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Non serviam

Mons. Pericle Felici prese parola, sotto gli indiscreti occhi del pontefice e dei moderatori conciliari, in qualità di segretario generale del Concilio Vaticano II. Il suo latino era fluente, la parlata accorta.

Mons. Pericle Felici prese parola, sotto gli indiscreti occhi del pontefice e dei moderatori conciliari, in qualità di segretario generale del Concilio Vaticano II. Il suo latino era fluente, la parlata accorta. Dopo un ronzio tintinnante del microfono (erano infatti gli anni in cui si testava la nuova tecnologia di comunicazione), la sua voce risuonò in tutta la navata della Basilica di S.Pietro.

“Vi invito, eminenze, a prendere posto, in vista della prossima dichiarazione del Santo Padre in merito alla pubblicazione del decreto sull’ecumenismo, votato qui in aula nella giornata di ieri“

Mons. Felici abbandonò, dopo aver controllato che i padri conciliari avessero preso posto, la postazione dove era solito raccogliersi per pronunciamenti ai vescovi riuniti in aula. Salutato il pontefice con le dovute riverenze, il microfono passò al Santo Padre.

Il piviale appesantiva la gracile costituzione del Pontefice, la tiara lucida (che tanto aveva fatto discutere per la sua inusuale forma geometrica) rifletteva i raggi del sole, che rimbalzano di vetrata in vetrata. Dopo essersi alzato, non senza l’aiuto degli accorti diaconi a lui prossimi, si mise gli occhiali per leggere il decreto e pronunciò a gran voce l’introduzione.

“Venerabili fratelli, Salute ed Apostolica Benedizione. La promessa fatta al mio predecessore, il nostro amato Giovanni XXIII, di dover portare avanti il lavoro di questo Sacro Sinodo, ci pone come prima istanza l’apertura dello sguardo di Cristo, e della sua Sposa nonchè Suo Corpo, la Chiesa, verso nuovi approcci pastorali orientati ai fratelli separati. Gli elementi della Chiesa, esterni ad essa ma in piena comunione con Cristo, devono essere il punto di partenza per una sintesi…“

Paolo VI si fermò.

Qualcosa aveva catturato la sua attenzione e quella dei padri conciliari. Si sentiva una seconda voce che echeggiava nell’aula della discussione. Una voce che tuonava, e che confondeva i padri sulla sua origine. Nel regolamento del concilio, infatti, quando un vescovo (compreso il Santo Padre) prendeva parola, gli altri non potevano usare i relativi microfoni a disposizione.

A rigor di logica, pensò Paolo VI, solo il mio microfono sta andando in questo momento. Questa voce però, sembrava in effetti amplificata, come se un secondo microfono, da qualche parte nell’aula, fosse rimasto ancora acceso.

Concilio-vaticano-II

“Basta, Pietro, fermati”

Ora la voce era chiara, tutti i padri si girarono verso la sezione dell’aula dove di norma siedevano i periti e gli osservatori conciliari. Sacerdoti, consacrati, laici, che assistevano alle discussioni in aula passivamente.

Un uomo stava diritto, rivolto verso il Santo Padre. Lo sgomento era elevato: non tanto perchè nessuno fosse in grado di riconoscere l’orante, tuttavia perchè non spiegava come la sua voce si potesse sentire in ugual misura in tutte le direzioni. Perfino mons. Staffa, seduto verso il limitare della navata e vicino all’ingresso della basilica, sentiva distintamente la sua voce, pur senza amplificazione.

“Ma chi è quello?” chiese il card. Döpfner, con voce sommessa, al card. Agagianian. I due moderatori erano allibiti. Suenens e Lercaro, invece, simili a degli astuti predatori, erano subito scattati verso mons. Felici per chiedere spiegazioni.

“Come si permette quel signore di interrompere il Santo Padre?” tuonò il card. Suenens: “Non ha forse letto le regole? Vorrei proprio sapere..”

