Ai nostri giorni molti fedeli sono costretti, loro malgrado, a partecipare a celebrazioni eucaristiche prive di ogni segno o traccia di sacralità nonché, in molti casi, decisamente mal organizzate. Ciò che, tuttavia, suscita ironia è il fatto che la Chiesa, nei suoi secoli di storia, ha sempre posto l’accento sulla dignità e la cura da riservare all’organizzazione della liturgia e, molto spesso, lo ha fatto istituendo precise disposizioni su aspetti che potremmo considerare ovvietà.
Ad esempio, probabilmente tutti sanno che esistono regole per l’uso dei paramenti liturgici e relativi colori, regole per la divisione dei compiti tra sacerdote, diacono e gli altri chierici, regole persino per la disposizione e l’uso della croce da altare e le candele ma, probabilmente, pochi sanno che la Chiesa ha regolamentato, in maniera anche piuttosto stringente, perfino i “protagonisti” della Messa, ovvero la materia del pane e del vino eucaristici.
Il lettore si domanderà in che modo si possa regolamentare la materia di due elementi che, dopotutto, troviamo quotidianamente sulla nostra tavola. Nonostante ciò, si pensi semplicemente alle molteplici tipologie di pane che oggi troviamo sugli scaffali, pane integrale, pane d’orzo, pane nero, eccetera. Inoltre, con le nuove mode che vanno sempre più consolidandosi, non è assurdo temere o, quantomeno, ipotizzare un futuro in cui ci imbatteremo in tentativi di rendere più sostenibili anche le specie eucaristiche, magari applicando sul calice un’etichetta con scritto “nocivo” come vorrebbe qualcuno.
Rivolgendo lo sguardo a quelle che sono, quindi, le regole proprie della Chiesa, è necessario anzitutto ricordare che dette norme si dividono in due grandi categorie, quelle che disciplinano la liceità e quelle che disciplinano la validità del sacramento. Ovviamente quest’ultime sono le più gravose, in quanto un’infrazione delle prime provocherebbe un illecito mentre il mancato rispetto delle seconde renderebbe invalido il sacramento e, quindi, la presenza reale di Cristo.
La Chiesa prescrive le seguenti norme per la liceità del pane: che sia recente, puro (ovvero fatto solo con farina di frumento), mondo e non ammuffito. Vi è inoltre un’ulteriore norma, ovvero quella della corrispondenza tra tipologia e rito, cioè pane azzimo per i riti latini e pane fermentato per quelli orientali. Chiaramente, trattandosi di precetto ecclesiastico e non divino, tale indicazione può essere disattesa per gravi ragioni (ad esempio, se ci si accorge, durante la Messa, che il pane è corrotto e non se ne ha altro a disposizione). Per quanto riguarda il vino, invece, si richiede che sia perfetto, ovvero che la fermentazione sia stata completa, puro, cioè, escludendo il momento dell’Offertorio in cui viene ritualmente mescolato con alcune gocce d’acqua, non miscelato con altre sostante (anche se per necessità si possono aggiungere piccole quantità d’acqua o zucchero) e, chiaramente, non corrotto, cioè che non abbia iniziato a inacidire.
Come accennato in precedenza, queste fin qui esposte sono le norme riguardanti la liceità ma, pur senza volerle sottovalutare, maggiore attenzione deve essere posta a quelle relative alla validità, onde evitare il rischio di rendere nulla la consacrazione delle specie. Per garantire la validità sacramentale, il pane deve essere in primo luogo di frumento. Qualora non lo fosse completamente si commetterebbe un illecito, come accennato in precedenza, mentre categorie quali pane d’orzo, avena, riso sono certamente invalide. Altre materie, come il pane di segale, sono considerate dubbie.
Le condizioni regolamentano, successivamente, il tipo di impasto, il quale deve necessariamente compiersi solo con acqua naturale. Un impasto ottenuto con altri liquidi sarebbe invalido, mentre se l’acqua venisse ottenuta mediante procedimenti artificiali quali la distillazione si tratterebbe di materia dubbia. Altro passaggio importante è la cottura, che deve avvenire o col fuoco o, comunque, con procedimenti analoghi (come la cottura elettrica). Non sono accettati metodi come l’essiccazione o la pasta cruda o lessa. Infine, il sacramento sarebbe invalido se la corruzione dell’elemento fosse ormai ad uno stadio avanzato, mentre un principio di corruzione o ammuffimento costituirebbe, come già detto, un illecito.
Passando ora al vino, la principale condizione di validità è che sia ricavato dalla vite; tutte le altre forme, siano esse derivanti da altri frutti o ottenute mediante procedimenti artificiali, sono invalide. Inoltre, l’uva deve essere matura e eventuali derivati dell’uva acerba non sono da considerarsi validi. Infine, deve essere fermentato (altrimenti non avrebbe la componente alcolica) e potabile, nel senso che deve già trovarsi completamente in forma liquida.
