Mercimonio di reliquie

La compravendita di reliquie è una pratica tanto frequente quanto vietata. In un contesto di contemporanea crescita del problema, anche per via del commercio online, e di legislazione della Santa Sede impoveritasi nel tempo e ricca di buchi normativi, il presente articolo tenta di proporre maggior chiarezza e ragguagliare i buoni cristiani sull’atteggiamento da avere in proposito.

C’è una pratica, aleggiante intorno al culto cattolico, che senza mezze misure può essere definita particolarmente macabra e deprecabile, capace di svilire le sfere più intime della sacralità arrivando a mercificarla e renderla oggetto di feticismo da cristalliera. Si tratta del mercimonio delle reliquie di Santa Romana Chiesa.

La reliquia, res sacra per eccellenza, possiede capacità tanto di attirare oceaniche folle di pellegrini e devoti da tutto il mondo, quanto di divenire canale tangibile della Misericordia di Dio per l’uomo attraverso la “produzione” di miracoli. È storicamente uno dei principali oggetti di contesa e di brame d’appropriazione, talora per fini economici, talora per volontà sacrileghe, talora per puro e sciocco collezionismo barocco.

Circa il furto di oggetti sacri e beni ecclesiastici, al di là di qualsiasi norma morale o statuale in materia, l’evidenza parla chiara da sé; san Giovanni Bosco ebbe modo di essere molto eloquente a tal proposito, esprimendo come: “la famiglia di chi ruba a Dio non arriva alla quarta generazione”, vaticinio che peraltro si avverò prontamente sulla Famiglia Reale Savoia e sul Conte di Cavour a seguito della promulgazione delle Leggi Siccardi (cfr De Mattei, 2000). Tuttavia, se la problematica del furto, per ovvi motivi che esulano anche dal mero contesto religioso, viene affrontato con maggior durezza, nel contesto attuale di liberismo sfrenato, la compravendita delle reliquie non viene presa con la medesima serietà, generando purtroppo un business ben radicato e florido.

Non è raro imbattersi durante una passeggiata fra i banchi dei mercatini delle pulci o presso i locali di pregevoli antiquari in oggetti sacri e reliquie in vendita. La situazione peggiora vertiginosamente online, dove attraverso una rapida ricerca sui vari browser o sulle app di compravendita è possibile ottenere migliaia di risultati e di offerte per tutti i gusti e per tutte le tasche. Frammenti di ossa, lembi di tessuto, capelli, unghie appartenuti a un santo, con tanto di teca sigillata ad indicarne l’autenticità, spesso addirittura a modicissimi prezzi che possono partire da qualche decina di euro sino a superare le centinaia, in ossequio non tanto alla preziosità del bene conservato, quanto piuttosto alla pregevolezza di materiale e manifattura del reliquiario. Una pratica che disgusta al solo pensiero ma che evidenzia chiaramente un male in crescita in una società destinata ad una esecranda empietà da cui non riesce ad emanciparsi.

I profili di coloro che si accostano a tale pratica sono ampi e variegati, si passa dal flaneur paracattolico e pseudoborghese la cui casa appare simile al magazzino di un mercante, carica di chincaglieria di ogni sorta e genere con cui vantarsi nelle storie Instagram, sino ad arrivare a quelle anime nere che li bramano per culti perversi e malvagi, di cui il solo pensiero fa orrore e implora Giustizia Divina. Degni di nota sono inoltre i furbetti “svuota-sacrestie” dagli intenti speculatori, che con abili doti oratorie riescono facilmente ad abbindolare i soggetti caduti nelle loro tresche mercatistiche.

Mercimonio di reliquie
Reliquia di San Giovanni Crisostomo

Ebbene qual è attualmente la posizione della Chiesa in merito a questa barbara pratica mescolante il sacro al profano e incardinata nei più beceri svilimenti di oggetti destinati al culto?

Sotto il profilo storico, un primo inquadramento del tema si ebbe con il IV Concilio Lateranense (1215), il quale, al canone LXII pone le basi di tutta la legislazione ecclesiastica a venire, stabilendo così:

Poiché dal fatto che alcuni espongono le reliquie dei santi per venderle, si è spesso presa occasione per detrarre la religione cristiana, perché ciò non avvenga in futuro, col presente decreto stabiliamo che le reliquie antiche da ora in poi non siano messe in mostra fuori del reliquiario, né siano poste in vendita. Quelle nuove nessuno si azzardi a venerarle, prima che siano state approvate dall’autorità del Romano pontefice.