“Si calmi, eminenza” rispose Paolo VI “lasciamolo parlare e vediamo che ha da dire.”

“Si identifichi, prego“. Il Papa ora si rivolgeva all’oratore. L’atmosfera era tesa, il silenzio la faceva da padrona.

“Scriptum est: Domus mea domus orationis vocabitur: vos autem fecistis illam speluncam latronum. Pietro, fidati: non vuoi sapere chi sono” rispose l’oscuro signore.

“Eccome se desidero saperlo. Desidero sapere chi è lei, perchè è qui, perchè mi ha interrotto” rispose il Santo Padre, con tono di stizza.

“Questa è la mia dimora.” rispose l’oratore “E quello che voi state facendo non mi piace: forse non rimembrate il compito a voi trasmesso dal vostro Maestro?”

“La Chiesa è la dimora dei cristiani, di tutti i cristiani. E poi…perchè non risponde…le ho fatto una domanda” disse il Papa, sempre più perplesso ed incredulo. Le parole faticavano ad uscire. Un misterioso peso era comparso nella mente del pontefice. “Ma come? Io? Bloccato di fronte a questo ciarlatano che osa interrompermi? Perchè non riesco a parlare? Perchè…”

“Basta pensare, ascolta me, Pietro. La Chiesa che hai ricevuto è fondata su di te e te solo. Non ci sono altre vie di salvezza: forse dimentichi? euntes in mundum universum prædicate evangelium omni creaturæ, qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit qui vero non crediderit condemnabitur. Fuori della Chiesa non c’è Salvezza. La Chiesa è una, sancta, catholica, et apostolica. Il Maestro fondò una chiesa, non più chiese. E tutti i pontefici fino all’ultimo Pio Papa lo hanno affermato “ rispose l’oratore.

Il card. Bea, presidente del Segretariato per l’unità dei cristiani, stanco di questo teatrino e vista la difficoltà del Santo Padre, si avventò sul microfono della sua sede e, dopo aver ordinato di accenderlo, tuonò:

“Ma chi è lei per permettersi di rivolgersi con questi toni al santo Padre? Si affretti ad argomentare la sua posizione o taccia! Noi siamo principi, non ci facciamo trattare come dei pezzenti da un ospite indesiderato“.

“La tua dialettica riflette la tua persona, Agostino. Essere principi del corpo della Chiesa non equivale a esserlo nell’anima della Chiesa” rispose l’oratore con la agilità di una saetta.

Il cardinale rimase sbigottito: nessuno si sarebbe mai permesso di chiamarlo per nome, tantomeno durante lo svolgimento di un consiglio ecumenico.

“Tutti sanno chi sei, chi eri. Tutti sanno chi ti manovra. La tua amicizia con i nemici della Chiesa ti ha logorato l’anima. E adesso lavori per il nemico. Forse che non conosci la Rivelazione? Non eri tu forse confessore di Eugenio Pacelli, quel grande pastore, ultimo Papa fedele in pieno alla sua missione?” continuò l’oratore.

“Certo che conosco le Fonti della Rivelazione. Giovanni XXIII….”

“Giovanni XXIII ti ha incaricato di revisione lo schema “De Fontibus Revelationis” con la sua commissione perchè esso era troppo “scolastico” e troppo dottrinale, secondo il vostro gusto filosofico.” replicò l’oratore “Ma la dottrina del Padre non si muta per il capriccio degli uomini. Con quale autorità la tua commissione ha modificato lo schema? Non era compito tuo. Il contenuto era corretto. Forse che nella commissione teologica non ci fossero persone opportunamente dotte?”

Un feroce brusio accompagnò le parole dell’oratore. I padri erano nella confusione generale. Il Papa nel frattempo, si era seduto. Il suo sguardo era vitreo, come se dentro quel guscio di paramenti non ci fosse un uomo, ma una statua gelida e incapace di movimento.

