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Odi et amo: l’arte moderna tra perdita del sacro e senso liturgico

Sacro e profano, insomma, si stanno fin troppo confondendo. A questo punto occorre chiedersi: qual è il confine tra arte moderna e arte sacra?

Oggi si erigono chiese espressione dell’“ego” artistico dei singoli architetti, in modo magari quasi completamente slegato dal significato intrinseco degli spazi. Si assiste a una fusione tra contesti mondani e contesti religiosi con la risultante controversia tra blasfemia e concretizzazione di messaggi evangelici. Sacro e profano, insomma, si stanno fin troppo confondendo. A questo punto occorre chiedersi: qual è il confine tra arte moderna e arte sacra?

La Chiesa, come un tempo, deve tornare a pretendere il rispetto dei canoni liturgici e di preghiera da un’opera che si vuole “sacra”. Occorre però che i committenti ecclesiastici abbiano una preparazione che deve partire dallo studio sin dai primi anni nei seminari e una consapevolezza nel dialogo con gli artisti.

Il punto di partenza per poter comprendere meglio il senso delle nuove forme d’arte è “il simbolo“. Quella moderna ha a disposizione modalità che sperimentano nuove tecniche, abbandonando l’arte figurativa tradizionale, per rispondere alla logica dell’inesauribilità della costante ricerca di Dio da parte dell’uomo.

Il simbolo è un operatore di riconoscimento, di relazione, svela in quale mistero d’amore ogni cosa trovi la sua fonte (Gv 3,12). Il simbolo non delimita, ma apre orizzonti quasi infiniti. Lo stesso avviene con le parabole e con il linguaggio metaforico che abbonda sulle labbra di Gesù. Il Dio incarnato ha scelto di parlarci in modo perlopiù indiretto. Non dirige l’attenzione sul suo oggetto (se stesso, il regno…) ma la sposta altrove (il pastore, il lievito, il seme, l’acqua, la luce…), per illuminare di riflesso l’oggetto di cui vuole parlare. «Comunicare Dio non può avvenire che attraverso lo specchio delle creature, le quali rimandano quasi spontaneamente a Dio. La sua trascendenza lo rende non nominabile, non catturabile, rimane oltre» (Cesare Bissoli).

Il simbolo sfugge alla logica rassicurante della precisione: il suo senso non può essere circoscritto, e non perché sia incomprensibile ma perché condensa una molteplicità di sensi. 

Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante e anche nella liturgia i simboli servono a presentare attraverso la loro realtà materiale e tangibile una realtà invisibile consentendoci di riconoscerla, introducendoci con i nostri sensi in quel Mistero Pasquale che viene celebrato.

Nel fatto che la celebrazione sacramentale è «intessuta di segni e di simboli», si esprime «la pedagogia divina della salvezza» (Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], n. 1145), già enunciata in modo eloquente dal Concilio di Trento. Riconoscendo che «la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza accorgimenti esteriori», la Chiesa «usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un Sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo Sacrificio» (Concilio di Trento, Sessione XXII, 1562, Doctrina de ss. Missae Sacrificio, c. 5, DS 1746).

In questa realtà si esprime un’esigenza antropologica: «In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio» (CCC, n. 1146). I simboli e segni nella celebrazione liturgica appartengono a quegli aspetti materiali che non si possono trascurare. L’uomo, creatura composta di anima e corpo, ha bisogno di usare le cose materiali anche nel culto divino, perché è obbligato a raggiungere le realtà spirituali attraverso i segni sensibili. L’espressione interna dell’anima, se è genuina, cerca allo stesso tempo una manifestazione corporea esterna, e, viceversa, la vita interna è sostenuta dagli atti esterni, atti liturgici.

Nell’arte sacra, gli elementi materiali rappresentano un rimando, un richiamo alla realtà come segno di Altro, ossia del mondo spirituale, di Dio. Simboli, per l’appunto. Un tipo di concetti e di linguaggio che l’uomo moderno, che si ritiene razionale e scientifico, non è più in grado di intendere. In questo modo l’arte diventa “strumento” per compiere una vera e propria esperienza spirituale. È la natura dell’arte sacra direttamente ispirata dalla Fede, che permette, attraverso l’individuazione e la comprensione dei suoi simboli, di accostarsi al Mistero di Dio. 

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