Limbo

La mistica morte avviene in un istante. Nell’istante nel quale l’uomo muore in Cristo, egli rinasce, si risveglia alla vera vita. L’intervento vincitore della Croce addormenta l’uomo nella morte col lampo, e quasi allo stesso tempo, col tuono che segue, lo ridesta.

Inferno – Canto IV

La mistica morte avviene in un istante. Nell’istante nel quale l’uomo muore in Cristo, egli rinasce, si risveglia alla vera vita. L’intervento vincitore della Croce addormenta l’uomo nella morte col lampo, e quasi allo stesso tempo, col tuono che segue, lo ridesta. Ma l’uomo ridestato di là dalla mistica morte, (proprio come al passo «che non lasciò giammai persona viva» e che era la mistica morte nel «corto andare», se questa è la mistica morte dell’«altro viaggio»), è stato sanato per la vita contemplativa, è stato sanato nella vista, sorge dritto e riguarda fiso con l’occhio riposato (cioè sanato) per conoscere ove si trovi e conosce la verità come se la vedesse per la prima volta. E conosce che è dinanzi l’Inferno e che bisogna vincerlo. Ed ecco che accanto a lui, che è redento dalla morte in Cristo e per quella morte ora soltanto vivente, Virgilio, che l’Acheronte misticamente non ha passato, Virgilio appare tutto smorto (v. 14). Egli è veramente morto. E questo dramma è velato sotto le spiegazioni letterali con le quali Virgilio attribuisce il suo essere smorto alla pietà delle genti che sono laggiù. Ma Virgilio, se pur morto spiritualmente, se pur non redento in Cristo, risente in sé il sanato dalla virtù dell’Aquila, il sanato nella vita attiva e ritorna ben presto la guida energica e franca: «Andiam che la via lunga ne sospinge!» (v. 22). E si entra nel primo cerchio, primo nella numerazione letterale e apparente dei cerchi, ma nella ripartizione segreta, dissimulata e profonda, secondo Antinferno, seconda regione del peccato originale, regione della «ignorantia», di coloro che non avendo avuto battesimo, non ebbero la fede, non ebbe- ro lo «scire recte», se anche ebbero l’Aquila e quindi il «recte facere».

Se gli ignavi che sono prima dell’Acheronte sono i perduti nella «piaggia» della «difficultas», i non battezzati del Limbo sono i perduti nella «selva» della «ignorantia», e Dante vuole, con un suo strano artificio, che noi ripensiamo alla selva e ci sentiamo passando fra loro, ancora nella «selva».

Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi
Ma passavam la selva tuttavia
La selva dico di spiriti spessi

v. 64

Si noti che Virgilio, narrando di aver veduto il Cristo discendere in quel Limbo per trarne i credenti nel Cristo venturo, non lo nomina, dice di aver visto «un possente» e nomina vagamente un «segno di vittoria» che egli portava. E questo segno di vittoria non si può intendere se non o come la Croce che Cristo aveva in mano o come un nimbo crociato. Comunque, è il segno della Croce che stette tra gli irredenti della Croce e che Virgilio, irredento della Croce, non nomina, proprio come sta tra gli irredenti dell’Aquila una misteriosa insegna a ricordare l’insegna dell’Aquila, e che Dante, irredento dell’Aquila, non nomina. L’Acheronte, il fiume del peccato originale, a significare che gli effetti di questo peccato si sanano con la Croce e con l’Aquila, sta tra coloro che ebbero la Croce ma furono sanati a mezzo perché mancò loro L’Aquila e coloro che ebbero l’Aquila ma furono sanati a mezzo perché senza la Croce. I primi più disprezzati perché per loro era più facile salvarsi, i secondi più in basso perché la cecità, la ignorantia della vita contemplativa è piu grave che non la difficultas della vita attiva.

