebrazione, il compito dell’omelia è quello di attrarre ancora di più il fedele a Cristo, non al sacerdote. Deve portare, infatti, ad una riflessione ancor più profonda sul senso della Parola ascoltata, sul senso del messaggio evangelico e sul significato della vita cristiana. Deve portarci a dire: «Io vado in quella Chiesa perché lì riesco davvero ad ascoltare e a comprendere Cristo che mi parla». Ci deve portare ad essere ancora di più cristiani e convinti della fede che professiamo, degli insegnamenti che predichiamo, testimoni fedeli ed esempio per gli altri, tutti i giorni della nostra vita e in ogni ambito di questa.
E se molto spesso la bravura di un sacerdote passa per la sua simpatia e non per la sua preparazione, per il suo desiderio di condividere e di testimoniare l’amore per Cristo e per la Chiesa, questo rischia poi di portare anche noi a dare peso al superficiale e a non cogliere, invece, il fondamentale, il senso profondo e nascosto. E nel nostro tempo, segnato da una secolarizzazione crescente, che rischia di ridurre la fede ad un’emozione, ad un moto dell’animo, è bene tenere a mente lo scritto di San Girolamo: «L’ignoranza della scritture è ignoranza di Cristo».