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Poveri e infelici

Povertà materiale e spirituale. I cattolici di oggi e di ieri. Impoverimento dei costumi ecclesiastici e necessità di una purificazione nello spirito alla luce della Passione di Cristo.

Che sia il latte materno, un tetto sotto cui stare, un passaggio a casa di un amico o una tenera carezza, da quando nasciamo a quando moriamo la nostra vita è una condizione di costante bisogno e richiesta di aiuto, materiale e non. Ogni figlio di Dio concretizza questa necessità nei confronti dei suoi fratelli e nei confronti del Padre in maniera diversa. Re Davide, per esempio, la concretizzò scrivendo queste parole: «Tendi l’orecchio, Signore, ascoltami: sono povero e infelice. Proteggi la mia vita: io ti sono fedele. O Dio, salva il tuo servo: confido in te! Tutto il giorno ti chiamo: pietà di me, Signore! A te mi rivolgo: Signore, donami gioia!». D’altronde, «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Sal 8).

Il periodo quaresimale che stiamo vivendo, specialmente quest’anno, durante il quale ci troviamo immersi in una delle più grandi epidemie della storia dell’umanità e la situazione internazionale oscilla fra guerra e pace, dovrebbe stimolarci a riprendere in mano il nostro sincero bisogno di Dio. “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). I poveri in spirito «sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere», ha spiegato papa Francesco. «Gesù li proclama beati, perché ad essi appartiene il Regno dei cieli». Pochi giorni fa, nella sua omelia domenicale, don Alberto Secci (parroco a Vocogno, Domodossola) ci ha invitato a « […] stare di fronte a Gesù Cristo. […] Alza lo sguardo e vedi gesù solo: questo è l’esercizio per la Quaresima, […] la semplicità che i cattolici di altri tempi avevano».

Poveri e infelici

Negli ultimi decenni, sia da parte delle istituzioni del mondo, sia di quelle ecclesiastiche, abbiamo assistito a un progressivo impauperimento esteriore di ogni cosa: dal vestiario ai paramenti, dall’abito corale a quello liturgico. Eppure, tante volte, a questo impoverimento esteriore noi cattolici ci accorgiamo che non corrisponde una spoliazione interiore. Oggi, nell’anno del Signore 2022, ci troviamo a vivere in un mondo trasformato che nulla ha più a che vedere con la semplicità di cui ci parla don Secci. L’agio è la quotidianità, lo spreco costume, il menefreghismo abitudine e il peccato diritto. Tutto ciò accade sia nella Chiesa, clero compreso, sia al di fuori di essa. La ragione è semplice, abbiamo dimenticato il valore della povertà spirituale, che nemmeno la povertà materiale del digiuno e dell’astinenza può riportarci, come per magia.

Ora, però, pensiamo a tutti i poveri del mondo. Che siano ucraini disperati per la guerra, africani sofferenti per la fame, o fratelli ai confini del mondo oppressi dalla persecuzione, quanto sono più vicini a Dio rispetto a noi! Persone improvvisamente espropriate dei loro beni ritrovano la capacità di inginocchiarsi e supplicare la Vergine in pubblica piazza, bambini abituati a patire la fame e a vedere la morte negli occhi ogni giorno si riscoprono capaci di incontrare l’unico e vero Dio, cattolici costretti a vivere nelle tenebre trovano ogni giorno la Luce.

E noi? Da dove dobbiamo ripartire? La Chiesa e lo stesso Sommo Pontefice ci invitano a praticare digiuno e astinenza in richiesta di soccorso da parte di Dio, come sarebbe poi obbligatorio in tempo di Quaresima. Ma, come scrive S.Giovanni, “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Apriamo oggi il nostro cuore al Signore, spalanchiamogli le nostre porte e, allora, uniamoci al divino Sacrificio della Croce con cuore umile, spirito povero e animo di digiuno. Allora vivremo in povertà.

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