“Agostino, perchè ora sei muto? Che fine ha fatto il De deposito fidei pure custodiendo? Lo schema dove si ribadiva la dottrina del cattolicesimo e si condannavano gli errori?” riprese l’oratore.

Il cardinale non accennava a rispondere. Era come paralizzato.

“Lo abbiamo rimosso, se ti interessa saperlo” balbettò con scherno Edward Schillebeeckx, il perito domenicano amico dei cardinali moderatori. “Lo abbiamo rimosso perchè non possiamo ribadire la dottrina di sempre e piacere ai fratelli separati, e la scolastica deve finire di fare la padrona. La Chiesa deve essere in uscita, deve aprirsi al dialogo con il mondo, deve camminare nel mondo. Per questo lo abbiamo tolto, lo abbiamo in realtà buttato. Adesso è tempo di una nuova Chiesa“

L’oratore si fermò. Guardò in alto, verso la cupola della Basilica, dopodichè rispose a Schillebeeckx:

“Quindi state rigettando la dottrina Divina per piacere agli eretici, che ripudiano delle Verità della Rivelazione? Quelli che lei chiama “fratelli separati” non hanno bisogno di essere educati a perseverare nell’errore. Per secoli e millenni, la Chiesa ha insegnato che sono gli eretici a dover tornare in comunione con la unica vera fede nell’unica vera Chiesa. E poi c’è lei, che rigetta l’abito dell’ordine per abbracciare questi abiti mondani, e che osa affermare il contrario di ciò che è assolutamente vero. Mi dica, dott. Schillebeeckx. Forse che Gesù dialogò con la samaritana? Forse che dialogò con i Giudei? Forse che S.Stefano dialogò con i suoi carnefici? Come ci può essere dialogo tra il Logos divino e il non-logos non divino?“

“Ma questo lo dice lei. Ormai la strada è stabilita. Dobbiamo cambiare noi per piacere a quelli che lei chiama “eretici” rispose il domenicano.

“Stabilita da chi? Dall’uomo? Lei è poco dotto. Ricorda la parabola del cosidetto “figlio prodigo”? Per caso, di fronte alle richieste del figlio, il padre modificò le regole della sua casa per soddisfare gli errori della prole? Di fronte a una crisi morale e religiosa, non si aprono le porte al nemico, ma si chiudono tutte le vie e si aumentano le sentinelle. Non è d’accordo? Non fecero questo i padri di Trento? Forse che voi siate più dotti di loro?“

Molti padri conciliari, all’udir quelle parole, cominciarono a perdere la pazienza. Cominciarono ad inveire contro l’oratore, canzonandolo con veemenza. Un intervento di mons. Felici riportò l’ordine dopo qualche tempo.

“Spiegatemi, or bene, perchè avete accettato di dire” e ostentò ai vescovi un foglio di carta lucida “che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica. E non che essa SIA la Chiesa Cattolica. Perchè questo avete scritto in un documento.” Rivolgendosi al papa, gridò: “perchè, Santo Padre, ha approvato una costituzione in cui c’è scritto espressivamente che l’uomo è la sola creatura che Dio abbia voluto in terra per se stessa? Forse che il fin dell’uomo non sia Dio, bensi’ l’uomo stesso?“

I cardinali moderatori si alzarono in piedi, e strappando con le mani gli abiti indossati, cominciarono a inveire anch’essi contro l’oratore.

“E’ arrivato il sapiente, il tradizionalista” gridò ridendo il card. Frings “ma che sciocchezze sta dicendo? Questo crede ancora nel peccato, nell’inferno: SVEGLIATI, i tempi sono cambiati.”

Il tumulto aumentava. L’oratore continuava le sue accuse, ma quello che otteneva erano solo insulti e fischi.

Allora si fermò, guardò di nuovo verso il cielo. I vescovi, tutti in piedi, si esortarono al silenzio vicendevolmente, pronti a canzonare l’oratore alle parole nuove che sarebbero uscite da quella bocca scellerata, che bestemmiava contro la modernità, contro il progresso e contro la figura dell’uomo.

