Uno degli errori più diffusi nel nostro tempo è considerare la preghiera come un atto di approvazione personale, quasi fosse un segno di gradimento per qualcuno. Così accade che, anche tra coloro che si dicono cristiani, vi sia chi si rifiuta di pregare per il Papa perché non ne condivide le scelte o perché non lo sente vicino alle proprie sensibilità. Ma la preghiera non è un giudizio umano, né un’opinione: è un atto di affidamento a Dio, è il mezzo più potente che abbiamo per sostenere chi è chiamato a una missione così alta e gravosa.
Gesù stesso ci ha insegnato che la preghiera non è mai condizionata dalle simpatie personali. Nel Vangelo di Luca, leggiamo parole forti e inequivocabili: “Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?” (Lc 6,32). E ancora: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male” (Lc 6,27-28). Se siamo chiamati a pregare perfino per coloro che ci perseguitano, come potremmo esimerci dal pregare per il Papa, il successore di Pietro, a cui Cristo ha affidato il compito di confermare i fratelli nella fede (Lc 22,32)?
I santi ci offrono esempi luminosi in tal senso. Santa Caterina da Siena, pur non esitando a richiamare i Pontefici del suo tempo alle loro responsabilità, non cessò mai di pregare ardentemente per loro, consapevole che il Papa non governa la Chiesa da solo, ma ha bisogno dell’assistenza dello Spirito Santo e del sostegno della preghiera dei fedeli. San Francesco d’Assisi, che visse in tempi di grande crisi per la Chiesa, non si ribellò mai al Papa, ma scelse di obbedire e di offrire la sua vita per la riforma della Chiesa attraverso la santità.
San Paolo, nelle sue lettere, raccomanda più volte ai fedeli di pregare per i pastori e per chi ha autorità: “Vi esorto dunque, prima di tutto, a fare domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita tranquilla e serena in tutta pietà e dignità” (1Tm 2,1-2). Se l’Apostolo delle Genti chiedeva di pregare perfino per i governanti pagani, quanto più dovremmo pregare per il Vicario di Cristo?
Pregare per il Papa non significa chiudere gli occhi di fronte ai problemi della Chiesa o rinunciare a ogni forma di discernimento, ma significa riconoscere che il destino della Chiesa non è nelle mani di un solo uomo, bensì nelle mani di Dio. Il Papa, come ogni pastore, è un servo del Vangelo e ha bisogno della grazia divina per compiere il suo compito. La preghiera è il mezzo che Dio stesso ci ha dato per intercedere gli uni per gli altri, per sostenere chi è debole, per illuminare chi deve prendere decisioni difficili.
Se rifiutiamo di pregare per il Papa perché non lo apprezziamo, in realtà dimostriamo di aver ridotto la fede a una questione umana, anziché riconoscerla come un mistero divino. La Chiesa non è un partito politico, dove si sostiene solo chi ci piace; è il Corpo Mistico di Cristo, e ogni sua membra deve operare per il bene dell’unità e della salvezza delle anime.
La vera domanda, allora, è: vogliamo seguire il Vangelo o le nostre inclinazioni personali? Chi smette di pregare per il Papa smette, in fondo, di credere nella forza della preghiera stessa. E senza preghiera, come possiamo sperare di rimanere saldi nella fede?