Inf IV-2

Tra coloro ai quali mancò la virtù della Croce, vi sono alcuni che attuarono per quanto era possibile in loro la volontà di bene nell’ambito del semplice lume naturale pur senza la rivelazione e quindi senza la vera sapienza e furono quindi perfettamente sanati e guidati dalla virtù dell’Aquila. Essi sono in un «nobile castello» sul quale è una luce, ma quella luce, che rappresenta appunto la luce dell’intelletto umano proveniente dalla natura non dalla Grazia, non dalla divina Sapienza (Rivelazione), è tenebra, essa è ancora nel vero senso cristiano ignorantia.

Infatti:
Lume non è se non vien dal sereno
Che non si turba mai, anzi è tenebra.

Par., XIX, 64

Virgilio altrove (Purg., VII, 29) parlando di quel luogo si dimenticherà addirittura di quella luce e dirà che quel luogo è «tristo di tenebre». E da lontano infatti quella luce appare come avvinta e chiusa sotto un emisfero, quasi sotto una calotta di tenebre (Inf.,IV, 69).

Dal «nobile castello» escono incontro a Dante e a Virgilio quattro poeti. Sono i poeti che hanno cantato Troia e l’Impero, sono i poeti dell’Aquila, i quali vengono incontro a Virgilio altissimo poeta dell’Aquila. Di Omero non a caso è detto che «sopra gli altri come Aquila vola» (E se il verso si debba leggere invece «la bella scuola Di quei signor dell’altissimo canto Che sopra gli altri come Aquila vola», la similitudine con l’Aquila si dovrebbe riferire all’insieme di questo gruppo di poeti dell’Aquila).

E Dante viene ad aggiungersi a essi come sesto non solo come poeta, ma come poeta dell’Aquila. Questi poeti dell’Aquila accompagnano Dante nel «nobile castello» ove è tutto il bene che si può ottenere con la virtù dell’Aquila quando manchi la Croce.

È questo il primo dei tre verdi smalti del bene. Il secondo lo troveremo nel Purgatorio e a esso si giunge con la virtù della Croce quando non si sia attuata quella dell’Aquila, il terzo è quello della naturale perfetta innocenza, il Paradiso Terrestre e non vi si torna se non con la Croce e con l’Aquila. Il carattere che ha questo «verde smalto» quasi di riproduzione in piccolo e in forma meno perfetta del «sommo smalto» del Purgatorio si rivela nella struttura generale del Limbo. Esso comincia con una «selva» (di spiriti spessi) ed è lo stato della selva (ignorantia), si trova poi un fiumicello che i saggi passano come terra dura, poi sette cerchi di mura, poi un luogo «aperto luminoso ed alto» con un verde smalto. Ciò vuole indubbiamente ricordare la struttura generale del mondo nel quale, partendo da una selva e attraverso un passo di acque, vincendo sette ripiani della colpa, si giunge a un luogo luminoso e alto, a un luogo di felicità. Tale struttura vuole rappresentare inoltre la piccola felicità terrena che si può ottenere sotto la sola guida dell’Aquila senza la virtù del battesimo e della Croce e perciò relegata di là dall’Acheronte che è appunto il peccato originale che si vince per mezzo della Croce.

Nel «nobile castello» appaiono divisi in due schiere i contemplativi (che videro quel tanto che si può vedere del vero nella «ignorantia» derivante dal peccato) e gli attivi. Gli attivi raccolti intorno a Cesare armato e con occhi grifagni (occhi di Aquila), i contemplativi intorno ad Aristotele, vertice del pensiero umano operante nel lume naturale senza la Croce. Le quattro donne, Lucrezia, Julia, Marzia e Corniglia che sembrano stare a rappresentare tutta la massa del popolo romano si ricollegano a temperanza, prudenza, giustizia e fortezza, le quattro virtù cardinali. Non è improbabile che Dante dicendo negli ultimi versi del canto che egli è condotto fuori del castello «per altra via» abbia voluto ricordare che, per quanto nobili siano quegli spiriti, altra è la via che deve seguire il cristiano profondandosi con la mistica morte nell’Inferno per risorgere alla luce eterna.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp per contenuti esclusivi

Altri articoli che potrebbero interessarti

Iscriviti al nostro canale Whatsapp per contenuti esclusivi

error: Questo contenuto è protetto!