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Salute o salvezza?

«Salus Infirmorum!», «Ora pro nobis!». Quante volte abbiamo sentito, o addirittura recitato, queste parole, senza per nulla cogliere il loro più profondo significato! Quanto spesso ci riferiamo a Gesù come Salvatore.

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«Salus Infirmorum!», «Ora pro nobis!». Quante volte abbiamo sentito, o addirittura recitato, queste parole, senza per nulla cogliere il loro più profondo significato! Quanto spesso ci riferiamo a Gesù come Salvatore.

«Salus Infirmorum!», «Ora pro nobis!». Quante volte abbiamo sentito, o addirittura recitato, queste parole, senza per nulla cogliere il loro più profondo significato! Quanto spesso ci riferiamo a Gesù come Salvatore omettendo di pensare davvero al significato che questo appellativo ha per noi!

La parola salus è una di quelle parole della lingua latina che più spesso ingannano i traduttori, in quanto solo raramente si fa portatrice del semplice significato di ‘salute’, dunque ‘sanità’, ‘star bene’, in riferimento a qualcosa di fisico: il vero significato di questa parola è quello di ‘salvezza’, riferito, per noi cristiani, al campo meramente spirituale. Non solo la nostra Madre, che noi invochiamo come Salus Infirmorum, ci libera dai tristi mali del nostro presente, ma si rende anche collaboratrice, cooperatrice del Redentore nella sua opera di salvezza e santificazione di ogni parte dell’uomo.

Quanto ha fatto per il Signore e per l’uomo quella donna, quando ha accettato, in un brevissimo istante, di accogliere nel suo grembo il Figlio di Dio, quando lo ha partorito in una fredda e desolata stalla nelle vicinanze di Betlemme, quando lo ha portato al tempio, cresciuto smarrito, ritrovato, poi ancora ascoltato e assistito fino all’ultimo dolore, quello di una donna disperata davanti all’ultimo respiro del Dio Uomo da lei stessa partorito e che, ora, vede morire nel sangue e nel dolore!

Quanto ha fatto lo stesso Gesù Cristo per noi! Ha sfondato ogni barriera dell’essere e della metafisica (dottrina, per l’appunto, pur sempre umana), scendendo in terra dal Suo trono di gloria, incarnandosi nello stesso corpo dei suoi umili figli, addossandosi il fardello dei peccati e delle colpe dio ognuno di noi e portandoli con sé, come grida a gran voce San Paolo, «fino alla morte, e ad una morte di croce»!

Poi, dopo tutto questo, al termine della storia finora a noi nota, ci siamo noi, uomini del XXI secolo, illusi di un progresso che continua, quotidianamente, a prendere a picconate l’intera azione dei nostri santi avi e predecessori. Quanto ci crediamo “infermi” quando ci presentiamo innanzi al volto della nostra Madre celeste per implorare il suo aiuto, quello del suo Figlio e di tutti i Santi che egli ha chiamato a condividere con Lui la gloria del Paradiso? Quanto ammettiamo di avere mancato di seguire la Sua volontà quando ci inginocchiamo a implorare perdono e grazie di fronte al Suo Corpo?

Salute o salvezza?

Abbiamo fede nel Signore e nella Sua onnipotenza? Crediamo, come ancora scrive l’ Apostolo, che «l’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte» e che a sconfiggerla sarà proprio Il Signore, che ci redime dal peccato e ci conduce alla Salvezza eterna? O, forse, abbiamo troppa paura di passare attraverso qualche malanno terreno perché ci sia donato, insieme con i Santi e i Beati, il Regno di Dio, che, come il suo stesso Re afferma, «non è di questo mondo»? Siamo pronti a rischiare la salute per la salvezza, nella profonda fede che, nella vita terrena e in quella celeste, il Signore ci garantirà entrambe, se solo noi ci affidiamo a Lui «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente»? Nostro Signore e i Suoi Santi si recavano fra i lebbrosi e non solo non venivano contagiati, guarivano anche i malati che avevano attorno!

O forse, ancora, intendiamo ragionare come certa antropologia immanentista, oggi disdicevolmente predominante, la quale compie un ragionamento zoppo, credendo che tutto ciò che importa sia il male o il piacere che si possono provare durante il nostro cammino terreno, rigetta il dualismo che lega vita spirituale e vita fisica e vuole sfruttare la conoscenza scientifica, umana, come tappo per le falle del suo pensiero?

Se il Signore ha concesso che certi mezzi di salute fossero messi nelle mani dei sui figli, non è perché essi Lo sostituiscano, ma perché donino all’uomo più forza per continuare a lodarlo e glorificarlo incessantemente! L’uomo progredisce, l’uomo cambia idea, l’uomo si porta avanti per poi tirarsi indietro, ma non il Signore!

Lasciarsi alle spalle una visione umana della vita per passare alla prospettiva del dono e della grazia, in ultima analisi, non significa solo patimento, dolore, noia e biasimo, che, pure, fanno parte dell’essere cristiano, anzi, significa riconoscere in Dio il nostro tutto: principio e fine, alfa e omega. Non facciamoci spaventare dalle malattie, dagli impedimenti e dagli ostacoli del mondo nella nostra preghiera! Riconosciamoci negli infirmorum per cui chiediamo salvezza! Noi, cattolici, non mettiamo davanti alla Salvezza la salute, perché proprio questa è una delle più grandi tentazioni del nostro tempo!

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