Nella nostra epoca la società in cui viviamo è sempre più scristianizzata, mondanizzata moralmente e spiritualmente pagana.
In tale situazione va via via perdendosi il senso ed anche la minima cognizione del peccato, del suo significato, del suo peso e dei suoi effetti nefasti quale morbo mortale per l’anima.
Esso, al contrario, viene presentato ed esaltato come atto positivo da promuovere e il vizio è elevato a virtù in un diabolico sovvertimento del bene e del male.
Non sorprende, pertanto, che pure la penitenza, come strumento curativo di purificazione spirituale, sia ormai stata quasi del tutto cancellata, negandone il senso, l’utilità e la necessità per la salute eterna delle anime, incomparabilmente più importante di qualsiasi gratificazione o consolazione terrena, fisica o emotiva.
Siamo di fronte ad un completo capovolgimento della realtà escatologica dell’esistenza umana, in cui il benessere e le soddisfazioni materiali e sensoriali sono elevate a valori assoluti, che vanno a costituire il fine stesso della vita, la quale, invece, in mancanza di essi o in presenza di fastidi e avversità irrisolvibili, come malattie o impedimenti di qualsiasi genere, viene addirittura considerata priva della sua dignità essenziale e, in tal modo, meritevole di soppressione, come si fa con l’eutanasia.
La verità è, tuttavia, esattamente opposta a quello che il mondo vorrebbe farci credere e i problemi, le prove e i patimenti che incontriamo lungo il nostro cammino terreno non sono di ostacolo alla nostra felicità, bensì magnifiche opportunità di dare alla nostra anima il vero bene di cui ha bisogno e di raggiungere più facilmente la gioia autentica e definitiva, quella che si trova solo nella pace di Dio, con la beatitudine eterna del Paradiso.
Il peccato consiste in un’offesa diretta all’Altissimo, mediante la disubbidienza alla sua volontà, contravvenendo alla sua Legge, ai suoi Comandamenti, ribellandosi ed opponendosi all’ordine della creazione nella definizione di ciò che è giusto o sbagliato, del bene, rispondente alla stessa Verità di Dio e del male come sua assenza e negazione.
Il peccato ci pone in una condizione di separazione ed inimicizia col Signore, ferisce ed affligge la nostra anima come un morbo straziante che, quando è mortale, la uccide letteralmente, perché le toglie la grazia santificante, che è la stessa vita dell’anima come l’anima è la vita del corpo.
Le fa, dunque, perdere il Paradiso, la priva dei meriti acquistati e la rende incapace di ottenerne di nuovi, la rende schiava del demonio e le fa meritare l’Inferno, oltre ai castighi della vita attuale.
Perché un peccato sia mortale occorre che la materia che lo riguarda sia grave, ovvero concernente i dieci comandamenti e, inoltre, che vi sia la piena avvertenza di questa gravità e la volontà deliberata di commettere il peccato.
Se manca anche una sola di queste condizioni, oppure si tratta solo di una lieve trasgressione alla legge divina, allora il peccato è di tipo veniale.
Esso non ci fa perdere la Grazia divina ed è perdonato più facilmente dal Signore, ma non è assolutamente da sottovalutare, perché contiene sempre un’offesa a Dio, che di per sé è peggiore di qualunque male del mondo, poi indebolisce e raffredda in noi la carità, ci dispone maggiormente a commettere un peccato mortale e reca danni considerevoli all’anima che poi, per entrare in Paradiso, andranno riparati, espiando fino in fondo le pene temporali necessarie, nella vita e nel Purgatorio.
La dottrina cattolica ci insegna che Nostro Signore Gesù Cristo ha dato alla sua Chiesa la facoltà di rimettere i peccati in Suo Nome, per i suoi meriti infiniti, attraverso i Sacri Ministri, conferendo i Sacramenti da Lui istituiti a tal fine, in particolare il Battesimo e la Confessione.
Il primo toglie il peccato originale e tutti i peccati attuali, annullando anche, per essi, ogni debito di colpa, per cui se ad esempio una persona morisse subito dopo aver ricevuto il battesimo, sarebbe automaticamente salva ed entrerebbe immediatamente in Paradiso, senza bisogno di altra purificazione.
La Confessione, chiamata anche, non a caso, “Penitenza”, invece, è stata istituita da Nostro Signore per rimettere tutti i peccati commessi dopo il battesimo.
A tal fine è necessario il pentimento unito al dolore per le colpe commesse, con il fermo proponimento di non ricadervi in futuro, bisogna, dunque, accusarsene confessandole al sacerdote ed accogliere la soddisfazione, o penitenza, che egli ingiunge in loro espiazione.
Con la confessione, infatti, dopo l’assoluzione sacramentale, sono rimesse la colpa e la pena eterna, ma rimane il debito della pena temporale che è necessario ripagare alla giustizia divina in questo mondo, proprio con le penitenze, oppure nel purgatorio dopo la morte.
È come se, dopo la guarigione da una grave malattia, ne rimanessero i postumi e gli effetti debilitanti per il corpo, rendendo necessario, per una piena guarigione, un periodo di convalescenza unito all’assunzione di una medicina amara che, per l’anima, è proprio la penitenza.
