✒ Una Vox
Questo numero di quaranta giorni non fu stabilito dagli uomini, ma consacrato da Dio, né indetto per considerazioni terrene, ma ordinato dalla celeste maestà (…)
E Dio ci ha ordinato di osservare l’impegno quaresimale in questo periodo dell’anno quando tutta la natura si rinnova e risorge.
(…) Dico che la terra all’inizio della Quaresima depone la tristezza dell’inverno, ed io all’inizio della Quaresima respingo la tristezza dei peccati; la terra è aperta dall’aratro per essere pronta a ricevere la sua semente, la terra della mia anima è arata dai digiuni perché sia pronta a ricevere la semente celeste.
Perché, come trae maggior raccolto colui che lavora piú assiduamente il suo campo, cosí raccoglie maggiori grazie colui che piú lavora il campo del suo corpo con frequenti digiuni.
Ecco infatti che in questo tempo di astinenza nei seminati rinverdisce la messe, i polloni s’alzano in arbusti, le viti si coprono di gemme, tutta la natura si aderge verso l’alto; cosí in questo stesso tempo torna a guardare al futuro la speranza ch’era semimorta, si ritrova la gloriosa fede perduta, la vita temporale si innalza verso la vita eterna, e tutto il genere umano si sottrae al dominio infernale, puntando alto verso il cielo.
(…) e in questo ciclo di quaranta giorni tutte le creature si danno cura di purgarsi di ciò che è nocivo per giungere pulite e adorne alla Pasqua. Ora tutte le creature sono in parto, per presentarsi poi col loro frutto. Allora, infatti, inaspettatamente la spina porterà la rosa, sul giungo sboccerà il giglio, gli aridi virgulti daranno profumo, e tutto s’adornerà di fiori cosí che la stessa natura sembrerà col suo splendore celebrare la festa del gran giorno.
(…) Queste infatti sono le spine del nostro corpo che pungono l’anima, delle quali dice la Scrittura: La terra ti germinerà triboli e spine (Genesi, 3, 18). Mi germina spine la mia terra quando mi stuzzica coi blandimenti della carnale libidine; mi germina triboli quando mi tormenta con l’avidità delle mondane ricchezze.
È spina per il cristiano l’avarizia, spina per l’uomo valente l’ambizione: sembrano dar piacere, ma invece fan danno. Da esse non possiamo difenderci se non con la vigilanza e il digiuno; anzi, in virtú della astinenza quelle stesse spine si mutano in rose. Il digiuno può trasformare la libidine in castità, la superbia in umiltà, l’ingordigia in frugalità.
Questi sono i fiori della nostra vita che olezzano soavemente per il Cristo, che mandano buon profumo a Dio, onde dice l’Apostolo: Perché noi siamo il buon profumo di Cristo per Dio (II Corinti, 2, 15).
Il Signore ci ha dunque elargito la Quaresima perché durante questo tempo, cosí come fa tutta la natura, noi concepiamo i germi delle virtú per produrre il frutto della giustizia nel giorno della Pasqua.
Ora, nello stesso spazio di quaranta giorni, il Cristo s’è esercitato (Matteo, 4, 2), non per progredire Egli stesso, ma per mostrare a noi come progredire verso la salvezza. In Lui non v’era spina di peccato da trasformare in fiore; poiché era egli stesso il fiore nato non da spina ma da verga, come dice il profeta: Uscirà una verga dalla radice di Jesse, e un fiore salirà su dalla radice (Isaia, 11, 1).
La verga infatti era Maria, gentile, semplice e vergine, che germinò il Cristo come un fiore dalla integrità del suo corpo.
Il Signore dunque ha stabilito per noi questa osservanza quaresimale digiunando egli stesso ininterrottamente per quaranta giorni e notti senza voler mangiare.
Ma infine, dice l’Evangelista, ebbe fame. Come può dunque essere che, non avendo sentito fame né sete per cosí tanti giorni, dopo abbia avuto desiderio di mangiare? Ebbe fame, certo; e non possiamo negare che abbia desiderato di mangiare: perché desiderava non il cibo degli uomini ma la loro salvezza, non agognava banchetti di vivande terrene ma bramava la santificazione delle anime immortali.
Infatti il cibo del Cristo è la redenzione dei popoli, cibo del Cristo è l’adempimento della volontà del Padre, come disse Egli stesso: Mio cibo è di fare la volontà del Padre che mi ha mandato (Giovanni, 4, 34).
Quindi dobbiamo anche noi sentire la fame, non di quel cibo che si imbandisce sulle mense di questo mondo, ma di quello che si coglie dalla lezione delle divine Scritture!
Poiché quello nutre il corpo per il tempo, questo ristora l’anima per l’eternità.
(Dalla raccolta antologica: Sermoni di S. Massimo, Il Tempo della Santa Quaresima, Vescovo di Torino, édita dalle Ed. Paoline nel 1975)