Il testo conciliare esposto, per la prima volta, statuisce senza mezzi termini il divieto assoluto di porre in vendita le reliquie, tuttavia, se una disciplina in merito al loro profilo devozionale viene ulteriormente sviluppata nei secoli successivi (cfr Concilio di Trento, 1563), è solo con il Codice di Diritto Canonico del 1917, definito “Piano Benedettino” che il tema del mercimonio riaffiora massicciamente per una sua maggior chiarificazione normativa. Nel merito, si legiferava non solo a proposito della proprietà, ma anche circa le autorizzazioni necessarie alla medesima e la modalità di conservazione dei sacri oggetti:

Can. 1281-1282. Le reliquie insigni non si tengono in case o oratori privati senza espressa licenza dell’Ordinario, ma solo le non insigni e tenute onoratamente.

Can. 1283-1289. […] Le reliquie si terranno in teche chiuse e sigillate. […] Si eviterà la vendita delle reliquie e perciò i Superiori ecclesiastici cureranno che non siano alienate nella massa specialmente delle eredità, evitandone la profanazione, la noncuranza, la perdita.

Can. 2326. Chi fa o, consapevolmente, vende, distribuisce, espone false reliquie, incorre la scomunica riservata all’Ordinario.

In tal senso, non solo il legislatore pontificio ribadiva con assoluta chiarezza il divieto di vendere reliquie ma definiva anche la pena prevista per coloro che fossero incappati in tale pratica, ovvero la scomunica ferendae sententiae comminata dal Vescovo Ordinario. Con il “rinnovamento conciliare” del 1962-1965, si è sentita tuttavia l’esigenza di demolire, fra le altre cose, anche il Codice di Diritto Canonico promulgato da Benedetto XV al fine di produrne uno nuovo, più moderno (l’attuale vigente), detto “Giovanneo-Paolino” in quanto emanato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II nel 1983. In esso, la disciplina delle reliquie pressoché scompare del tutto, lasciando un unico brevissimo comma di un più ampio canone ad affrontare tutta la questione:

Can. 1190, c. 1. È assolutamente illecito vendere le sacre reliquie.

Si converrà che il sunto appare sostanzialmente analogo in merito alla commercializzazione delle reliquie, ma estremamente impoverito. Non vi è più alcuna menzione alle attività di produzione, distribuzione, esposizione dei sacri oggetti, veri o falsi che siano, e men che meno vi è più riferimento alla pena, ovvero la scomunica. Questa grave manchevolezza, dettata da non si sa quale motivazione ma che non può non indurre a pensare ad un crescente disinteresse della Chiesa contemporanea nei riguardi dei suoi stessi tesori, ha così creato la necessità di interventi più precisi da parte delle congregazioni della Curia Romana i quali, sebbene piuttosto in ritardo, tentano di mettere una pezza a questa normativa così arida, pur lasciando ampi buchi. Nel 2017 la Congregazione delle Cause dei Santi ha così provveduto a pubblicare un’istruzione denominata “Le Reliquie nella Chiesa: Autenticità e Conservazione” per affrontare il tema: 

Articolo 25. Sono assolutamente proibiti il commercio (ossia lo scambio di una reliquia in natura o in denaro) e la vendita delle reliquie (ossia la cessione della proprietà di una reliquia dietro il corrispettivo di un prezzo), nonché la loro esposizione in luoghi profani o non autorizzati.

Mercimonio di reliquie

Sebbene un’istruzione extracodiciale abbia una gerarchia normativa inferiore rispetto al Codice di Diritto Canonico vero e proprio, in questo caso il legislatore pontificio ha avuto l’accortezza di estendere dal concetto di “vendita” a quello di “commercio” l’attività illecita di compravendita di reliquie, permettendo così di includere anche la figura del secondo contraente, ovvero l’acquirente. Resta tuttavia indefinita nel medesimo articolo la pena prevista per chi dovesse violare tale norma, ma poiché la commercializzazione di oggetti sacri (fra cui e reliquie) costituisce profanazione, la sanzione prevista dovrebbe essere quella ai sensi ai sensi del Can. 1376 (Tonti, 2020).