Nel leggere tutte queste precise normative potrebbero sorgere alcune domande. Suscitano curiosità, per esempio, le particole utilizzate per la comunione dei fedeli celiaci. La celiachia è una condizione di intolleranza al glutine ma, come è stato detto, il pane costituisce materia valida solo se ottenuto dal frumento il quale, come altri cereali, contiene glutine. Pertanto, anche queste particolari ostie non sono completamente prive di glutine (in questo caso sarebbero invalide) bensì ne contengono minime quantità tali da garantire la panificazione e, pertanto, assicurare che il pane non divenga snaturato. È superfluo, ma non troppo, ricordare che i sacerdoti e quanti, a vario titolo, maneggiano le particole per celiaci devono toccarle prima delle altre o, alternativamente, purificarsi con cura le mani prima della distribuzione della Comunione ai fedeli affetti da tale condizione.
Non sono invece formulate particolari richieste per i disegni o le scritte da imprimere sull’ostia principale. La tradizione latina vuole che l’ostia sia rotonda ma, in caso di necessità, la Chiesa permette l’uso anche di altre forme. La mancata osservanza di questa norma, comunque, è solo un illecito il cui rispetto non è da considerarsi sub grave. Riguardo ai disegni possiamo invece sbizzarrirci. È vero che, per consuetudine, viene ormai impressa una croce o simboli ad essa affini, ma ci sono giunti ferri da ostie risalenti al periodo rinascimentale recanti, oltre a simboli religiosi, anche stemmi araldici relativi alle famiglie nobiliari cui apparteneva lo strumento.
Non sarà sfuggito al lettore che l’enunciazione e le richieste di tali regole possono sembrare qualcosa di datato. Tuttavia, per assurdo potrebbero essere più attuali che mai, in primis perché in passato la preparazione e la cura del pane e del vino eucaristici erano quasi sempre prerogativa degli istituti religiosi, molto attenti a determinate sensibilità, mentre oggi l’acquisto delle particole e del vino avviene tranquillamente mediante comuni canali commerciali. È doveroso, quindi, che le imprese deputate alla produzione di tali materie prestino la massima attenzione all’assoluto rispetto della normativa.
La necessità di rimarcare quanto esposto in quest’articolo, inoltre, è stata avvertita in tempi recenti anche dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti la quale, con lettera datata 15 giugno 2017 e recante la firma del Card. Sarah, allora prefetto, richiamava i Vescovi ad una stretta osservanza delle normative sulla materia eucaristica esplicitate nell’Istruzione Redemptionis Sacramentum, pubblicata nel 2004 dalla medesima Congregazione. Se è pur vero che, in questa lettera, si fa riferimento solo alle problematiche derivanti dall’acquisto commerciale della materia eucaristica, non è assurdo pensare che tale comunicazione sia stata un’occasione per scongiurare abusi liturgici di vario tipo, che si sono verificati o che potrebbero verificarsi.
Nei secoli di storia della Chiesa è capitato molte volte di dover celebrare la Messa in condizioni disagiate o sotto persecuzione e, quindi, poteva sovente accadere che il pane e il vino venissero rimediati di fortuna. Si pensi ad esempio ai cappellani che dovevano celebrare la Messa al fronte per i soldati durante una guerra: essendo difficoltoso il normale approvvigionamento di viveri, figuriamoci la difficoltà di accertare validità e liceità della materia. Oggi, tuttavia, almeno nel nostro mondo occidentale, non ci troviamo affatto in queste condizioni, eppure non possiamo escludere che a qualche sacerdote dai gusti “bizzarri” venga in mente di proporre qualcosa di più sostenibile come materia eucaristica. Magari durante una Messa coi ragazzi si potrebbe usare una focaccia con le olive (del resto abbiamo già visto una Messa celebrata in mare, quindi perché stupirsi?) ma anche senza immaginare questi estremi, non possiamo essere sicuri che la moda diffusa ai nostri giorni di preferire al pane tradizionale quello “alternativo” (sia esso integrale, d’orzo, ecc.) non arrivi perfino sull’altare. A maggior rischio si espone l’uso del vino, già bollato dal politicamente corretto come elemento dannoso e bevuto da quanti «hanno un cervello piccolo». Andando di moda la comunione sotto le due specie, qualche sacerdote potrebbe pensare di introdurre, sperando di attirare fedeli, l’uso di qualche bevanda gassata o assimilati.
In queste ultime righe ci siamo permessi un po’ di giocare con la fantasia e ipotizzare scenari che, al momento, non ci risultano essersi ancora verificati (si spera), ma, considerando i tempi che corrono, auspichiamo che coloro a cui compete la verifica dell’osservanza delle norme liturgiche si adoperino per evitare sia illeciti sia, Dio non voglia, episodi di invalidità del sacramento.
Note
- Piscetta-Gennaro, Sommario di teologia morale, Soc. Ed. Int., Torino 1952, pp. 526-527
- Idem, pp. 524-525
- Idem.
- Idem.
- Ludovico Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, Marietti, Milano 2007, pp. 216-217