L’oratore riprese a parlare.

“Verrà un giorno, in cui gli idoli saranno portati in Vaticano, adorati e serviti dai Pastori della Chiesa. Verrà un giorno, in cui i Pastori promuoveranno la religione dell’uomo, dove la Dottrina del padre sarà disprezzata, e una Chiesa umana creerà nuove leggi ispirate all’uomo e non a Dio. Verrà un giorno, in cui gli altari saranno usati come depositi, le Chiese come luoghi di banchetti. Verrà un giorno, in cui il nome di Dio sarà bestemmiato, gli innocenti saranno uccisi per i peccati dell’uomo. La Chiesa rigetterà ciò che ha ricevuto, butterà i sacrifici fatti nel corso dei secoli: adorerà il brutto, celebrerà lo scandalo, opprimerà i fedeli, dimenticherà i Novissimi, sdoganerà la Verità Rivelata, farà oltraggio della Liturgia.” poi si girò verso il card. Ottaviani, seduto vicino al Papa, rimasto muto sin dalle prime battute dell’oratore; guardò mons.Sigaud, mons. Lefevbre, mons. Mayer e il card.Siri.

Un sorriso comparve sul volto dell’oratore, mentre scrutava i loro volti.

L’aula era gelida, il silenzio aveva chiuso le bocche dei padri conciliari. La Basilica sembrava ora una tomba.

Poi si congedò, recitando ad alta voce le seguenti parole:

“Ad cuius adventum omnes homines resurgere habent cum corporibus suis: et reddituri sunt de factis propriis rationem. Et qui bona egerunt, ibunt in vitam aeternam: qui vero mala, in ignem aeternum. Haec est fides catholica, quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit, salvus esse non poterit. Amen.“

Non appena ebbe finito, un grande bagliore avvolse la cupola della Cattedrale. Una danza luminosa di raggi intensissimi, ben più forti di quelli del Sole, si propagarono velocemente per la lunghezza delle navate. Un rumore assordate accompagnò una violenta scossa all’interno dell’aula. Le colonne oscillavano paurosamente, le guardie svizzere corsero dal Santo Padre per prestare aiuto. La cattedra tremò con un frastuono assordante.

Colpiti dalla intensa luce, i padri conciliari non potevano aprire gli occhi. Quel fascio luminoso li avrebbe molto probabilmente accecati. C’era chi gridava in preda al panico, chi cercava il contatto con il vicino di posto per avere un riferimento; c’era chi, in ginocchio, pregava con lo sguardo rivolto verso il basso, stringendo la croce pettorale con quanta forza gli fosse possibile esercitare. Il Papa, imperturbato, riusciva a guardare quella luce. Vedere quello scompiglio generale lo gettò in ginocchio, in procinto di cadere a terra. Le guardie lo presero in tempo.

Il tutto durò qualche minuto. Con la stessa velocità con cui era avvenuto l’inspiegabile fenomeno, esso si ritirò.

Tutto tornò normale.

Tutti erano miracolosamente illesi, la Basilica non aveva subito danni.

Il card. Ottaviani, ripresa in mano la mitria che gli era caduta a causa del misfatto, gettò uno sguardo verso il posto dove sedeva l’oratore.

Il posto era vuoto.

“Mi sono caduti gli occhiali” pensò. Si sistemò gli occhiali, e guardò nuovamente.

Il posto era ancora vuoto. Si rivolse quindi ai moderatori.

“Dov’è è finito l’oratore? Non lo vedo. Forse è caduto, è ferito. Dove è?“

Una mano gli tocco la spalla. Era il card. Bacci

“Alfredo, era Lui. Credo che sia tornato in Cielo“

“Lui? Lui chi?“

“Colui che è Via, Verità e Vita.“

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