Alla luce di tale situazione normativa, è fondamentale che il cattolico sia assolutamente consapevole dell’atteggiamento che necessita di adottare a proposito della compravendita di reliquie. Laddove un fedele si dovesse trovare in possesso di una reliquia, perché ereditata, trovata o ottenuta in altri modi, in alcun modo può e deve pensare di venderla, optando piuttosto per una consultazione presso la propria curia diocesana di riferimento per comprendere quale migliore opzione sia contemplabile. Al contempo è importante anche evidenziare la situazione in capo al cliente interessato, in quanto è strettamente tenuto a non acquistare o barattare una reliquia in cambio di denaro o altri oggetti (sacri o non sacri che siano) con una sola eccezione: il caso in cui la si acquisti al fine di sottrarla ad un potenziale uso sacrilego della medesima che si prospetta all’orizzonte (Tonti, 2020), salvo poi essere anche in questo caso tenuti a fare riferimento al proprio vescovo diocesano per consultarsi in merito alla destinazione del sacro oggetto. Ma quel che più preme esplicitare, è in ultimo l’atteggiamento che occorre avere nei riguardi di una reliquia. Essa è una manifestazione tangibile della grandezza di Dio, operante per mezzo di elementi materiali e di illustri uomini che Lo hanno rappresentato sulla terra. Il culto nei riguardi delle reliquie necessita di essere rigoroso, senza cadute nell’idolatria o in credenze semi-pagane, poiché tali beni sono il tramite per una Misericordia che arriva solo e soltanto dalla Santissima Trinità, per la quale l’oggetto materiale di devozione non è che strumento di intercessione in qualità del santo che rappresenta. La riverenza che occorre prestare è massima. È consentito dalla Chiesa possedere una o più reliquie in via eccezionale rispetto alla regola che prevederebbe la loro ubicazione presso luoghi sacri per essere oggetto di venerazione popolare, ma con assoluta serietà. Si eviti pertanto, al di là delle evidenti abilità nell’aggirare il mercimonio per mezzo di “donazioni” ottenute o concesse in cambio di favori fra laici ed ecclesiastici o fra laici e laici, di scadere nel collezionismo. Collezionare presso le proprie private abitazioni, senza alcuna motivazione giustificabile (quali potrebbero essere ad esempio il salvare tali oggetti dalla dispersione, dal sacrilegio o simili) reliquie o oggetti sacri è sintomo di un para-feticismo particolarmente inquietante. Sebbene non espressamente vietato (benché altamente parametrato), tale tipo di collezionismo evidenzia un approccio al culto, alla “dulìa” e in somma sintesi alla religione, intriso di una materialità tossica che svilisce il senso di sacralità stesso dei beni oggetto di possesso e come tale è da evitare sistematicamente. 

Un’ultima precisazione riguarda le cosiddette “immaginette”, ovvero quei santini, spesso venduti nei santuari o commercializzati diffusamente, contenenti al loro interno un piccolissimo frammento considerato reliquia (perlopiù pezzettini di tessuto) “ex contactu”. Ebbene a tal proposito la scarna disciplina vigente non fa alcun tipo di menzione esplicita circa un trattamento differenziato. Pertanto, benché considerate reliquie di classe minore, tali oggetti parrebbero essere parimenti oggetto di divieto di compravendita. Tuttavia, data l’assenza di certificati di autenticità annessi, data la classe “inferiore” nella tipologia di reliquia e data la prassi talora promossa dai santuari stessi, il problema pare non aver trovato ancora risposta e rimane pertanto aperto alla discussione e alla speranza che il legislatore pontificio si pronunzi in merito quanto prima possibile. Il consiglio che si può dare rimane quello in via precauzionale di evitarne l’acquisto (e la vendita, beninteso).


Bibliografia

  • Codice di Diritto Canonico (1917). Roma.
  • Codice di Diritto Canonico (1983). Roma.
  • Congregazione delle Cause dei Santi (2017). Le Reliquie nella Chiesa: Autenticità e Conservazione. Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 16 dicembre 2017. Roma.
  • Concilio di Trento (1563). Della invocazione, della venerazione e delle reliquie dei santi e delle sacre immagini. XXV sessione.
  • De Mattei, R. (2000). Pio IX. Piemme Edizioni.
  • Tonti, N. (2020). Frammenti sospesi tra cielo e terra. La disciplina delle reliquie tra diritto canonico e diritti secolari. Stato, Chiese e pluralismo confessionale. 21.

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