In tal senso quella che possiamo compiere qui sulla terra costituisce anche una preziosa opportunità di evitare o abbreviare le pene che poi dovremmo scontare in purgatorio, che sarebbero, peraltro, indicibilmente più amare.
Questa differenza della confessione rispetto al battesimo, è dovuta alla maggiore gravità dei peccati commessi dopo averlo ricevuto, perché con maggiore cognizione e ingratitudine verso i benefici di grazia santificante concessi dal Signore.
Quest’obbligo di soddisfarli può, inoltre, costituire un deterrente a non ricommetterli.
Naturalmente da noi stessi non saremmo in grado di ripagare la giustizia divina, ma possiamo farlo unendoci al merito infinito della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo, che dà valore alle nostre azioni.
La penitenza data dal confessore, sottoforma di preghiera o altra opera buona che egli ritiene opportuna, di regola non è sufficiente a scontare tutta la pena dovuta ai peccati, ma è necessario supplirvi con altri salutari sacrifici volontari.
Da tenere nella massima considerazione è anche la penitenza che possiamo fare non per noi stessi, ma come forma di preghiera per ottenere grazie per il nostro prossimo, in particolare per la conversione dei peccatori e la soddisfazione delle colpe altrui.
Si contribuisce così a riparare i peccati del mondo che poi si ripercuotono su intere nazioni, con conseguenze drammatiche che invece, in tal modo, si possono scongiurare.
È, nondimeno, fondamentale il soccorso che, con le nostre penitenze possiamo dare alle anime sante del purgatorio, affrettandone la purificazione e l’ingresso in Paradiso, per il principio della comunione dei Santi e nello spirito della sofferenza vicaria.
In tal caso la loro gratitudine nei nostri confronti è indescrivibile come le grazie di cui ci beneficiano con la loro intercessione.
Questa è, inoltre, una meraviglioso modo di conformarsi al Signore Gesù che, con la Croce, ha assunto su di Sé, vittima innocente, il peso di tutti i peccati di ogni tempo e luogo, compresi i nostri, per aprirci il Paradiso con il Sacrificio del Calvario.
Ecco come la penitenza si configura come mezzo essenziale di santificazione nel combattimento contro il male e la sua necessità risalta ancora di più oggi, di fronte alla mole inenarrabile dei peccati che dilaniano il mondo.
Tale urgenza, non a caso, ci è stata ripetutamente rivelata dal Cielo, per bocca della Santissima Vergine Maria, prima a Lourdes, nell’ottava apparizione, il 24 febbraio 1858, quando la Signora si è rivolta a Santa Bernadette dicendole: «Penitenza! Penitenza! Penitenza! Pregare Dio per i peccatori! Bacerete la terra in espiazione dei peccatori!».
Dopo la Madonna, a Fatima , nel 1917 è tornata a raccomandare la preghiera costante e l’offerta di sacrifici e rinunce per la conversione dei peccatori, perché «molte anime vanno all’Inferno perché non c’è chi preghi e si sacrifichi per loro».
Come si potrebbe rimanere indifferenti a questi appelli materni della Regina dell’Universo e non rispondervi con tutto lo zelo possibile?
Una buona e fruttuosa penitenza può essere costituita dalla preghiera in ogni forma di esercizio di pietà, dal digiuno consistente in tutti i tipi di mortificazione corporale ed emotiva, come anche nei semplici fioretti e rinunce a cose gradite che si possono compiere quotidianamente, sia nell’assunzione di cibi e bevande che in sfizi o svaghi leciti di qualsiasi genere.
Vi è poi l’elemosina, per la quale s’intende qualunque opera di misericordia spirituale e corporale che essenzialmente si riferisca a quelle definite dal Vangelo, di cui le spirituali sono:
- consigliare i dubbiosi;
- istruire gli ignoranti;
- ammonire i peccatori;
- consolare gli afflitti;
- perdonare le offese;
- sopportare pazientemente le persone moleste;
- pregare Dio per i vivi e per i morti;
mentre le corporali:
- dar da mangiare agli affamati;
- dar da bere agli assetati,
- vestire gli ignudi;
- alloggiare i pellegrini;
- visitare gli infermi;
- visitare i carcerati;
- seppellire i morti.
La prima ed essenziale forma di penitenza, tuttavia, consiste molto semplicemente nell’assolvimento fedele e diligente dei doveri del proprio stato di vita, quello a cui ciascuno di noi è chiamato da Dio, nell’obbedienza costante alla sua volontà.
Ogni buona azione compiuta in grazia di Dio e per suo amore, finanche la più semplice ed apparentemente insignificante può avere, invece, un valore immenso, come ci insegna Santa Teresina di Lisieux, arrivando a dire che persino un gesto comune come chinarsi per raccogliere uno spillo da terra, se offerto con questa intenzione, può salvare un’anima.
Non perdiamo, dunque, questa inestimabile opportunità delle miriadi di occasioni che abbiamo ogni giorno di fare una santa penitenza, a beneficio delle nostre anime e di quelle dei tanti che rischiano di perdersi nella perversione di questo mondo.
Non sprechiamo il dono del tempo che abbiamo a disposizione, unico e irripetibile, da valorizzare ed impiegare nel modo migliore, guadagnando quel tesoro di grazia che Dio ha preparato per noi in Cielo per l’eternità.